di Fabrizio Casari

Lo avevano definito con due letture contrapposte: una che lo voleva “demonio” e l’altra che lo trovava aspirante angelo del paradiso del compromesso. Daniel Ortega, neopresidente del Nicaragua, ha subito la singolare sorte di non piacere a nessuno al di fuori dei sandinisti, che corrispondono più o meno a quel 39 per cento di nicaraguensi che l’hanno votato e che, con il determinante contributo della divisione fratricida dei liberali, gli hanno aperto le porte alla vittoria elettorale dopo tre sconfitte. Ortega ha dato inizio al suo mandato nel modo che pochi si aspettavano. Persino i suoi detrattori di estrema destra, tenutari dell’animo somozista che alberga nelle case ricche della borghesia compradora nicaraguense, avrebbero comunque giurato di vedere il neo presidente indossare i panni dell’agnello per nascondere bene il pelo del lupo. Gli altri, quelli della sinistra sempre “oltre”, indice puntato e naso all’insù, (molti residenti in Italia) erano del resto convinti che i concetti di “amore e riconciliazione” fossero entità sostitutive di quelli di riscatto popolare e giustizia sociale nel lessico del neosandinismo. Spiazzati.

di Bianca Cerri

Chi pensava che le campagne elettorali americane avessero toccato il fondo, aspetti di vedere cosa accadrà l’anno prossimo, quando Hillary Clinton darà l’assalto alla Casa Bianca e non baderà a spese pur di aggiudicarsi il tanto agognato traguardo. L’ex-first lady, che passa da pacifista a guerrafondaia a seconda dei luoghi dove tiene i suoi comizi, conta soprattutto sul supporto delle donne e di quella parte dell’elettorato rimasto fedele ai Clinton. Quando il gioco si fa duro, cambia velocemente la maschera di abortista con quella di anti-abortista per schierarsi a fianco dei cosiddetti gruppi pro-life, i cui voti possono sempre servire. Ma chi finanzierà la corsa alla Casa Bianca di Hillary, a parte Rupert Murdoch, che le ha già fornito generosi aiuti economici? Probabilmente le grandi lobbies e i gruppi finanziari ebraici, ad iniziare dalla ING Holland, appartenente ad un tal Louis Sussman, da sempre nell’orbita dei Democratici USA.

di Carlo Benedetti

MOSCA. In Russia torna l’antiamericanismo dei tempi sovietici. Ma la colpa, questa volta, non è della propaganda rossa del Cremlino. Sono le dure immagini che provengono dall’Iraq che contribuiscono a far macinare i sentimenti di condanna e a far saltare i già precari equilibri di una coesistenza pacifica obbligata. In Russia sta quindi accadendo qualcosa di nuovo, di inedito. Perché non ci sono più le manifestazioni di piazza del periodo sovietico. Tutte ben organizzate e dirette dall’alto con le quali si esprimeva la condanna contro l’imperialismo americano. Erano i tempi del Vietnam, del Cile ... Ora non c’è nessuno che agita le folle, non ci sono i propagandisti del Cremlino che vanno a parlare nelle fabbriche e nei posti di lavoro. Eppure... monta la protesta. Che non si esprime ad alta voce, ma che porta la gente a ragionare, ad elaborare una propria posizione. E Putin - che sulla conduzione della politica estera si muove con pragmatismo, conscio del fatto che deve attraversare percorsi particolarmente accidentati - cerca di stare in sintonia con l’opinione pubblica interna. E così ai russi che vivono l’avventura irachena delle truppe di Bush attraverso la tv, offre ampi materiali di riflessione.

di Mazzetta

La Turchia ha un grave problema in un robusto deficit di democrazia che pesa come un macigno sulla sua reputazione internazionale. La mistica dell'emancipazione turca dal dominio coloniale e dal retaggio imperiale ottomano ha prodotto nel paese un forte nazionalismo, disposto a tutto quando sente attaccata l'identità nazionale così come è stata designata dal padre della patria Kemal Ataturk, anche ricorrendo alla violenza. La spina dorsale del nazionalismo turco è l'esercito, un esercito imponente che da decenni opera al di sopra della legge e di qualsiasi volontà politica; è l’esercito che reprime ed opprime i curdi da decenni, è l’esercito che tiene sotto tutela il premier “islamico” Erdogan, è ancora l’esercito che blocca le indagini sui tanti episodi nei quali i suoi uomini vengono sorpresi a commettere crimini spesso atroci. Ancora l’esercito è l’autorità che veglia in maniera tanto ossessiva sull’identità repubblicana turca, che mantiene contro il parere di tutti, anche dell’unione europea, molte leggi illiberali, tra queste anche il famigerato articolo 301 del codice penale: offesa all’identità turca.

di Luca Mazzucato


Tra il 2004 e il 2006, i governi di Siria e Israele avrebbero condotto delle trattative segrete con lo scopo di delineare uno scenario possibile per un accordo di pace tra i due paesi, in guerra da sessant'anni. Il risultato delle trattative, che si sarebbero interrotte durante la guerra in Libano, porterebbe ad una soluzione “creativa” dell'occupazione israeliana del Golan e sarebbe il primo passo efficace per isolare il regime iraniano, negli interessi americani e israeliani. Con uno scoop dettagliato e puntuale, il giornale israeliano Haaretz ha rotto il muro di gomma che la leadership israeliana oppone a negoziati con la Siria, suscitando peraltro un vespaio di polemiche in patria e nell'ostile vicino. La Siria, formalmente in stato di guerra con Israele dal 1948, ha recentemente reso pubblica la sua intenzione di normalizzare le relazioni diplomatiche con lo stato ebraico.


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