di Giuseppe Zaccagni

Da Varsavia Prodi (dove si è trovato per incontri ufficiali con i dirigenti locali) ha lanciato una proposta che potrebbe contribuire a rivoluzionare l’atteggiamento europeo nei confronti dell’Euro. Ha detto, infatti, che alla prossima riunione del G8 – convocata per il 6 giugno a Heiligendamm in Germania - si potrebbe affrontare il problema della sopravvalutazione dell’Euro rispetto alle altre monete. Tutto questo partendo dalla constatazione che l’agenda del G8 è di solito libera e che, di conseguenza, il vantaggio della riunione consente di inserire nell’ordine del giorno nuovi argomenti. C’è da attendersi, quindi, un dibattito in merito con relative ricadute sulla situazione politica ed economica italiana. Intanto a dominare la scena europea c’è ancora la riunione dell'Asem (Asia-Europe-Meeting) che si è svolta da poco ad Amburgo e che ha rappresentato – come è ormai nella tradizione – l’anticamera del vertice dei Grandi del mondo. Alla riunione si sono ritrovati i ministri degli Esteri di 27 Paesi dell'Unione Europea e di sedici Paesi asiatici. L’occasione è servita per affrontare quelle tematiche relative alle politiche di tutela ambientale necessarie a contrastare la minaccia dei cambiamenti climatici e gli impegni per promuovere la tutela dei diritti umani. Ma all’ordine del giorno ci sono state anche le principali crisi internazionali in atto, in particolare la spaventosa emergenza umanitaria nel Darfur. E su questo tema la Francia ha presentato nuove proposte relative, appunto, alla tragica situazione della regione occidentale sudanese, teatro da oltre quattro anni di un conflitto civile che ha provocato un numero terrificante di morti divenendo la maggiore emergenza umanitaria in atto nel mondo, con due milioni e mezzo di profughi.

E’ stato il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner (al suo esordio internazionale) ad ipotizzare, in un colloquio con quello cinese Yang Jiechi, la possibilità di aprire corridoi umanitari che, a partire dal confinante Ciad, dovrebbero essere messi in condizioni di sicurezza con l’apporto di truppe internazionali: i “caschi blu” dell’Onu. Kouchner ha anche chiesto al collega di Pechino che la Cina (Paese che assorbe circa il sessanta per cento dell'interscambio economico sudanese) partecipi ad un “Gruppo di contatto allargato” sul Darfur. E’ comunque noto che nei confronti del problema del Darfur il governo cinese persiste sempre nella tutela della sovranità e integrità territoriale del Sudan e nella promozione della soluzione pacifica del problema attraverso il dialogo e consultazioni paritarie.

In tal senso va ricordato che la portavoce del ministero degli Esteri cinese - Jiang Yu - ha affermato che il punto di partenza del governo cinese per la soluzione del problema del Darfur consiste nella pronta realizzazione negoziata della pace, nella stabilità e nella ricostruzione economica della regione. E fu proprio durante il summit di Pechino del Forum per la cooperazione sino-africana - tenutosi nel novembre scorso e durante una missione in Sudan del febbraio scorso - che il presidente cinese Hu Jintao si incontrò con il suo omologo sudanese Omar el-Beshir discutendo sul problema del Darfur ed illustrando la posizione di principio del governo cinese. Ossia, il rispetto della sovranità e integrità territoriale del Sudan, la persistenza nella soluzione pacifica attraverso il dialogo e consultazioni paritarie e l'appoggio alla valorizzazione del costruttivo ruolo dell'Ua e dell'Onu. Successivamente – e precisamente nell'aprile scorso - l'inviato speciale del governo cinese ed assistente del ministero degli Esteri - Zhai Jun - visitando il Sudan, lanciò un appello alla comunità internazionale per il rafforzamento dell'assistenza al Darfur e per l'aiuto alla ricostruzione e lo sviluppo dell'economia locale.

Ma non tutto sembra andare in questo verso. C’è, in proposito, una netta posizione espressa da Amnesty International. Questa organizzazione, infatti, sostiene apertamente che Cina e Russia sarebbero dietro al massacro nel Darfur. Secondo un rapporto presentato in merito, Mosca e Pechino eludono il bando sulla vendita delle armi al Sudan, imposto dal 2005, e forniscono aerei da guerra alle milizie Janjaweed per il bombardamento delle zone dove vivono civili. Le armi verrebbero ritirate direttamente dai membri della milizia, protetta dal governo di Omar Hassan el Beshir, “padre-padrone” del Sudan.

