di Bianca Cerri

Fino a qualche tempo fa, George Bush era solito concludere i suoi interventi pubblici con l’immancabile “il peggio non accadrà”, al quale gli americani si erano ormai abituati. Fino a quando, dall’oggi al domani, il “non accadrà” venne drasticamente escluso dalla dialettica presidenziale. Il 16 aprile scorso, data del massacro al Virginia Tech, ha segnato il grande ritorno del “non accadrà”, solo che la cosa non ha nulla a che fare con Bush, ma riguarda piuttosto i Democratici. Già, perché che senso ha un partito che, pur avendo la maggioranza sia alla Camera che al Senato, ingaggia una fiumana di “esperti” pronti ad intorbidire le acque pur di non inimicarsi la lobby delle armi? Come si può privilegiare il calcolo politico davanti ad una tragedia come quella del Virginia Tech e permettere che tutto venga addebitato alla “pazzia” di un unico individuo, al quale per altro nulla aveva impedito di entrare in un’armeria ed uscirne pochi minuti dopo con una pistola sotto il braccio? Una cosa è certa: senza una lobby arrogante come quella delle armi, che dopo 102 stragi, continua a sostenere il diritto alla “autodifesa”, il killer del Virginia Tech avrebbe potuto al massimo procurarsi una mazza da baseball e le vittime sarebbero state molte di meno. Invece, l’America pullula di negozi dove, pagando, anche il maniaco più pericoloso può acquistare una mitraglietta e testarla sui compagni di classe. E non basta, perché, anche se ai media interessa poco, ogni anno centinaia di ragazzi tra i 10 ed i 18 anni si tolgono la vita con la pistola di papà. In Maine, Nebraska e Iowa, quasi l’80% dei minori che arrivano al suicidio si servono di armi da fuoco. Ragazzi come Preston Keefover e Ryan Schramm, 14 e 15 anni rispettivamente, che non si conoscevano tra loro pur abitando a soli 18 chilometri di distanza e che, per uno strano scherzo del destino, si sono dati la morte lo stesso giorno con la pistola di uno dei genitori.

Tempo fa, il World Herald ha intervistato 28 famiglie con un figlio minore morto suicida, scoprendo così che solo in tre casi i ragazzi avevano dovuto scassinare un armadio per impadronirsi dell’arma. In 18 stati americani un adulto risponde legalmente quando un minore si toglie la vita con un’arma di sua proprietà, mentre nei rimanenti 34 viene esentato da qualunque responsabilità. E’ vero che un inasprimento delle leggi non costituirebbe comunque una panacea assoluta, ma potrebbe pur sempre rivelarsi una strategia vincente per impedire a un ragazzo di togliersi la vita.

In stati come il Nebraska, Iowa e Maine , dove non esistono restrizioni, almeno 600 ragazzi tra gli 11 ed i 17 anni vengono curati in ospedale per ferite da arma da fuoco che loro stessi si sono inferti. Un fenomeno che, secondo i dati ufficiali, sarebbe più frequente nelle aree rurale che in quelle metropolitane. E benché le autorità continuino a dire che faranno di tutto per prevenire altre tragedia, la filosofia del “non accadrà” riesce sempre a prevalere su tutto il resto. In un paese come l’America, dove ci sono 192 milioni di armi da fuoco sparsi nelle case, forse sarebbe se non altro l’ora di responsabilizzare gli adulti.

I tentennamenti politici in materia di armi da fuoco hanno agevolato la nascita di fenomeni come la violenza nelle strade di Oakland in California, dove è in atto una vera e propria ecatombe di minori. Brandon Jackson aveva 16 anni e stava cercando di impedire il furto di un auto quando è stato freddato dai colpi di pistola sparati da un coetaneo assieme ad altri due ragazzi. Dwayne Chambers di anni ne aveva 17 e gli hanno sparato alla testa da una macchina in corsa poco dopo la mezzanotte mentre camminava verso la sua casa al numero 6440 di San Pablo Avenue. Frank Walker, 14 anni, tornava a casa in bicicletta dopo essere stato a pesca con gli amici. Nei pressi di una stazione della Greyhound, i ragazzi sono stati affiancati da una Honda e uno degli occupanti ha iniziato a sparare all’impazzata colpendo Frank in pieno petto.

La polizia di Oakland ha offerto un premio di 25.000 dollari a chi fornirà particolari utili a trovare i colpevoli. Anche Miguel Logan aveva 14 anni e si era appena iscritto alla prima liceo. Numerosi passanti hanno assistito alla sua morte ma, almeno secondo la polizia, tutti affermano di non essersi accorti di nulla. Per sfuggire agli uomini armati che lo inseguivano, Miguel si era rifugiato dietro un’auto in sosta ma i proiettili lo hanno raggiunto ugualmente. Quattro mesi prima anche sua madre era stata uccisa in una sparatoria. Miguel non aveva mai commesso reati. “E’ stato sfortunato, è capitato sulla 45° nel giorno sbagliato”, è stato il laconico commento di John Ashley, 17 anni, che di Miguel era amico.

Ma anche davanti ad una situazione così drammatica, esperti, poliziotti, assistenti sociali e famiglie sono tutti concordi che bisogna mettere fine alla violenza ma nessuno dice chiaramente che senza le armi difficilmente Oakland avrebbe mai conosciuto un aumento di omicidi pari al 57% l’anno. Troppo anche per chi vede la morte ogni giorno, come Charles Brewer e Norman McAdams, entrambi periti dell’Istituto di Medicina Legale di Oakland.


Brewer, che è stato anche militare, ha una certa consuetudine con la morte ma non sopporta la vista di bambini e ragazzi uccisi. Lo stesso accade ad Anthony London, un impresario di servizi funebri che cerca di rendere presentabili i corpi dei ragazzi sfigurati dai proiettili per non infliggere altro dolore alle famiglie. Una brutta incombenza anche per coloro che , come London, ci sono abituati. “Quando mi portano un ragazzo o una ragazza mi sento paralizzare dalla rabbia”, dice.

A partire dal dicembre 2005, London si è occupato dei corpi di 125 minori assassinati. Dopo l’ultimo, ha deciso che era giunta l’ora di fare qualcosa di concreto per mettere fine all’eccidio. Assieme all’amico fraterno Todd Walker, che allena i “Cougars”, una squadra di baseball composta da ragazzi fra gli 11 ed i 15 anni, ha deciso di organizzare dei tour molto particolari per insegnare ai giovani che devono tenersi alla larga dalle armi.

In un anno, infatti, i “Cougars” hanno perso tre giocatori, uccisi da ragazzi poco più grandi di loro e Walker era esasperato. I due amici hanno fatto vedere ai ragazzi cosa accade quando una persona viene uccisa con un’arma da fuoco. “Ho detto loro: cercate di non affezionarvi alle armi e, soprattutto, cercate di non farvi ammazzare. Magari non è bello ma mi ero reso conto che questi ragazzi pensavano alla morte e agli omicidi come pensano ai telefilms.

Ora sanno che non è così”, ha detto London. “Penso che la lezione sia servita a far capire ai ragazzi che le armi sono una cosa pericolosa”, aggiunge Walker. Dopo aver allenato quattro generazioni di piccoli atleti, il vecchio coach è stanco di vederseli mangiare dalla strada. “Ai miei ragazzi dico: fate che i vostri amici non indossino mai una t-shirt con la vostra faccia per ricordarvi quando eravate vivi”, dice nel suo colorito gergo afro americano. “Dovete vivere una lunga vita. E, quando sarà , il momento morire nel vostro letto, e questo è un ordine!!”. Speriamo che stavolta accada.

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