di Luca Mazzucato


Dopo una settimana di scontri cruenti, che hanno lasciato sul campo un centinaio di vittime, finisce la guerra civile nella Striscia di Gaza: il movimento islamico di Hamas sbaraglia le milizie di Fatah, facendo saltare in aria il loro quartier generale a Gaza City. Gli uomini di Fatah sono in fuga dalla Striscia, mentre lentamente torna la normalità per le strade di Gaza, dopo un anno di scontri armati. In West Bank, il presidente dell'ANP Abu Mazen scioglie il governo di unità nazionale di Haniyeh e tenta il colpo di stato, formando un nuovo governo con a capo Salam Fayyad, uomo di fiducia dell'amministrazione americana, mentre a Gaza rimane in carica il premier di Hamas. Bush riconosce subito il nuovo governo palestinese di Fatah e decide di rimuovere l'embargo all'ANP, in vigore dalla vittoria elettorale di Hamas lo scorso anno, con lo scopo di trasferire soldi e armi a Fatah in West Bank. Negli ultimi giorni di caos, La Repubblica e il Ministero degli Esteri diffondono la notizia che tutti i cooperanti italiani sono stati evacuati dalla Striscia: una menzogna per non irritare la diplomazia israeliana, perché nella Striscia è ancora presente Meri, una cooperante italiana a cui le forze di Occupazione hanno rifiutato l'ingresso in Israele e che si trova ancora imprigionata a Gaza.
Dopo interminabili mesi di continui scontri per le strade, vendette incrociate e efferati assassini di civili, ha fine la guerra civile nella Striscia di Gaza. Nell'ultima settimana, le milizie di Hamas hanno deciso di accelerare il conflitto e, nonostante la notevole inferiorità numerica, sono riuscite a guadagnare la vittoria militare su Al Fatah, la fazione rivale del presidente Abu Mazen, finanziata e armata da Stati Uniti e Israele. Dopo aver scavato un tunnel sotto la caserma sede della Forza Preventiva di Fatah, gli uomini mascherati di Hamas l'hanno fatta saltare con una tonnellata di esplosivo, con l'intenzione di costruire al suo posto una moschea. In poche ore, hanno occupato tutte le roccaforti di Fatah nella Striscia. I miliziani rivali si sono ritrovati allo sbando, un centinaio di questi ha aperto una breccia con l'esplosivo nel valico di Rafah, per scappare in Egitto, mentre altri sono scappati in barca verso Israele.

Tutte le tv e le radio di Fatah a Gaza sono state saccheggiate, mentre Hamas ha dichiarato di aver scoperto nel quartier generale di Fatah i documenti riservati che provano la stretta collaborazione delle milizie di Fatah con la CIA e con le forze occupanti. Per un mese e mezzo ormai gli abitanti di Gaza sono chiusi in casa per i continui scontri. Da qualche giorno possono finalmente uscire in strada e riprendere la vita normale, le scuole e i negozi riaprono, i check point con gli uomini mascherati sono finalmente spariti.

Gaza si è svegliata sotto il controllo delle milizie islamiche di Hamas. La parola d'ordine è porre fine all'anarchia generalizzata che da molti mesi regna nella Striscia: i miliziani ora cercano di disarmare tutte le milizie rivali, ma stanno incontrando la resistenza armata delle potenti famiglie mafiose della zona di Khan Younis, che non intendono deporre le armi in nessun caso. I dirigenti di Hamas anche hanno annunciato l'imminente soluzione del rapimento del giornalista della BBC Alan Johnston, rapito in Marzo da un potente clan del sud della Striscia.

