di Cinzia Frassi

Dal caso Parmalat ai rifiuti campani, la class action fa parlare di se ancor prima di essere realtà. In estremis, alla vigilia del Natale scorso, tra i meandri della Legge Finanziaria, dove ha trovato una frettolosa quanto lacunosa formulazione, la tanto acclamata azione risarcitoria collettiva è stata più che altro il cavallo di battaglia di molti ed un’occasione per gonfiare il petto per altri. Perchè non ha molto a che fare con quella class action che richiama alla mente il rimedio collettivo americano. Alla fine di febbraio, a conclusione del convegno intitolato “L’azione collettiva a tutela dei consumatori: opportunità e prospettive”, organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU) il ministro Pier Luigi Bersani, a conclusione dei lavori, si dimostra soddisfatto: in sostanza afferma che l’Italia ha fatto non solo un passo avanti rispetto al resto dell'Europa in tema di difesa dei consumatori ma anche un grande salto di qualità. La legge è da molti considerata una “legge di straordinaria portata innovativa”.

di mazzetta

Continua senza senso apparente l'occupazione etiope della Somalia su mandato americano. La situazione nel paese è pessima: più di un anno di occupazione etiope ha cementato i somali contro l'invasore, mentre il governo fantoccio imposto da Washington è andato in pezzi e fatica persino a dare segni d'esistenza, non parliamo di operatività. Sparito nell'oblio l'ex premier Ghedi, con il presidente Yusuf travolto dalla malattia e dai problemi nel suo feudo locale, la Somalia è priva di un governo in grado di allacciare un dialogo con la società somala, ormai compattamente ostile all'Etiopia e agli Stati Uniti. Etiopia che ormai esercita la sua sovranità sul paese esclusivamente per mezzo della repressione militare, violando qualche decina di articoli che regolano le responsabilità degli occupanti verso le popolazioni dei territori occupati, ma nemmeno questo suona come una novità.

di Michele Paris

Messa da parte la diffidenza risalente agli anni della Guerra Fredda, le relazioni tra India e Stati Uniti continuano a registrare progressi in tutti i campi. Da ultimo, ma solo cronologicamente, in quello militare, dove sono in gioco contratti da decine di miliardi di dollari sui quali le principali aziende americane operanti nel settore della difesa si stanno per avventare con la benedizione della Casa Bianca. La scorsa settimana, un breve soggiorno a Nuova Delhi del Segretario USA alla Difesa, Robert M. Gates, ha posto infatti le basi per importanti accordi volti a rinnovare le dotazioni militari della più popolosa democrazia del pianeta, il cui arsenale attualmente può contare in gran parte su obsoleti equipaggiamenti di era sovietica. La missione dell’ex direttore della CIA in Asia ha incluso altre tappe significative a Giakarta e a Canberra nel quadro di una partnership sempre più stretta con Indonesia e Australia, paesi strategicamente fondamentali per controbilanciare le ambizioni cinesi nel continente.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Tra le tante eredità che Putin lascia al suo successore c’è quella relativa al processo per l’abolizione della pena di morte. Perchè la strada verso una tale soluzione è ancora tutta in salita. L’ultima condanna (colpo di pistola alla nuca) risale al 2 settembre 1996. Subito dopo - in seguito alla pressione dell’opinione pubblica internazionale e del Consiglio d’Europa - Mosca ha introdotto una moratoria ma non ha ratificato il Protocollo entro i tre anni successivi, così come richiesto. E’ poi stato Putin a dichiarare che la Russia avrebbe rispettato la Convenzione, aggiungendo però che “la completa eliminazione della pena capitale dipenderà dall’opinione dei cittadini russi”. Un modo per prendere tempo e lasciare aperte le porte a quel 65% di abitanti della Russia che - secondo i rilevamenti più accreditati - sostengono la pena di morte. Ma nello stesso tempo Putin nel febbraio 2006 ha voluto manifestare di essere abolizionista e difensore della moratoria: "La punizione - ha detto - ha diversi scopi. C'è la correzione e il castigo. Con la pena di morte è impossibile parlare di correzione, c'è solo il castigo".

di Agnese Licata

Una gran victoria”. Così, l’ha definita il segretario del Partito socialista spagnolo, José Blanco. 169 seggi contro i 153 dei popolari: 16 deputati in più, come nella legislatura conclusasi con le elezioni di ieri. Una vittoria praticamente certa fin dall’inizio della campagna elettorale, anche di fronte a una situazione economica non più particolarmente rosea. Eppure, una vittoria che il Psoe di José Luis Rodríguez Zapatero ha avuto paura di vedersi sfuggire all’ultimo momento, alla stessa velocità con cui nel 2004, tre giorni dopo l’attentato di Madrid, gli elettori spagnoli avevano deciso di strappare la guida del proprio Paese al popolare José María Aznar per assegnarla proprio a Zapatero. Perché quando un gruppo terroristico come l’Eta torna ad uccidere, non c’è sondaggio capace di prevedere le scelte di voto. Soprattutto se il partito al governo è accusato di aver usato poca fermezza contro lo stesso gruppo armato.


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