L’eco delle dichiarazioni di un paio di settimane fa del presidente francese Macron sul possibile invio di truppe NATO in Ucraina non si è ancora dissolta e si intreccia alle discussioni in corso in Occidente sulle decisioni da prendere di fronte all’avanzata delle forze russe. Molti commentatori hanno ricondotto le parole dell’inquilino dell’Eliseo alla disperazione strisciante tra i gli sponsor del regime di Zelensky per il possibile imminente tracollo dell’intero progetto ucraino. In effetti, la recentissima pubblicazione su una rivista francese di tre analisi condotte dall’intelligence militare transalpina sulla situazione in Ucraina devono avere messo ulteriormente in crisi Macron, tanto da spingerlo a dare una scossa agli alleati europei, alcuni dei quali sempre più incerti sull’opportunità di continuare ad alimentare una guerra impossibile da vincere.

 

Il “magazine” Marianne ha riportato i tre documenti che disegnano un quadro preoccupante per Kiev e i suoi alleati, assieme a una valutazione equilibrata delle potenzialità russe dopo oltre due anni di intense operazioni militari. Una parte importante dei rapporti citati ha a che fare con la disastrosa “controffensiva” dello scorso anno. Gli analisti militari francesi riassumono i fallimenti dal punto di vista della pianificazione, dell’esecuzione della strategia di attacco e del reclutamento di un numero adeguato di uomini per sfondare le linee difensive russe.

Dalle conclusioni che vengono tratte, il tentativo da parte della NATO di cercare una soluzione militare al conflitto sarebbe un “serio errore”. L’invio di militari francesi in Ucraina è quindi un’opzione tutt’altro che percorribile, vista la distanza dalle forze armate russe in termini di capacità e dotazioni. Gli altri due rapporti sono strettamente collegati al primo e approfondiscono rispettivamente la carenza di soldati ucraini da inviare al fronte, principalmente per via delle conseguenze della “guerra di attrito” condotta dalla Russia, e i contorni della caotica ritirata da Avdeevka.

La liberazione di questa cittadina alla periferia di Donetsk e la conseguente e ancora in corso avanzata russa hanno in particolare schiantato la resistenza ucraina, rendendo sostanzialmente inutile anche l’impiego di emergenza su questo fronte delle forze di élites della famigerata Terza Brigata d’Assalto, ovvero il neo-nazista Battaglione Azov incorporato nelle forze regolari di Kiev. Con la perdita dell’ultra-fortificata Avdeevka, i militari ucraini hanno dovuto rapidamente retrocedere, senza riuscire finora a stabilizzare la linea del fronte.

La notizia riportata da Marianne evidenzia quindi un’attitudine da parte dei leader occidentali, in questo caso il presidente francese, che continua a essere scollegata dalla realtà e, quanto meno per quel che riguarda le posizioni ufficiali, addirittura in contrapposizione alle valutazioni delle proprie agenzie di intelligence e dei militari. Questo genere di informazioni sono comunque tutt’altro che sconvolgenti e circolano da tempo sui media indipendenti, ma sempre più spesso anche tra quelli ufficiali.

È evidente che Macron voglia stimolare la reazione degli alleati europei in presenza di un certo raffreddamento da parte degli Stati Uniti nei confronti della causa ucraina, dovuto non tanto alla volontà della Casa Bianca quanto allo stallo del pacchetto di aiuti da oltre 60 miliardi di dollari da destinare a Kiev, che i repubblicani alla Camera dei Rappresentanti di Washington si rifiutano di sbloccare senza concessioni significative sul fronte della lotta all’immigrazione.

Se queste erano le intenzioni del presidente francese, i risultati non sono stati però quelli desiderati. Mentre l’obiettivo era di ristabilire l’unità dell’Europa attorno al sostegno al regime di Zelensky per mandare un messaggio di compattezza al Cremlino, le dichiarazioni sul possibile dispiegamento di militari NATO nel paese dell’ex URSS hanno al contrario fatto emergere le gravissime divisioni causate dal fallimento ucraino.

La spaccatura è risultata chiara soprattutto tra Francia e Germania. Il cancelliere tedesco Scholz è stato tra i leader NATO che ha respinto più fermamente l’ipotesi avanzata da Macron. La polemica si è poi intensificata in seguito alla pubblicazione da parte della rete russa RT di una conversazione intercettata tra alcuni alti ufficiali tedeschi che stavano studiando la possibilità di colpire obiettivi civili russi con missili a lungo raggio Taurus, occultando la collaborazione con i militari ucraini del personale che Berlino avrebbe dovuto inviare. La questione ha fatto emergere in definitiva i contrasti e le differenze tra le due principali potenze UE in merito alla scelta di quali armamenti trasferire a Kiev, al livello dell’impegno profuso nella causa ucraina e alle difficili scelte che si preannunciano nell’immediato futuro.

