di Agnese Licata

Ormai hanno superato il mezzo milione. Per contraddistinguerli tutti non basterebbero centinaia e centinaia di mazzi di carte, assi di picche, fiori, quadri o cuori. Oltre mezzo milione di presunti terroristi, annotati scrupolosamente in una lista di sorvegliati speciali continuamente ampliata dagli organi di difesa statunitensi. Un esercito transnazionale di ricercati: arabi in testa, certo, ma anche nomi americani ed europei. Per avere un’idea del “rigore” con cui vengono aggiunti nuovi sospettati alla lista, basta dire che ne fanno parte tutti quei musulmani occidentali che hanno la sola colpa di aver cambiato il proprio nome di origine anglofona con una versione araba. Paradossalmente, seguendo questa logica, anche il grande pugile Cassius Clay, diventato Muhammad Ali dopo la conversione all’Islam, avrebbe rischiato di essere fermato in aeroporto dalla polizia. Del resto, qualcosa di simile è realmente successo a John Thompson, allenatore della squadra americana di basket alle Olimpiadi del 1988 e adesso commentatore sportivo, ma, purtroppo per lui, anche omonimo di un sospetto terrorista di al-Qaeda inserito nella lista nera. All’aeroporto di Washington la polizia non ci ha pensato due volte ad arrestarlo e a condurlo in caserma per l’interrogatorio. Agli agenti sono stati necessarie due ore per capire di aver scambiato lucciole per lanterne. Facile pensare che non si tratti di un caso isolato, anche solo pensando all’alta probabilità di ritrovarsi con un nome simile - se non uguale - a uno dei tantissimi sospetti. Ci sono 509mila presunti terroristi, quindi. Un numero destinato, in teoria, a rimanere segreto, non fosse per una richiesta di finanziamento sul bilancio 2008, pubblicata sul sito del dipartimento della Difesa. Proprio nel testo del documento inviato al Parlamento dall’Fbi, si richiedono le risorse economiche necessarie a gestire “l’intera lista di 509mila nomi sospetti”. L’elenco, ad essere precisi, è la somma di due distinti registri. Il primo, il più corposo, composto da 465mila nomi e compilato dal National Counterterrorism Center (Nctc) considerando i legami con le varie organizzazioni terroristiche internazionali.

Il secondo viene invece gestito dall’Fbi e tra i suoi 40mila segnalati comprende esclusivamente persone sospettate di terrorismo interno (ad esempio, estremisti cattolici responsabili degli attacchi alle cliniche abortiste o alcune frange ambientaliste responsabili di attacchi incendiari).

Il più contestato, ovviamente, è quello del Nctc. Il Centro nazionale per il controterrorismo è una delle agenzie di difesa nate all’indomani dell’11 settembre. Operativo dal 2004, il centro ha la sua sede ipertecnologica nel Nord della Virginia e coordina ben trenta distinte reti informatiche negli Stati Uniti e all’estero. E’ qui che Cia, Fbi, dipartimento della Difesa e altre 15 agenzie federali fanno confluire le informazioni in proprio possesso, così da rendere più semplice e veloce l’incrocio dei dati. Dati che vanno da documenti governativi a foto satellitari, a conversazioni telefoniche. In mezzo a tutta questa montagna d’informazioni rovistano continuamente, dodici ore al giorno, gli oltre 400 dipendenti del Nctc, alla ricerca di potenziali minacce e terroristi.

Un impiego di risorse enorme, la cui reale utilità è stata messa in dubbio da più parti. L’elenco dei sospetti “cresce apparentemente senza controllo o limitazione”, ha dichiarato ai giornalisti americani Tim Sparapani, esperto di antiterrorismo e consulente per l’American Civil Liberties Union, un’associazione per la protezione dei diritti civili e costituzionali). “Se abbiamo 509mila nomi su quella lista – ha spiegato - la lista di controllo è virtualmente inutile. Si finisce per catturare persone innocenti, che non c’entrano nulla con il crimine o il terrorismo”. Pretendere di controllare gli spostamenti di mezzo milione di persone è davvero troppo anche per un sistema di sicurezza ipertrofico come quello americano.

E se è vero che tra quei 465mila nomi alcuni sono falsi, altri pseudonimi, altri ancora modi diversi di trascrivere una stessa identità (è il caso di Osama bin Laden, presente anche come Usama bin Ladin, Osama Bin Ladin e Usama Bin Laden), rimane comunque una stima di 350mila individui diversi segnalati come pericolosi. Una cifra enorme e di fatto incontrollabile.

Proprio negli stessi giorni in cui sui giornali americani veniva diffusa la notizia della chilometrica lista nera, una verifica interna all’Fbi confermava le continue violazioni commesse dagli agenti durante la raccolta d’informazioni personali in tema di terrorismo e spionaggio. Analizzando il 10 per cento delle indagini nazionali di sicurezza dal 2002 ad oggi, l’Fbi ha scoperto che in più di mille casi i suoi stessi agenti hanno violato la legge. Numeri che di certo lieviteranno non di poco quando la verifica verrà completata. E questo nonostante la legge in questione – il famoso Patriot Act – sia tutt’altro che restrittiva e conceda, anzi, molta mano libera agli investigatori. Lo strumento privilegiato dall’Fbi sono le così dette National Security Letters (Nsl).

Si tratta di particolari mandati che permettono agli investigatori di bypassare il controllo della magistratura. Per chiedere documenti e informazioni senza essere costretti a ottenere precedentemente l’autorizzazione di un giudice, basta dichiarare che si tratta di dati “rilevanti” per un’indagine che abbia lo scopo di proteggere il Paese da azioni di terrorismo internazionale o da attività clandestine d’intelligence. Non sorprende che solo nel 2005 siano state istruite qualcosa come 47mila Nsl.

Eppure gli agenti dell’Fbi sono riusciti a infrangere anche una norma così poco garantista. La maggior parte delle violazioni riguardano informazioni rilasciate da compagnie telefoniche e Internet provider. In molti casi queste aziende hanno fornito dati che eccedevano quelli richiesti dal mandato. L’Fbi, invece di distruggere le informazioni non volute, ha spesso creato ad hoc nuove Nsl per poter utilizzare anche questi dati. Non solo. Ai primi di marzo, Mike German, ex agente speciale dell’agenzia federale, ha dichiarato che spesso gli investigatori istruivano i mandati anche quando le indagini non erano state ancora aperte, violando, anche in questo caso, la legge. Inoltre, a volte veniva chiesto alle compagnie telefoniche di fornire subito i dati in nome di una fantomatica emergenza e affermando che il mandato avrebbe ottenuto a breve l’approvazione.

Di fronte a tutto questo, l’Fbi prova a ridimensionare il problema, affermando che non ci sono prove che gli agenti abbiano violato la legge consapevolmente, né che i supervisori abbiano incoraggiato tali comportamenti. Così, proprio per colmare cotanta “ignoranza”, la Federal Bureau of Investigation ha distribuito ai propri dipendenti alcune linee guida da rispettare nella raccolta dei dati altrui. Strano, comunque, che a degli agenti federali si debbano ricordare i diritti civili che la Carta costituzionale della loro stessa Nazione tutela e garantisce.

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