di mazzetta

Olmert La Road Map è morta, Israele "deve prendere l'iniziativa da sé, dice Avi Ditcher alla Reuters, commentando i programmi che il premier Ehud Olmert ha annunciato in vista della prossima campagna elettorale. Con Sharon ancora immobilizzato in ospedale il suo successore accoglie i piani che si erano già intuiti dietro alle azioni del suo predecessore; piani che consistono, per andare al nocciolo, nell'annessione di una buona parte dei territori occupati.
Dai nostri giornali e telegiornali la notizia che passa è quella che il governo israeliano avrebbe deciso di continuare la "coraggiosa" politica di sgombero delle colonie; ma si tratta esattamente del contrario. I nostri media "vedono" la notizia dello sgombero di alcune piccole colonie isolate, ma si "distraggono" e non registrano l'intenzione israeliana di rinunciare a qualsiasi accordo e di procedere unilateralmente ad un'annessione di gran parte del Territori Occupati.

di Raffaele Matteotti

Si allarga in Africa la crisi della provincia sudanese del Darfur e tracima nel vicino Ciad. Un disastro umanitario di proporzioni enormi si avvia a divenire una confusa zona di massacri attraverso i confini di diversi paesi dell'Africa Sub-Sahariana.
Sono ormai tre anni che il mondo ignora la crisi del Darfur. Il Darfur è grande come la Francia e alcuni anni fa delle formazioni locali si ribellarono al governo sudanese, innescando la reazione governativa. In Darfur è in corso da anni una pulizia etnica che il governo ha affidato a milizie locali, occasionalmente rinforzati dall'esercito. I Janjaweed operano in bande, bruciano i villaggi del Darfur, hanno provocato finora oltre 200.000 morti, due milioni di profughi e continuano imperterriti a spadroneggiare sulle masse di civili indifesi che peregrinano nel deserto. La comunità internazionale ha brillato per assenza e si è allertata con un ritardo di oltre un anno, per non disturbare gli importanti accordi di pace tra il governo sudanese e i cristiani del Sud, prologo alla commercializzazione del petrolio sudanese.

di Bianca Cerri

Anche chi ha sempre storto la bocca davanti al pacifismo preventivo di Gandhi, avrà avuto un mancamento vedendo Bush spargere fiori sulla sua tomba. Perchè se è vero che l'omaggio al padre dell'indipendenza del paese è una tradizione rispettata da tutti i leaders stranieri in visita alla nazione indiana, è pur vero che nessun criminale di guerra aveva mai sostato davanti al mausoleo funebre di un apostolo della pace, tanto meno nel contesto di un viaggio asiatico dedicato alla proliferazione nucleare. Un viaggio in cui gli impegni e i discorsi ufficiali hanno impegnato il presidente americano al punto da fargli dimenticare che la tappa di Nuova Dheli ha coinciso con il quinto anniversario della sua iniziativa per la fede. Il Faith Day è passato sotto silenzio anche negli Stati Uniti dove, pur rappresentando un semplice passaggio di fondi pubblici dalle agenzie governative alle organizzazioni religiose, era sempre stato celebrato da migliaia di persone radunate sul grande prato antistante la Casa Bianca, che quest'anno è rimasto desolatamente vuoto. La festa mancata non è dispiaciuta invece alla Ragioneria di Stato, che si è risparmiata la fatica di spiegare che fine abbiano fatto milioni di dollari di fondi affidati all'Ufficio Organizzazioni Religiose della Casa Bianca.

di mazzetta

India e Stati Uniti siglano un accordo storico durante la visita di Bush.
l'India diventa grande e gli Stati Uniti un pò più piccoli.
George Perkovich, vice presidente agli studi della Carnegie Endowment for International Peace, lo ha definito "l'accordo di Babbo Natale", confermando un parere che coltivò fin da quando fu annunciata la nuova collaborazione tra USA e India nel giugno scorso.
L'America di Bush ha elevato l'India al rango dei migliori partner, offrendole doni e una serie di accordi tanto sbilanciati da sollevare più di un sospetto e molti dubbi.
I primi a sospettare sono gli indiani che, se per il 54 per cento ritengono che "l'accordo con gli USA farà diventare l'India una potenza", per un rispettabile 51 per cento in un altro sondaggio ritengono che "non ci si può fidare degli Usa sul lungo termine".
Oggi sono a disposizione maggiori dettagli ed è possibile fare un bilancio abbastanza accurato del do ut des complessivo di questa svolta che è assolutamente epocale e che influenzerà gli equilibri mondiali nel prossimo secolo, anche se per ora i commentatori occidentali non rivelano un gran interesse. Tace la politica europea, tace la Russia, si alza solo la flebile voce della Cina, che si limita ad auspicare che "tutti i paesi dotati di tecnologia nucleare siglino il Trattato di Non Proliferazione" e quella ilare del Pakistan che rivendica pari trattamento in quanto alleato fedele.

di Carlo Benedetti

Mintimer Sajmiev Nella scena politica della Russia post-sovietica emerge un personaggio che potrebbe segnare pagine destinate a sconvolgere la geopolitica locale, favorendo lo sviluppo dell'Islam pur conservandone una propria e riconoscibile identità sociale, politica, culturale e religiosa. E' un uomo che, con carisma e pragmatismo, sta ricostruendo la carta etnica dell'intero Paese. Si muove con estrema cautela e tesse, perfezionando e sviluppando tecniche di penetrazione, una rete che va oltre i confini russi.
Il suo nome è Mintimer Sajmiev. Musulmano di Kasan, nato nel 1937 ed attualmente Presidente della Repubblica del Tatarstan. Da anni leader incontrastato della regione dove, accanto al tricolore di Mosca, la bandiera verde dell'Islam sventola su un'area di 68mila chilometri quadrati con una popolazione di oltre cinque milioni, in stragrande maggioranza musulmani. Sajmiev - ingegnere meccanico - viene come tutti dalle fila del Partito Comunista. E' stato funzionario, poi Segretario regionale e membro del Comitato Centrale. Ed è arrivato alle più alte cariche istituzionali. La Repubblica dei tartari deve a lui la "Dichiarazione sulla sovranità nazionale" ed una linea politica centrista basata sulla stabilità e sullo sviluppo delle tradizioni locali, su valori e consuetudini che sembravano perduti per i cittadini del Tatarstan. Tutti valori che per l'intera regione sono quelli che si riallacciano all'Islam.


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