di Giuseppe Zaccagni


A Bakù, capitale della repubblica ex sovietica che si affaccia sul Caspio, si inaugura la prima Chiesa cattolica dopo il crollo del potere sovietico locale. E’ un edificio di culto (un neogotico modernizzato, opera dell’architetto italiano Paolo Ruggero) che ospiterà d’ora in poi le cerimonie religiose per i circa 350 fedeli, metà dei quali sono discendenti di famiglie cattoliche locali e l'altra metà lavoratori immigrati dall'India e dalle Filippine. Ma questa chiesa (dedicata all’Immacolata Concezione della Vergine Maria) non è solo un punto di riferimento per i cattolici. Perché diviene, di fatto, la sede ufficiale del Vaticano in una terra a stragrande maggioranza musulmana (il 95% su 8 milioni di abitanti). Quindi, vero e proprio progetto strategico di lunga durata e che va visto come una rivoluzione radicale nella vita pubblica. La custodia di questa chiesa – vera missione diplomatica costruita con fondi vaticani su un mucchio di macerie – è intanto affidata ai Salesiani slovacchi (2 coadiutori e 4 sacerdoti), mentre le Missionarie della Carità si dedicheranno all’organizzazione di un centro per i senzatetto. C’è, quindi, una svolta precisa nella strategia d’oltretevere. Si rivela un ampio disegno che configura quelle azioni di proselitismo tanto contestate da un’altra chiesa: quella ortodossa di Mosca che si oppone (almeno sino ad oggi in un clima di emozioni e dissensi) all’ingresso dei cattolici nei territori dell’Est. L’Azerbaigjan islamico, invece, si mostra più malleabile e, quindi, disposto ad una sorta di cooperazione nel quadro di un discorso esplorativo. E non è un caso se a donare il territorio dove si trova ora la chiesa cattolica di Bakù fu il vecchio presidente del paese Gejdar Aljev (era stato uno dei massimi dirigenti del Partito comunista dell’Urss) in occasione della visita che Giovanni Paolo II effettuò nel giugno 2002.

Da oggi, quindi, il Vaticano estende la sua geopolitica – il suo mondo, il suo pensiero e il suo linguaggio - in questa area particolare. Le cronache, in proposito, rilevano che la regione è sempre stata un crogiolo di culture che si sono realizzate con esperienze reali e sofferte. Con il cristianesimo che ha una storia molto antica e che risale ad un misterioso popolo locale: gli albani, una delle genti caucasiche che ebbero intensi rapporti con i romani. Quanto alla presenza cristiana si sa che molto consistente è quella dei russi ortodossi.

Ed anche gli armeni locali – almeno sino agli avvenimenti bellici della guerra per il Nagorno-Karabach – avevano una forte concentrazione basata anche su tradizioni prettamente religiose. In questo contesto l’Azerbaigjan di oggi punta a restituire al passato la sua giusta dimensione trovandosi ad essere una vera e propria porta tra l’Oriente e l’Occidente che assume un significato particolare, un valore simbolico di apertura e di scambio anche nei confronti dell’intero mondo islamico. Un tema, questo, che fu al centro dei discorsi fatti dal Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua missione a Bakù del 2002.

Fu in quel momento che il Papa invitò l’Occidente a “riscoprire, col pieno rispetto dell’Oriente, il desiderio di un incontro culturale e spirituale più intenso”. E sempre il Papa invitò a rifiutare il fondamentalismo e ogni forma di imperialismo accentuando poi quelle situazioni di difficoltà drammatiche “subite dalla comunità cattolica nel tempo del comunismo”.

E’ chiaro così che quel messaggio resta come un’indicazione di lavoro in questa terra che ora il Vaticano raggiunge con tutti i crismi dell’ufficialità condannando quella “visione materialistica e neo-pagana” che caratterizzò nel passato l’atteggiamento ufficiale rispetto alle culture nazionali. Ma nello stesso tempo La Chiesa di Roma sa che nell’Azerbaigjan il governo, pur proclamando la libertà religiosa, mantiene attive forme di serrato controllo nei confronti delle diverse confessioni. Tutte, sulla carta, hanno diritto di esistere e condurre attività d'insegnamento e di proselitismo.

Ma è all’Islam che è accordato un ruolo ben preciso nella costruzione dello Stato, dell’evoluzione economica e della vita politica. Tutto questo pur se si cerca di moderare l’attività religiosa islamica che è registrata dal Consiglio musulmano e dal Comitato per gli affari religiosi: due organizzazioni che spesso censurano la letteratura religiosa e reprimono i gruppi che tentano di sfuggire al loro controllo.

Quanto ai movimenti religiosi stranieri, la tolleranza concessa loro dipende in gran parte dalle relazioni che il sistema politico vigente a Bakù mantiene con gli stati da cui provengono tali movimenti. E questo vale soprattutto per l'Iran a maggioranza sciita, pur se l'Azerbaigjan si considera più vicino - dal punto di vista storico e culturale - alla Turchia laica. Ne consegue che i movimenti islamici turchi sono più tollerati di quelli iraniani. Con la calata vaticana c’è da attendersi un processo di integrazioni e assimilazioni. Tutto avverrà lentamente e per gradi. Ma la prima pietra (vaticana) è stata posta.

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