di Carlo Benedetti

Il 10 giugno George W.Bush, il grande sponsor dell’Albania antislava e sostenitore delle formazioni militari dei ribelli dell’Uck, giunge a Tirana in visita ufficiale. Sarà ricevuto con tutti gli onori come si deve ad un padrone che ha fatto del “Paese delle aquile” un cortile di casa. Ma non sarà un ospite normale. Perché l’Albania di oggi sa bene che sta correndo un notevole pericolo, tanto che la sicurezza del presidente degli Usa sarà di competenza degli organi americani, Cia in testa. Con Bush arriveranno nella capitale albanese squadroni di marines ai quali il parlamento locale ha già dato carta bianca. Tutti hanno in tasca la licenza di uccidere. Perché sono autorizzati a ricorrere, se necessario, all'uso delle armi all'interno del territorio nazionale. “Tenendo presente la nuova realtà rappresentata dal pericolo terrorista – si precisa nella relazione che accompagna la decisione presa dal parlamento albanese - e in considerazione delle limitate possibilità offerte dalle truppe albanesi per garantire il massimo livello di sicurezza, sarà concesso alle forze militari americane, l'uso di tutti gli spazi aerei, marittimi e terrestri e di compiere adeguate azioni a fronte di qualunque pericolo o minaccia, che possa compromettere la sicurezza della visita, usando se necessario, anche la forza in modo proporzionale all'intensità del pericolo o della minaccia''. La speciale autorizzazione sarà poi estesa a tutti gli organismi della sicurezza statunitense che sosteranno in Albania prima, durante e immediatamente dopo la conclusione del viaggio presidenziale. All'interno della commissione legislativa l'unica astensione è giunta dall'ex premier socialista Bashkim Fino, che ha considerato la concessione del diritto di usare le armi, ai militari americani, come ''una mancanza di rispetto verso le forze armate albanesi e verso i nostri stessi connazionali''. Secondo Fino, infatti, la situazione all'interno dell'Albania è talmente calma da non giustificare questo tipo di precauzione. Ma è chiaro che gli americani hanno voluto invadere ogni residuo spazio di neutralità. Comunque vadano le cose è chiaro che Bush ha voluto dare un segnale particolare alla società albanese. E’ lui il padrone di tutto e la sua leadership sull’Albania è fuori discussione. I modelli di condotta sono così quelli d’Oltreoceano.

Ma la missione del presidente Usa non è tanto una visita di servizio, un’ispezione di routine sulla colonia. Bush vuole dare un segnale preciso all’area dei Balcani e alle maggiori diplomazie europee. Vuole sottolineare che sulla questione kosovara la Casa Bianca non molla. Vuole che il Kosovo accentui la sua adesione all’area albanese allontanandosi definitivamente dalla “protezione” di Belgrado. La tribuna di Tirana diviene quindi di massima importanza per gli americani e per i fedeli alleati albanesi. Ma nello stesso tempo c’è Belgrado che anticipa le mosse e spedisce a Mosca il suo premier, Vojislav Kostunica, al quale è affidata una missione estrema. Dovrà incontrare – e sarà la quinta volta – un Putin che da sempre manifesta amicizia per la causa dei fratelli serbi. L’occasione del faccia-a-faccia sarà quella del Forum economico previsto a San Pietroburgo (la vecchia Leningrado). Ma l’economia – quanto al rapporto tra Mosca e Belgrado – questa volta sarà relegata in secondo piano.

E’ noto, infatti, che la Russia sta investendo la propria credibilità politica nella difesa degli interessi strategici della Serbia, aiutandola a mantenere dentro i suoi confini il Kosovo, la sua regione meridionale. Ed è interesse della Serbia fare del tutto perché lo status futuro del Kosovo sia rallentato e che si creino le condizioni per l’apertura di altre opzioni, come ad esempio il rilancio di altre trattative. Belgrado – è risaputo - ha recentemente proposto ufficialmente che si apra una nuova tornata di colloqui sullo status futuro del Kosovo. La Russia, nel frattempo, ha respinto un altro tentativo avanzato nel Consiglio di sicurezza per discutere una nuova risoluzione, che dovrebbe subentrare a quella attuale. “La nuova risoluzione - dichiara Mihail Kaminjin, del ministero degli Esteri della Russia - non ci piace. Noi riteniamo che le trattative debbano essere continuate e che debba essere trovata una soluzione accettabile per entrambe le parti”. E Vitalij Curkin, rappresentante permanente del Cremlino nelle Nazioni Unite, annuncia che gli esperti russi non partecipano all’elaborazione della nuova risoluzione sul Kosovo restando sempre al corrente di quello che succede perché, appunto, presenziano alle consultazioni. Curkin non ha detto esplicitamente che la Russia porrà il veto, ma non ha escluso questa possibilità. Ed è chiaro che nel Consiglio di Sicurezza si scontrano opinioni e forze.