In risposta a queste accuse l’ambasciatore sudanese presso le Nazioni Unite - Abdel Mahmood Abdel Haleem - ha definito tutto questo “illazioni senza base né fondamento”. Ma Amnesty ha presentato anche diverse fotografie che ritraggono le forze aree militari locali mentre scaricano armi. Il coinvolgimento dei russi e dei cinesi sarebbe poi provato da alcune fotografie che ritraggono jet militari cinesi di tipo “Fanfan” e russi, gli “Antonov 26”, nella zona di Nyala, vicino al teatro di guerra. Si parla – sempre secondo le fonti di Amnesty – di un giro d’affari pari a 45 milioni di dollari: 24 per Pechino e 21 per Mosca. Questo coinvolgimento, conclude l’organizzazione umanitaria, dimostra che “alcuni Stati, compresi membri dello stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, permettono e partecipano all’ingresso di armi destinate al massacro dei civili in Darfur”.

Sin qui la controversa questione che da umanitaria diviene anche militare e finanziaria. E di questo dovrà parlare anche il prossimo G8. Come pure sarà presente nell’agenda dei lavori delle grandi diplomazie “europee” il problema palestinese. Con il ministro degli Esteri Massimo D'Alema che è tornato a proporre una forza internazionale di interposizione a Gaza sul modello della missione “Unifil” in Libano. Secondo D'Alema “l'esempio” messo in atto in quel paese è incoraggiante perché, tra l’altro, “ha finito per convincere anche gli israeliani”. Visto tale successo “si potrebbe pensare a una presenza internazionale a Gaza” che sarebbe a questo punto “meno irrealistica”. “Non possiamo più passare di crisi in crisi” - ha aggiunto D'Alema -, occorre dare una “prospettiva credibile” con una soluzione del conflitto israelo-palestinese, che “dia speranze alle forze che lavorano per la pace”.

E sempre in vista della riunione di Heiligendamm i “grandi” (ma in versione mignon) hanno anche discusso di una serie di pressioni che l’Unione Europea sta cercando di esercitare nei confronti dei partner internazionali affinché siano attuate le misure previste dai trattati internazionali, a partire dal Protocollo di Kyoto, per ridurre di conseguenza le emissioni dei gas nocivi responsabili del cosiddetto “effetto serra” e, più in generale, per promuovere politiche industriali compatibili con la salvaguardia dell'ambiente.

E qui si è registrata una certa novità. Perché sul problema del clima si è appreso che gli Usa intenderebbero proporre entro la fine del 2008 l'elaborazione di un nuovo accordo relativo ai paesi più inquinanti. Proprio il clima è, infatti, uno dei dossier più controversi nell'agenda del vertice del G8 di Heiligendamm. Ora, stando anche a quanto riferisce la Sueddeutsche Zeitung, Washington mirerebbe a includere tale proposta nel documento finale del vertice.

Si va, quindi, verso soluzioni di negoziato e verso nuovi compromessi. Ma il bilancio reale potrà essere tratto solo quando al grande vertice le delegazioni si troveranno a confrontarsi su questioni concrete e non sulle idee e sui desiderata come è avvenuto nella sessione amburghese. Dove, tra l’altro, si è fatto notare che una serie di eventuali intese con i Paesi asiatici - tutti protagonisti in questi anni di rilevanti fenomeni di industrializzazione - costituirebbero per l'Unione Europea un risultato rilevante e anche una base più solida nelle trattative con quei Governi, primo tra tutti quello degli Stati Uniti, meno disposti finora ad attuare le misure in questione.

Quanto alla cruciale questione della tutela dei diritti dell'uomo, l'Unione Europea sta cercando in particolare adesioni alla sua iniziativa volta a far approvare entro l'anno dall'Assemblea generale dell'Onu una moratoria universale sulla pena di morte. Il diario della diplomazia europea si fa quindi sempre più denso e complicato. Si delinea, ancora una volta, una difficile e, forse, inedita partita. Con i paesi europei che si trovano ad operare in un panorama internazionale che non potrebbe essere più fosco.

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