Una raffica di sentenze ultra-reazionarie emesse negli ultimi giorni ha riportato l’attenzione della stampa americana sulla funzione e lo status della Corte Suprema federale degli Stati Uniti. L’interpretazione oggettiva e imparziale della Costituzione da parte dei membri di questo tribunale ha infatti lasciato il passo a decisioni di parte con l’obiettivo di implementare un’agenda anti-democratica ben precisa. Alcuni dei giudici conservatori sono stati inoltre coinvolti recentemente in scandali pubblici per avere accettato regali e favori di vario genere da finanziatori miliardari del Partito Repubblicano. Al di là dell’affiliazione più o meno esplicita dei giudici, l’impopolarità del supremo tribunale è legata al ruolo stesso di quest’ultimo, diventato ormai un vero e proprio strumento della classe dirigente americana per smantellare quello che resta della legislazione progressista del secondo dopoguerra e degli anni Sessanta, nonché dei principi democratici fondamentali fissati nella carta costituzionale USA.

 

La discussione sulla Corte Suprema si è riaccesa a poco più di un anno dal verdetto che ha cancellato o, nella migliore delle ipotesi, seriamente limitato il diritto costituzionale all’interruzione di gravidanza. In un giorno solo, settimana scorsa la maggioranza dei giudici di ultra-destra della Corte Suprema ha bocciato un provvedimento della Casa Bianca destinato ad alleggerire parzialmente i debiti universitari di decine di milioni di studenti ed ex studenti e ratificato di fatto la discriminazione nei confronti delle coppie dello stesso sesso.

Nel primo caso, la maggioranza composta dai sei giudici conservatori ha bocciato e, quindi, abrogato il decreto del presidente Biden che intendeva cancellare fino a un massimo di 20 mila dollari di debito studentesco. La misura, in ogni caso di portata più ridotta rispetto a quella promessa in campagna elettorale nel 2020, interessava potenzialmente più di 40 milioni di americani. Quando era stata sospesa da una Corte d’Appello in attesa del giudizio della Corte Suprema, il dipartimento dell’Educazione aveva già approvato qualcosa come 16 milioni di richieste di cancellazione dei debiti accumulati durante gli studi.

La maggior parte degli americani toccati dal decreto aveva diritto a uno “sconto” non superiore ai 10 mila dollari. Se si considera che la media del debito studentesco ancora non pagato è di circa 35.500 dollari per ogni americano, l’intervento dell’amministrazione Biden non risultava particolarmente incisivo. Oltretutto, il costo medio complessivo di un quadriennio universitario in un ateneo pubblico negli Stati Uniti è arrivato oggi a toccare i 100 mila dollari e il contributo garantito agli studenti dal governo federale è in continua diminuzione.

Nonostante la relativa modestia degli aiuti in questione, il piano aveva scatenato l’indignazione degli ambienti repubblicani e ultra-conservatori, che hanno alla fine trovato soddisfazione alla Corte Suprema. La sentenza, scritta dal presidente del tribunale (“chief justice”) John Roberts, ha stabilito che la Casa Bianca ha agito senza l’autorizzazione del Congresso e, quindi, in maniera illegittima.

Inutile ricordare che l’indignazione è in questi casi sempre molto selettiva. Nessuno di coloro che ha assalito l’amministrazione Biden per le modalità e il merito del decreto sulla cancellazione parziale del debito studentesco ha mai espresso la minima disapprovazione per l’esborso di miliardi di dollari da destinare, ad esempio, alle banche in difficoltà. Lo scorso marzo, solo per citare il caso più recente, nessuna critica era stata espressa pubblicamente dopo che alcune banche americane sull’orlo del fallimento furono salvate dall’intervento tempestivo del Tesoro e della Fed grazie a un intervento “amministrativo” mai autorizzato dal Congresso.