La situazione per la Russia, in un contesto più largo, è assai complessa. Per quanto riguarda l’Europa, Mosca non nasconde la determinazione e il desiderio di aiutare la Serbia difendendola nei suoi interessi strategici e militari. E si sa che il Cremlino ha sottolineato molte volte di essere contrario all’installazione dei missili in Polonia e Repubblica Ceca. E di non nascondere la sua contrarietà all’adesione dell’Ucraina e della Georgia alla NATO. E c’è ora una nuova ed allarmante notizia. La Russia denuncia, infatti, l’esistenza di notizie relative alla possibilità di uno stazionamento in Kosovo di militari statunitensi insieme alle forze dell’Unione europea che sostituiranno quelle della NATO.

Se si tiene presente tutto questo possiamo con sicurezza supporre che cosa dirà il premier serbo Kostunica a Putin. Dirà che la Serbia non accetterà mai la separazione del Kosovo: non permetterà che sia messa in questione la sua integrità territoriale e che le sia tolto il 15% del suo territorio. Il premier serbo dirà anche che la Serbia continuerà a proteggere i serbi che vivono nel Kosovo settentrionale e a rafforzare le sue istituzioni in quella zona. L’esito dell’incontro a San Pietroburgo è quindi atteso con impazienza. Dalla prima dichiarazione che il premier serbo rilascerà dopo il suo ritorno si capirà se la Russia sia davvero disposta a difendere fino in fondo gli interessi della Serbia. Sarà inoltre più chiaro in quale modo la Russia intende difendere i propri interessi. E su queste supposizioni numerosi sono i commenti.

“L’Occidente ha consentito che sia rimandata la soluzione alla questione kosovara” è il titolo di un articolo del quotidiano “Politika” nel quale si nota come sia sempre più probabile che il termine per la determinazione dello status futuro del Kosovo sarà rimandato. Il ministro degli Esteri della Gran Bretagna Margaret Becket, in tal senso, ammette che i Paesi occidentali sono disposti a rimandare la votazione sulla nuova risoluzione sul Kosovo nel Consiglio di sicurezza. “Non esiste un termine fisso per la soluzione alla questione kosovara” dichiara la Becket dopo la riunione dei ministri dei Paesi membri del gruppo G8 che si è tenuta a Potsdam. E aggiunge che sarà possibile trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti.

Ma su queste voci piomba anche un’informazione che viene da Mosca e che si riferisce ad alcune affermazioni del ministro degli Esteri del Cremlino, Lavrov, durante l’incontro del G8. Il capo della diplomazia russa avrebbe, infatti, paragonato il Kosovo alla Palestina chiedendo ai ministri dei Paesi occidentali perché hanno tanta fretta e vogliono proclamare subito l’indipendenza statale del Kosovo, mentre negli ultimi quaranta anni non hanno dato l’indipendenza a uno stato palestinese…

Le domande che dominano sia a Tirana che a Belgrado sono queste: il futuro del Kosovo sarà deciso in seno al Consiglio di Sicurezza Onu? Quando sarà adottata una nuova risoluzione? E che tipo di risoluzione sarà? Si sa, infatti, che dopo 14 mesi di negoziati tra Pristina e Belgrado, nel marzo scorso il mediatore Onu Martti Ahtisaari ha presentato un proprio rapporto introduttivo corredato di una più corposa proposta al Consiglio di Sicurezza. E subito dopo quasi metà dei membri del Consiglio hanno espresso riserve in merito alla proposta Ahtisaari e la Russia ha richiesto che l'intero Consiglio si recasse in Kosovo e Serbia. Missione compiuta: dal 25 al 28 aprile 2007. Ora ci si chiede se si arriverà ad una nuova risoluzione Onu.

Intanto la realtà è che esistono tre schieramenti. Da una parte gli Stati Uniti e il “governo” del Kosovo. Sostengono l'opzione indipendenza, da raggiungere in tempi brevi. C’è poi l'Unione Europea che, seppur non senza incertezze di alcuni dei paesi membri, sostiene il piano Ahtisaari. Infine un terzo schieramento è quello di Serbia e Russia: per il Kosovo si propone una forte autonomia, ma non l'indipendenza. Ora è chiaro che Bush arrivando in Albania vuol far sentire la sua voce nel cuore stesso dei Balcani. Ed è per questo che la Russia di Putin entra in stato d’allarme. Il Cremlino è preoccupato per il fatto che il contenzioso sul Kosovo rappresenti un precedente che vada a ledere il principio di sovranità – e che quindi costituisca un grimaldello giuridico che potrebbe scardinare varie aree dell'ex Unione Sovietica.

Tutto è quindi collegato. La Russia guarda al Kosovo, ma pensa alla sua Cecenia. Ed anche Bush guarda al Kosovo: ma pensa alla sua Israele che non cede su una Palestina come stato sovrano.

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