di mazzetta

Il generale Musharraf negli ultimi tempi è un po’ in difficoltà e ad aiutarlo sono arrivati alcuni fini strateghi americani, “illuminati” sulla strategia da seguire nienttoemeno che dalla famiglia reale saudita. La distruzione della Moschea Rossa sembra aver determinato lo stato di guerra tra l'esercito pachistano controllato dal dittatore e le numerose formazioni d'ispirazione islamica nel paese. Da allora si sono succeduti numerosi attacchi ad obbiettivi militari, in un bagno di sangue che ha pochi precedenti nella storia del Pakistan. Più dell'insorgere islamista a vendicare le vittime dell'assalto alla moschea, più ancora dell'aspro confronto con il chief of justice Chaudry; a preoccupare è una crisi generale del paese che, nonostante la crescita del PIL, esclude gran parte dei cittadini dall'istruzione e dalla partecipazione al godimento del reddito nazionale. Il Pakistan è ancora oggi un paese saldamente nelle mani dell'esercito, un esercito che ha una propria agenda, propri interessi economici e una lunga storia di proficui rapporti con la famiglia reale saudita e la famiglia Bush. Quando, in seguito agli attentati del 9/11, gli USA invitarono Musharraf ad arruolarsi nella “war on terror” minacciando in caso contrario di “riportare il Pakistan all'età della pietra” (così almeno ha riferito Musharraf nella sua ultima fatica letteraria), l'esercito pachistano aderì con entusiasmo, salvo proseguire sottotraccia nel sostenere e guidare i Talebani in Afghanistan.

di Giuseppe Zaccagni

Un miliardo e 300 milioni di abitanti. Un solo partito. Un solo leader. E’ la Cina di oggi che va al XVII congresso comunista (fissato per il 15 ottobre prossimo) che si annuncia austero ma anche carico di revisioni che potranno avere ripercussioni sociali di grande rilievo. Sarà un consesso che deciderà la direzione della Cina per i prossimi cinque anni e che si caratterizzerà su due fronti: uno spirito generale di maggiore realismo e una spinta verso un indiscusso controllo sull’apparato. Regista ed attore principale sarà il sessantatreenne Hu Jintao. Un personaggio che ha già rafforzato la sua leadership interna trovando alleati stabili e reali e che si è fatto conoscere in varie parti del mondo - da Mosca a Washington - per il suo pragmatismo e, allo stesso tempo, per il suo basso profilo. In patria, comunque, sono ancora in discussione le sue doti di economista e di gestore dell’intera vita cinese. Viene accusato di non avere la preparazione e il carisma necessari per affrontare le dure sfide che attendono il paese, come i rapporti con Taiwan, l’azione militare degli Stati Uniti in Asia centrale, le riforme economiche con la crisi finanziaria che torna a ruggire nel continente asiatico. Ma sul suo conto in positivo vengono messe alcune opere di grande rilievo come i due importanti progetti: la diga delle Tre Gole e la ferrovia per il Tibet.

di Bianca Cerri

Sono ormai 20 anni che nei tribunali i risultati del test del DNA servono a stabilire l’innocenza o la colpevolezza di un imputato. Dopo gli esperimenti iniziali, il test ha assunto un’importanza fondamentale e si calcola che abbia aiutato la soluzione di circa 50.000 omicidi solo negli Stati Uniti. Ai tecnici incaricati di effettuare i prelievi viene fornito un kit contenente vetrini e buste da sigillare dove conservarli dopo il prelievo, un modulo dove i tecnici annoteranno le proprie osservazioni, un lenzuolo di carta dove poggiare il corpo della vittima - viva o morta che sia - durante le operazioni di prelievo, bacchette sterilizzate da riporre in buste da sigillare in modo che non vengano a contatto con altre sostanze, taglierino, buste di plastica dove riporre gli indumenti della vittima o altri reperti che potrebbero contenere le tracce organiche dell’autore di un reato. L’esame vero e proprio consiste nell’individuare eventuali residui spermatici, depositi di saliva, tracce di urina o di sangue che possano ricondurre al responsabile ma anche alla presenza di sostanze dopanti nel corpo della vittima. In mancanza di indiziati, i risultati verranno custoditi nei laboratori di medicina legale nella speranza che, per un motivo o per un altro, non scompaiano misteriosamente, cosa che avviene con impressionante frequenza negli Stati Uniti.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Si annuncia al Cremlino una lotta dura contro gli evasori fiscali, contro le varie tangentopoli, contro le lobby e la corruzione. E’ questa la prima sensazione che si coglie nella capitale dopo che il nuovo premier Zubkov (classe 1941) ha scoperto le carte parlando alla Duma, mostrandosi alla tv insieme al predecessore Fradkov (classe 1950), mentre gli addetti ai servizi logistici cambiavano la targa dell’ufficio. Ma dietro le quinte di questo teatro politico russo si è visto subito il volto di quel grande regista - manovratore e suggeritore, truccatore e sceneggiatore - che è Putin (classe 1952). Tutto quello che è avvenuto e che sta avvenendo in queste ore è frutto della sua intuizione e della sua capacità di saper manovrare rappresentando concezioni ed ideali che nessuno aveva messo nel conto. E con una mossa a sorpresa ha mischiato il mazzo di carte che si trovava sul tavolo verde del suo ufficio. Ha fatto ricorso al vecchio amico che aveva operato nella dirigenza del Pcus di Leningrado e con il quale aveva condiviso l’attività del commercio con l’estero. Ma Zubkov era anche qualcosa d’altro, perchè a Putin lo accomunava lo stesso impegno nel campo dell’intelligence. Uno si era dedicato ad attività oltre i confini e l’altro era impegnato nei servizi interni della polizia tributaria. Una stessa professione attuata su campi diversi che fa però sbattere nella prima pagina di un quotidiano di Mosca questo titolo a sensazione e sicuramente provocatorio: “Ed ora anche un uomo dei servizi nella poltrona di primo ministro”...

di Raffaele Matteotti

Continua a peggiorare la situazione in Somalia. Mentre il governo Ghedi ha riunito alcuni leader somali in una conferenza di pace abbastanza improbabile, a Mogadiscio continua l’escalation di violenze e cresce l’anarchia. Nell’ultima settimana sono stati uccisi tre giornalisti, tra i quali Ali Iman Sharmarke (Fondatore e direttore di Horn Afrik Media) e, per la prima volta nella storia somala, anche uno degli “anziani” leader tribali, Maalim Harun Maalim Yusuf, una delle anime del dialogo intersomalo, ucciso sulla porta di casa da alcuni killer che gli hanno sparato a freddo alla testa. Muoiono così i giornalisti che il governo non era riuscito a silenziare con arresti e decreti e viene profanata la figura dell’anziano, il rispetto della quale è un pilastro della cultura clanica somala che nessuno fino ad ora aveva osato attaccare. Nel mentre la situazione si deteriora sempre di più, riproducendo in sedicesimo lo scenario iracheno. Il governo-fantoccio sostenuto da USA ed Etiopia non ha alcun controllo del territorio, Mogadiscio è un campo di battaglia dal quale sono ormai fuggiti tutti quelli che potevano, mentre l’ONU alterna dichiarazioni di condanna e di sostegno al Governo Federale Transitorio di Alì Ghedi. Governo che promuove una conferenza di pace alla quale però non invita i nemici e che, mentre la conferenza è in corso, cerca di fare passare una legge sul petrolio invisa anche al principale partner di Ghedi, quel Yusuf che è presidente somalo e allo stesso tempo dominus del Puntland.


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