Rispetto a iniziative come quest’ultima, il costo totale del piano di cancellazione del debito studentesco risultava di gran lunga inferiore. Si trattava cioè di poco più di 13 miliardi di dollari all’anno, ovvero briciole in confronto ad esempio al bilancio del dipartimento della Difesa, che potrebbe sfondare quota mille miliardi di dollari nel 2024, e al di sotto degli stanziamenti in denaro e armi assicurati in quindici mesi al regime ucraino per portare avanti una guerra sanguinosa e del tutto evitabile.

L’altro verdetto accoglie invece l’istanza di un “web designer” che, per convinzione religiosa, non intende accettare clienti omosessuali. La decisione della Corte Suprema ha fatto riferimento alla libertà di opinione e di credo religioso, ma questi principi, evidentemente garantiti dalla Costituzione, finiscono in questo caso per dare via libera a ogni forma di discriminazione, con implicazioni più ampie e inquietanti. Entrambe le sentenze sono responsabilità della maggioranza formata dai sei giudici conservatori o, per meglio dire, reazionari. I tre voti contrari sono stati invece quelli dei membri moderati della Corte, due delle quali nominate da Obama e una da Biden.

Nei giorni precedenti aveva sollevato durissime polemiche anche un altro verdetto della Corte Suprema, da molti considerato di portata “storica”. I giudici avevano liquidato la pratica in vigore da mezzo secolo negli Stati Uniti per favorire la diversificazione razziale nelle istituzioni scolastiche americane. Secondo la cosiddetta “affermative action”, l’appartenenza a una minoranza razziale può essere considerata uno degli elementi a favore di un determinato candidato per essere accettato in un “college” universitario.

Apparentemente, questa pratica risponde a un principio democratico e progressista, ma è stata in realtà utilizzata per decenni con altri fini dalla classe dirigente americana. La “affermative action” non ha infatti comportato una democratizzazione del sistema educativo. Piuttosto, il sistema bocciato dalla Corte Suprema ha permesso di cooptare un numero limitato di studenti appartenenti a minoranze etniche nell’élite scolastica e, in seguito, dell’accademia o degli affari, così da offrire al resto della popolazione l’esempio di una mobilità sociale possibile ma, in realtà, esclusa alla stragrande maggioranza degli americani.

In altre parole, la pratica della “affermative action” ha garantito in qualche modo stabilità e legittimità a un sistema elitario e ultra-classista dietro l’apparenza di democrazia e lotta al razzismo. Se la fazione dell’apparato di potere USA che ha denunciato la sentenza della Corte Suprema teme gli effetti destabilizzanti dell’emarginazione deliberata delle minoranze che essa determinerà, gli ambienti conservatori hanno valutato più importante rispondere alle pressioni della loro base reazionaria in un frangente storico in cui le pulsioni più retrograde stanno venendo alla luce e sono sfruttate apertamente per fini politici.

Tornando alla Corte Suprema, la deriva anti-democratica a cui si assiste da tempo dipende in buona parte dalla natura stessa di questo organo, come per il resto del sistema istituzionale americano al servizio di una ristretta élites totalmente disconnessa dagli interessi e dalle aspettative della maggioranza della popolazione. I nove giudici sono nominati a vita dal presidente degli Stati Uniti e vengono insediati in seguito al voto di ratifica del Senato di Washington. Una volta al loro posto non sono soggetti a nessuna supervisione e la loro rimozione risulta praticamente impossibile. Nella storia americana, nessun giudice della Corte Suprema è mai stato sottoposto a un procedimento di “impeachment”.

Le vicende degli ultimi giorni hanno rilanciato le proposte di riforma della Corte Suprema, quanto meno circa l’imposizione di limiti temporali alla carica dei giudici che vi siedono. Una maggiore rotazione dei suoi membri potrebbe secondo alcuni garantire una diversificazione degli orientamenti ideologici. Due deputati democratici hanno così presentato un disegno di legge per fissare a 18 anni la durata dell’incarico di giudice della Corte Suprema federale. La proposta risolverebbe forse solo in minima parte le problematiche emerse in questi anni e, in ogni caso, vista la composizione attuale del tribunale e la maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti, le possibilità che possa essere approvata sono di fatto pari a zero.

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