di Carlo Benedetti

Questa volta non saranno solo i noglobal a “disturbare” quei grandi del mondo che si ritrovano a Heiligendamm (nei pressi di Rostock sul Baltico) per il loro G8. Questa volta, infatti, la tradizionale riunione nasce in un clima di notevoli differenziazioni, di contrasti e di spinte che non vanno certo in direzione di quella politica del disgelo da tanto tempo propagandata. Perché soffia un forte vento freddo che cancella di colpo quei timidi passi che le diplomazie mondiali hanno sempre cercato di presentare come processi distensivi… Non è mai stato così ed oggi, soprattutto, non è così: americani e russi vanno al vertice con lo smoking che copre i giubbetti antiproiettile. Si è quindi alla vigilia di una nuova e difficile partita. E la Russia, in particolare, scende in campo con un bagaglio di accuse nei confronti dell’America di Bush. Al Cremlino, infatti, non è andata giù l’idea della Casa Bianca di circondare il territorio ex-sovietico con uno scudo antimissilistico globale. Una manovra che ha mandato in bestia Putin il quale, da Vienna cuore della Mitteleuropea, ha chiesto a Washington: ''Che succede di così negativo in Europa perché si debbano installare basi in Romania, nella Repubblica Ceca o in Polonia?… Tutto questo è avvenuto a sangue freddo e tutto questo porterà ad una nuova spirale nella corsa alle armi e noi riteniamo che ciò sia totalmente controproduttivo''. E a chi ha fatto notare al presidente russo che gli americani hanno organizzato solo “misure difensive” la risposta del Cremlino è stata ed è: “La nostra posizione non cambia. Non accettiamo missili puntati su di noi con la scusa di colpire missili che potrebbero attraversare il nostro territorio partendo da altri paesi”. L’accenno all’Iran è evidente. Ma Mosca vuole coprire la sua sovranità e non vuole che altri (cioè gli americani) approfittino della tensione internazionale per rafforzare le loro posizioni.

Di conseguenza, nessuna disponibilità al dialogo. Anzi. Putin torna ad accusare gli Usa di perseguire una politica “imperialista” (e l’uso di questo termine ricorda ai russi il vecchio linguaggio sovietico) colpevole, appunto, di aver scatenato la nuova corsa agli armamenti. E non c’è solo questo. Perché Putin aggiunge che i lanci (“sperimentali”) di nuovi missili russi effettuati in questi giorni sono solo la risposta ai sistemi antimissile americani. Ora, quindi, sia Mosca che Washington mostrano - pur con toni e motivazioni differenti - i volti della loro arroganza. E il G8 dovrà tenere conto di questa nuova tensione mettendo nel conto che i due grandi del mondo hanno a che fare anche con difficilissime situazioni interne. Bush incontra sempre più una forte opposizione per quella guerra che ha scatenato contro l’Iraq. E le bare di zinco - che ogni giorno rientrano nel territorio degli States con i voli speciali da Baghdad - ricordano a tutta la popolazione la tragica escalation militare. Le sconfitte portano il nome dei morti. E non si tratta solo di questo. Perché negli Usa si cominciano a rivedere molte pagine della storia più recente della Cia, le sue implicazioni nella vita dei paesi dell’America Latina. E, soprattutto, l’opinione pubblica americana registra i “no” che vengono a Bush da molti paesi, anche europei. E registra anche quell’ondata di “antiamericanismo” che va sviluppandosi nel mondo come conseguenza dell’atteggiamento che il governo Usa ha assunto nei confronti del mondo arabo. Si può, quindi, dire che oggi gli Usa di Bush hanno più nemici che amici.

Ma se l’America naviga in bruttissime acque, anche la Russia post-sovietica vive le sue grosse difficoltà. Naviga a vista con un Putin sempre più miope. E il suo punto dolente (colpe per il genocidio ceceno a parte) è quello che si riferisce al rapporto che ha con il settore nazionalista del paese. Proprio perché nel contesto geopolitico attuale questa Russia - dominata da quello che si autodefinisce come “Partito del Potere” - ha stretto un patto ferreo con un mondo del tutto particolare. Quello, appunto, del nazionalismo che nella variante russo-asiatica ha tutti i colori dello sciovinismo. Proprio perché condiziona la definizione di un sistema di sicurezza, capace di prevenire le crisi. E così si diffonde il contagio di un nazionalismo xenofobo, antieuropeo, provinciale e demagogico, con ambigue parentele, anche se formalmente smentite, con i fantasmi del nazifascismo. I deputati italiani che erano a Mosca per il gay-pride hanno toccato con mano questa realtà…

Tutto avviene con i nazionalisti (fedeli alla linea dei “grandi russi”) che permettono al Cremlino di costruire un discorso sull’identità fornendo al potere post-sovietico una “ideologia” religiosa di organizzazione della società. Portano avanti (e in questo sempre favoriti da Putin) tendenze che vanno da un’inclinazione “filo-socialista” ad un anticapitalismo violento e antiamericano. Il Cremlino tollera e – per ora - incassa i risultati.
Ma la crisi di identità è pur sempre evidente ed è di dimensioni storiche. Ecco perché al G8 di questi giorni lo scontro di civiltà tra Mosca e Washington, se si vorranno superare le divergenze, dovrebbe rientrare. Il primato del “sociale” dovrebbe prevalere sulle politiche di potenza. L’arroganza del potere – lo avvertiva un navigato come J.William Fulbright – non ha mai pagato.

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