di Ron Paul *

Discorso dinanzi alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti
16 Febbraio 2006

"Signor Presidente, mi pongo in forte opposizione rispetto a questa proposta di legge che ritengo altamente pericolosa. I miei colleghi capiranno bene che questa proposta di legge ci sta portando direttamente verso la guerra contro l'Iran. Chiunque vede questa proposta di legge può sentire dentro di se un senso di déjà vu. In molti casi basta sostituire la parola "Iraq" alla parola "Iran" in questa proposta di legge e si ha la sensazione di tornare all'escalation precedente la guerra in Iraq del 2003. E la logica di questa escalation attuale è la medesima usata ai tempi della guerra in Iraq. Come nel caso dell'Iraq, infatti, questa risoluzione chiede all'Iran l'impossibile obiettivo di provare una cosa non esistente - in questo caso che l'Iran non abbia piani per costruire armi nucleari. Ci sono poche cose da ricordare quando parliamo dell'Iran e di questa proposta di legge. In primo luogo, l'Iran non ha mai violato le sue obbligazioni internazionali sulla non proliferazione nucleare.

di mazzetta

Negli Stati Uniti hanno pubblicato una raccolta completa dell'Osama-pensiero. Un'antologia completa delle sue dichiarazioni e delle sue apparizioni, "Message to the world", pubblicata da un editore "liberal", tradotta e commentata da un islamista americano. Sarà che "liberal" non è garanzia d'intelligenza, sarà che gli americani riusciranno sempre a stupire noi poveri europei, la pubblicazione riporta una serie di commenti destinati a far discutere.
L'opera in sé non apporta novità ed è ritenuta significativa per capire il personaggio. Gli autori sono evidentemente rimasti affascinati dal mito e, nell'introduzione di Bruce Lawrence, sono giunti a paragonare Osama a figure quali quella di Nasser o di Che Guevara. Osama è sicuramente debitore verso personaggi come Nasser, o il Che o anche verso altre figure rivoluzionarie; lo è nell'ispirazione e nell'abbondante utilizzo di figure retoriche già espresse dai movimenti di liberazione del secolo scorso; il che però non può autorizzare a saltare a conclusioni tanto improvvisate quanto infondate, visto che con costoro il bombarolo miliardario addestrato dalla Cia non ha niente a che vedere.

di Raffaele Matteotti

Sono cominciate ieri le operazioni di voto in Uganda, dove secondo i dati forniti dalla Commissione elettorale nazionale, 10 milioni e 450.000 elettori si sono registrati per votare, rispetto a una popolazione complessiva di 26,4 milioni. Un voto dall'esito incerto in un paese in qualche modo ostaggio del suo presidente. Si vota grazie al referendum celebratosi dopo forti pressioni da parte delle Nazioni Unite, che lo scorso luglio ha reintrodotto il multipartitismo.
Per la prima volta, gli altri candidati (oltre a Besigye, Miria Obote dell'Uganda People's Congress party, John Ssebaana Kizito del Democratic Party e l'indipendente Abed Bwanika) potranno partecipare alle elezioni sotto la bandiera di partiti politici. In tutto i candidati alla Presidenza sono cinque ma il vero confronto e tra il Presidente uscente ed il suo ex sodale, Kizza Besigye, capo del Forum per il cambiamento democratico. I sondaggi effettuati nelle ultime settimane attribuiscono infatti all'attuale Capo dello Stato e leader del Movimento di Resistenza Nazionale, il 47 per cento dei voti, mentre Besigye otterrebbe 36 per cento dei voti.

di mazzetta

Forse ricorderete la foto più diffusa dei torturati di Abu Grahib, quella del poveretto con il cappuccio in testa e i fili elettrici che penzolavano dal corpo messo in posa per le foto ricordo della soldatessa England e del suo amante. Quella foto ha ora il nome di Ali Shalal el Kaissi, un docente iracheno incarcerato e torturato nella casa degli orrori iracheni. Intervistato da Sigfrido Ranucci, che pare l'unico giornalista televisivo italiano capace di fare onestamente il suo lavoro coprendo la vicenda irachena, el Kaissi chiama pesantemente in causa le nostre truppe e le loro responsabilità.
El Kaissi non ricorda solamente il traffico di reperti archeologici praticato dai nostri militari, ma rivela anche che tra i boia in servizio nelle camere di tortura americane, c'erano anche nostri connazionali, secondo lui contractor alle dipendenze di Cagi o Titan, le due società americane che gestiscono il lager, entrambe già al centro di numerose inchieste per abusi e malversazioni economiche. Le due compagnie avrebbero reclutato personale di diverse nazionalità al quale appaltare gli interrogatori e tra questi alcuni italiani.

di Carlo Benedetti

I dossier che si trovano oggi sul tavolo di Putin sono lastricati d'imprevisti. In primo luogo quelli che si riferiscono al teatro mediorientale, dove la recente vittoria di Hamas in Palestina ha sconvolto (disegnando nuovi scenari) piani e rapporti di forza. Si può notare, in questo contesto, che il Cremlino - usando una terminologia d'ordine giuridico - sarebbe interessato a derubricare l'intera vicenda del conflitto Palestina-Israele, qualificandola sì come "reato" grave, ma cercando di rinviare tempi e modi di giudizio. Ma i ritmi della geopolitica impongono scelte immediate. E così Putin - immerso nelle acque stagnanti di una diplomazia mediorientale che non da segni di gran vitalità - si trova a dover fornire, nell'immediato, autonome proposte e soluzioni. Non tanto perché la Russia è pur sempre una potenza mondiale, quanto perché la situazione interna del suo Paese richiede precisi approcci. Risposte, quindi.
I "perché" sono chiari e vanno messi nel conto prima di aprire il dossier israelo-palestinese. Ricordiamo che è stato lo stesso Putin a sorprendere, in un certo senso, le diplomazie mondiali rendendo nota la decisione di portare la Russia nella Organizzazione della Conferenza Islamica e cioè in quel forum che dal 1969 comprende 75 stati con popolazione a maggioranza islamica.


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