La scorsa settimana, all'inasprirsi degli scontri nella Striscia, le varie ONG internazionali hanno deciso di evacuare i cooperanti presenti nella Striscia. Cinque cooperanti italiani sono stati evacuati dal consolato italiano di Gerusalemme, grazie ad un corridoio creato dalla Croce Rossa Internazionale tra i check point della varie fazioni. In una dichiarazione ufficiale, il Ministero degli Esteri, ripreso da un articolo di La Repubblica, ha dichiarato di aver tratto in salvo in Israele tutto il personale italiano presente nella Striscia,ma non è vero. Per non creare un caso diplomatico, le autorità italiane hanno finto di dimenticarsi di una cooperante italiana, Meri dell'ONG Jalla di Milano, che è tuttora imprigionata a Gaza City. Lo stato ebraico ha rifiutato il visto di ingresso a Meri: si tratta della famigerata prassi del “diniego di ingresso”, che le autorità israeliane utilizzano a piacimento per tenere lontani cittadini stranieri non desiderati, come vari operatori umanitari, ma soprattutto per attuare una silenziosa deportazione dei palestinesi, che al loro ritorno in Israele si vedono rifiutare a migliaia il visto d'ingresso. Ebbene Meri non può entrare in Israele, quindi è bloccata a Gaza, dal momento che le forze di Occupazione, nonostante il “ritiro” del 2005, mantengono il completo controllo dei confini della Striscia, attualmente tutti sigillati. Persino il valico di Rafah con l'Egitto, unica via d'uscita per Meri, è sbarrato dall'esercito israeliano. Il Ministero degli Esteri italiano, evidentemente, ha deciso di non fare alcuna pressione affinché permettesse di portare in salvo Meri sul suo territorio, nonostante la vita di Meri sia in pericolo a Gaza, decidendo dunque di mettere a rischio la sicurezza di una cittadina italiana piuttosto che creare un motivo di attrito con le autorità israeliane. Attualmente, la cooperante italiana si trova ancora bloccata nella sua abitazione nel centro di Gaza City.

La conquista di Gaza da parte di Hamas è stata così repentina da risultare imprevedibile: nonostante i continui rifornimenti di armi e denaro che Fatah ha ricevuto da Israele e Stati Uniti e in barba alla schiacciante superiorità numerica delle forze della guardia presidenziale, il movimento islamico ha fatto piazza pulita in poche ore della fazione rivale, attuando un'operazione evidentemente pianificata da molto tempo. Per la brutalità dei metodi utilizzati nell'ultimo assalto, alcuni suggeriscono la presenza di combattenti stranieri tra le forze islamiche. L'uomo forte di Fatah nella Striscia e uomo di fiducia degli americani, Mohammed Dahlan, si era già reso irreperibile da alcune settimane, mentre gli altri dirigenti di Fatah si sono dati alla macchia prima dell'inizio dell'ultima offensiva, lasciando i propri miliziani privi di qualsiasi direttiva, come si è visto nella repentina capitolazione. Nella Striscia di Gaza, dunque, ha preso il controllo del territorio il movimento di resistenza islamico, creando un vero e proprio terremoto politico in tutto il Medio Oriente. Mentre il premier Haniyeh dichiara subito di non voler creare alcuna entità politica separata a Gaza, a Ramallah, in West Bank, Abu Mazen scioglie il governo di unità nazionale, nato sotto la mediazione della monarchia saudita. Al suo posto, insedia il nuovo primo ministro indipendente Salam Fayyad, già Ministro delle Finanze nel governo di unità, noto economista e amico personale di Bush, in quello che si potrebbe definire un vero e proprio colpo di stato (se esistesse uno stato palestinese).

Il nuovo governo di emergenza di Fayyad rappresenta uno schiaffo al risultato elettorale dello scorso anno, in cui Hamas ha ottenuto una schiacciante maggioranza. Abu Mazen, spinto da Israele e Stati Uniti, ha deciso dunque di proseguire lungo la strada della separazione di fatto dei Territori, recidendo i legami anche politici tra la Striscia di Gaza e la West Bank, dove Fatah mantiene salde le redini delle forze di sicurezza, dando contemporaneamente il via alla caccia all'uomo nei confronti dei militanti di Hamas in West Bank. Mentre i poliziotti arrestano centinaia di esponenti di Hamas, in sostanza quelli che ancora non erano stati catturati dall'esercito israeliano, miliziani armati danno fuoco alle sedi del movimento islamico, in un drammatico espandersi degli scontri in Cisgiordania. Tuttavia, Abu Mazen non teme ritorsioni in West Bank, poiché sa di poter contare sull'aiuto delle forze di occupazione israeliane nella sua lotta contro Hamas.

