di Carlo Benedetti

Tra la Russia e l’Estonia c’è un brutto stato di tensione. Il governo di Tallin sta organizzando in queste ore lo spostamento di un monumento che fu costruito in onore dei soldati dell’Armata rossa che liberarono il Baltico. Il gesto è chiaro. L’Estonia attuale – quella nazionalista e antirussa – non tollera al centro della sua capitale un monumento che ricorda il periodo sovietico. L’operazione di demolizione dovrebbe avvenire di notte con la città praticamente bloccata e con la zona centrale isolata. Si temono “disordini” e proteste. Ma già i russi dell’Estonia, stanchi per gli insulti e le vessazioni del regime, sono scesi nelle strade della capitale per far sentire la loro voce al paese e all’Europa. Manifestano per difendere il monumento agli eroi dell’Armata e per chiedere rispetto nei confronti di quei soldati che diedero la loro vita per cacciare i nazisti e vincere la seconda guerra mondiale. E così, dopo tante e dure polemiche dei mesi scorsi, si è arrivati agli scontri di piazza con i nazionalfascisti locali che vogliono eliminare il sacrario (è chiamato il “Milite di bronzo”) e i russi che si oppongono. Si giunge – proprio alla vigilia della Festa della Vittoria sul nazismo – a cortei, meeting e marce di protesta. E gli estoni, organizzati nelle formazioni degli ex combattenti delle SS, attaccano con violenza. Nelle strade di Tallin una persona muore nel pieno di una manifestazione; i feriti sono 43 e gli arrestati più di 300. Ed è chiaro che la polizia che manganella e disperde la folla di russi, sta dalla parte dei nazionalisti mentre a Mosca l’ambasciatrice estone – Marina Kaldurian - dichiara che si è trattato solo di azioni messe in atto da teppisti locali…
Si riapre così drammaticamente l’intera questione storica. Gli estoni ritengono, infatti, che i soldati dell’Urss, durante la guerra, non arrivarono nel Baltico per liberare le terre dai nazisti, ma per occuparle e metterle nelle mani del governo comunista: prima quello di Mosca e poi quello che si formò a Tallin. La situazione, comunque, è ora resa ancor più drammatica per il fatto che il presidente estone, Toomas Hendrik Ilves, definisce i soldati sovietici caduti in guerra come “Un branco di banditi”. E, di conseguenza, il monumento del “Soldato di bronzo” altro non è – egli sostiene - che “un insulto nei confronti del popolo estone; reincarna le deportazioni e le esecuzioni di massa e non la liberazione".

E sempre per il massimo esponente estone appare molto strano il fatto che "la Russia, con i suoi 140 milioni di abitanti, si sia improvvisamente sentita insultata dall'Estonia, paese la cui popolazione supera di poco il milione complessivo. Gli estoni sono solo colpevoli di aver osato rammentare la storia. Il problema è che sinora da parte russa non è ancora stato riconosciuto il fatto che il regime sovietico di Stalin assassinava e terrorizzava la gente in paesi come l'Estonia; e parlando della liberazione dai nazisti, Mosca si dimentica che per gli estoni, cosiccome per i lituani, lettoni e polacchi, tutto ciò non rappresenta altro che centinaia di migliaia di deportati ed uccisi. Per noi l'Unione Sovietica significa proprio questo e non la liberazione dal fascismo".

Di conseguenza la politica ufficiale dell’Estonia di oggi (con grossi addentellati in Lituania e Lettonia) è concentrata sull’attacco alla Russia considerata, appunto, come la diretta erede dell’Unione Sovietica. Gli estoni del fascismo locale dimenticano comunque che nelle file dell’Armata rossa combatterono anche moltissimi soldati baltici.

Intanto l’intero processo di revisione storica aumenta. Si riaprono pagine del passato e su tutto soffia il vento delle destre. Nel dossier degli avvenimenti attuali – che si collegano però a vicende del passato – c’è la storia di alcuni estoni che - sopravvissuti alle deportazioni in Siberia del 1949 - hanno citato in giudizio un gruppo di ex agenti locali della polizia segreta sovietica - Karl-Leonhard Paulov (77 anni), Vladimir Kask (76 anni), Pyotr Kislyi (81 anni), Viktor Martson (81 anni), Heino Laus (75 anni), Stephan Nikeyev (78 anni), Rudolf Sasask (76 anni), August Kol (77 anni), Albert Kolga (78 anni) - accusandoli di aver organizzato le repressioni contro la popolazione estone nei primi anni del potere sovietico nel Baltico.

Secondo alcuni commentatori il processo potrebbe avere una ricaduta negativa sui già difficili rapporti tra Mosca e la repubblica baltica. Tra l'ex capitale sovietica e l'Estonia è, tra le altre cose, motivo di tensione il trattamento riservato da Tallin ai circa 400 mila cittadini estoni di etnia russa. Ora, col timore che il processo apra la strada ad altri procedimenti analoghi, il Cremlino - convinto che l'Estonia stia cercando una vera e propria vendetta - ha deciso di intervenire impegnando degli avvocati in grado di assistere gli accusati.

Da Mosca arrivano proteste forti e decise. Il vice primo ministro Sergei Ivanov, parla – a proposito delle azioni estoni contro il monumento ai soldati sovietici - di “vandalismo di Stato” e chiede ai cittadini russi di boicottare il made in Estonia. Minaccia poi tagli ai rifornimenti di energia e arriva fino ad accusare Tallinn di “incoraggiare il nazismo”. C’è anche una presa di posizione di Amnesty International, con una esponente dell’associazione - Irene Kahn - che definisce la politica del governo estone “repressiva e punitiva”.

Si annuncia un nuovo e duro periodo tra Tallin e Mosca. Ci si muove su un terreno insidioso che, comunque, esprime l’aria dei tempi. Tutto questo perché per le due nazioni – e i due popoli – chiudere una storia è più difficile che aprirla.

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