Intanto, nella giornata di mercoledì, l’Assemblea Nazionale francese ha approvato un accordo bilaterale sulla sicurezza con l’Ucraina. Della durata di dieci anni, il patto prevede tra l’altro l’invio di altre armi da parte francese e aiuti per tre miliardi di euro, nonché un piano di addestramento di militari ucraini. In aula, 372 deputati hanno votato a favore, 99 contro e 101 si sono astenuti, tra cui quelli dell’ex Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Il provvedimento è simile a quelli che hanno sottoscritto anche altri paesi occidentali nelle ultime settimane, inclusa l’Italia, e si inserisce anch’esso nel quadro dei tentativi di ostentare un qualche impegno concreto a favore di Kiev mentre, in parallelo al rafforzarsi nell’opinione pubblica dell’opposizione alle politiche guerrafondaie, il progetto ucraino sta andando in frantumi. Gli accordi, in ogni caso, sono sufficientemente vaghi e di portata relativamente limitata da renderli in sostanza iniziative poco più che di propaganda.

L’attrito russo

Dopo la già ricordata liberazione di Avdeevka, le forze di Mosca hanno accelerato le operazioni sul campo, sfruttando un’inerzia che ha prodotto risultati forse decisivi per il prosieguo della guerra. Analisti militari indipendenti hanno rilevato ad esempio l’efficacia con cui la Russia nelle ultime due settimane ha decimato i rimanenti sistemi di difesa anti-aerei ucraini.

L’ex CIA Larry Johnson ha spiegato che la distruzione di svariate batterie di HIMARS e Patriot arrivati dall’Occidente implica un degrado tale delle potenzialità difensive di Kiev da consentire alla Russia di ricorrere in gran parte a incursioni con droni per colpire gli obiettivi stabiliti. In questo modo, lo stock di missili ipersonici virtualmente impossibili da intercettare può essere conservato e incrementato, magari in previsione di un futuro scontro diretto con i paesi NATO.

Un articolo di lunedì di Analisi Difesa ha riassunto invece i risultati recenti delle operazioni russe e le sempre più pesanti perdite ucraine. La situazione per Kiev sarebbe talmente drammatica da avere convinto i comandi ucraini a fare affluire lungo il fronte 5 o 7 nuove brigate, secondo fonti russe “composte in buona parte da stranieri, col compito di impedire il completo collasso della linea di difesa a ovest di Orlovka e Berdychi, così come nella regione di Ocheretino”.

Particolarmente distruttive risultano le bombe guidate FAB-250, FAB-500 e FAB-1500, dove il numero corrisponde ai chili di esplosivo che sono in grado di trasportare. Questi ordigni vengono lanciati dai velivoli russi anche a 50 / 70 chilometri dall’obiettivo e richiedono quindi lo schieramento vicino alla linea del fronte dei sistemi antiaerei ucraini, esponendo questi ultimi ancora di più al fuoco russo.

Il martellamento dell’artiglieria di Mosca sta liquidando in fretta anche le dotazioni occidentali. Sempre Analisi Difesa ha citato il terzo carro armato americano Abrams distrutto in poche settimane sui 31 ceduti da Washington a Kiev. Molto peggio starebbe andando per i Leopard 2 tedeschi. 26 sui 38 forniti da Berlino sarebbero “inutilizzabili a causa di guasti e difficoltà di manutenzione dovuti a mancanza di pezzi di ricambio”. Carenze che riguardano infine anche i Challenger 2 britannici e gli obici M777 americani.

L’industria della guerra

Con un simile tasso di esaurimento delle scorte belliche, ciò che servirebbe in Occidente è un sistema produttivo in grado di stare al passo, non solo per rifornire l’Ucraina ma anche per non svuotare i depositi dei paesi NATO. La realtà, ancora una volta, è invece molto diversa e mette nella giusta prospettiva le vuote ostentazioni di forza di Biden, Macron e degli altri sponsor del regime di Zelensky.

Basti pensare all’esempio della Germania. La presentazione in parlamento questa settimana del rapporto annuale sullo stato delle forze armate tedesche ha dipinto un quadro scoraggiante. Carenza di equipaggiamenti, uomini e, in generale, di “qualsiasi cosa” caratterizza la situazione odierna, dovuta allo svuotamento delle scorte in seguito alle forniture consegnate all’Ucraina negli ultimi due anni.

Un simile scenario è condiviso da molti altri paesi NATO e contrasta clamorosamente con la situazione della Russia, rendendo assurde le velleità occidentali nel prospettare una futura guerra da vincere ad ogni costo contro Mosca. Un rapporto redatto dallo stesso Patto Atlantico e pubblicato in questi giorni dalla CNN ha rivelato infatti che, limitatamente alla produzione di munizioni, le potenzialità russe sono di circa tre volte superiori a quelle complessive di USA ed Europa. Secondo le stime NATO, in un anno l’industria bellica russa è in grado di produrre circa tre milioni di munizioni, contro appena 1,2 milioni sulle due sponde dell’Atlantico.

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