Il circo della diplomazia internazionale non attende più di qualche ora per dichiarare il proprio completo sostegno per il nuovo governo golpista di Abu Mazen: l'Unione Europea e Israele riconoscono subito il cambio di regime, l'amministrazione americana si spinge oltre, annunciando la prossima rimozione dell'embargo economico che da un anno e mezzo strangola l'ANP e i Territori. La Lega Araba si ritrova al momento spaccata in due: mentre Egitto, Giordania e Arabia Saudita appoggiano Abu Mazen, Damasco, che ospita il leader di Hamas Khaled Meshal, ha ricordato che il governo di Hamas è l'unico rappresentante della volontà elettorale palestinese. In ogni caso, è chiaro che i nuovi finanziamenti internazionali finiranno direttamente nelle casse di Abu Mazen, che potrà rafforzare le proprie milizie in luce di un eventuale resa dei conti con Hamas in West Bank. I vertici dell'esercito israeliano sono rimasti estremamente colpiti a loro volta dalla rapida sconfitta delle forze di Fatah, che avevano contribuito ad addestrare e armare.

Lo stato maggiore israeliano dovrà elaborare una strategia completamente nuova nei confronti dei razzi Qassam che dalla Striscia piovono su Sderot. Mentre fino ad ora l'IDF aveva deciso di ridurre le proprie incursioni nella Striscia, per non indebolire la vacillante leadership di Fatah, d'ora in poi è probabile che Israele considererà Gaza alla stregua del Sud del Libano e Hamas come Hizbullah. Eventuali attacchi dalla Striscia verranno considerati atti di guerra a tutti gli effetti e la rappresaglia verrà portata senza alcuna pietà, anche e soprattutto contro le infrastrutture civili, come la scorsa estate dopo il rapimento del caporale dell'IDF Shalit. Tuttavia, la situazione è estremamente controversa, poiché in questo caso Israele si ritroverebbe impantanato direttamente nella guerra civile, prendendo ufficialmente le parti di Fatah, con risvolti del tutto imprevedibili.

Per uscire da questa empasse, Israele ha fatto propria la proposta di una forza multinazionale di pace a Gaza, proposta l'anno scorso dal Ministro degli Esteri D'Alema e in discussione in questi giorni al Consiglio di Sicurezza. Ma il suggerimento è stato immediatamente respinto da Hamas: mentre fino alla scorsa settimana una forza di pace sarebbe servita come interposizione tra le fazioni in lotta, ora tale soluzione avrebbe il solo risultato di ribaltare la vittoria sul campo di Hamas che controlla il territorio della Striscia. L'idea di una forza di pace a Gaza ha subito un altro duro colpo sabato, quando fonti diplomatiche hanno lasciato trapelare la possibilità di un accordo tra Italia e Siria, proposto dall'Italia con lo scopo di proteggere i soldati italiani UNIFIL in Libano. Israele ha subito stigmatizzato la notizia, facendo notare che se l'Italia comandasse una forza di pace a Gaza, invece di fermare i Qassam sparati su Sderot cercherebbe a sua volta un accordo segreto con Hamas per l'incolumità dei propri soldati.

L'esercito israeliano teme al contrario che l'improvvisa accelerazione della strategia di Hamas sia dovuta soprattutto ad influenze esterne, siriane e iraniane, con lo scopo di creare un terzo fronte di attacco, oltre a Siria e Hezbollah, nell'eventualità di un conflitto estivo sul Golan o di un attacco americano agli impianti nucleari iraniani. È dunque evidente che la conquista di Gaza da parte di Hamas, dopo ormai un anno di guerra civile, ha sorpreso tutti gli attori dell'area e ha precipitato i Territori nel caos. Alla violenza dell'Occupazione israeliana si somma ora la possibile separazione di Gaza e West Bank in entità indipendenti, che minerebbe al cuore la possibilità di una soluzione del conflitto israelo-palestinese.

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