di Carlo Benedetti

E’ stato detto: gli ultimi saranno i primi. E a Bruxelles il “miracolo” si è svolto puntualmente, alla faccia degli interessi europei. Perché i due polacchi Kaczynski – il presidente Lech e l’altra metà il premier Jaroslaw, freschi di continente – sono praticamente riusciti a spuntarla con il loro disegno sostanzialmente antieuropeo. Tutto si è svolto nel quadro generale del vertice dell’Ue (presenti i capi di stato e di governo dei 27 paesi membri) chiamato a rilanciare le riforme istituzionali dell’Unione dominate da una serie di passaggi cruciali che caratterizzano il processo di integrazione. E così a Bruxelles – sotto la direzione del Cancelliere tedesco Angela Merkel – l’obiettivo primario è stato di smussare le divergenze venute alla luce dopo la bocciatura del referendum in Francia e in Olanda del Trattato Costituzionale. Ed è in questo contesto che è esploso subito il “caso polacco”. Perché Varsavia ha chiesto (con insistenza) di modificare il nuovo sistema di voto della doppia maggioranza (55 per cento degli Stati e 65 per cento della popolazione) introdotto al posto del voto all’unanimità attualmente in vigore e ritenuto non più adatto ad assicurare il funzionamento dell’Ue, ormai composta di 27 Paesi e destinata ad ulteriori allargamenti. I polacchi, in tutta questa vicenda, hanno alzato il tiro. Nello stesso tempo è venuto avanti il mediatore Sarkozy, che ha cercato di scongelare l’atmosfera con i gemelli di Varsavia ostili alle linee politiche europee della Germania. Il presidente francese, per contrastare l’idea polacca di sostituire alla doppia maggioranza la teoria della radice quadrata, ha proposto di ridare attualità al “Compromesso di Ioannina” (è la città greca dove fu raggiunto anni fa il famoso compromesso) che permette ai paesi che non hanno la maggioranza, ma che si sentono lesi nei loro interessi vitali, di obbligare gli altri a ridiscutere una decisione. Sarkozy ha così stretto un’alleanza tattica con Italia e Spagna per unire gli sforzi al tavolo del negoziato e ottenere qualche concessione dalla Germania per venire incontro alle richieste della Polonia. E in attesa di concretizzare questa strategia, ha portato a casa qualche successo per la Francia…

Le “colpe” dei polacchi, comunque, sono rimaste al loro posto. I due Kaczynski – con la loro insistenza – hanno cercato di mandare messaggi più ai loro polacchi che all’Europa. Dimostrando, con questo, che nel continente esiste una “anomalìa” polacca con la quale bisognerà sempre fare i conti. E in questo senso la nuova dirigenza di Varsavia mette in mostra molti difetti. Si era presentata, all’inizio del suo mandato, come una forza capace di dialogare con l’Ucraina, sviluppando allo stesso tempo una politica di buon vicinato con la Germania.

In pratica una capacità nuova tesa a ridisegnare la geopolitica europea. Ma alla prova dei fatti i Kaczynski sono crollati. Almeno sul piano dello scacchiere europeo. La scena del continente è cambiata. L’Ucraina si è ripresa quella fetta di autonomia che sembrava aver perso e la Germania della Merkel ha fatto sentire il suo pugno. E in tutto questo i gemelli si sono ritrovati una serie di nuovi nemici proprio in casa, a partire dai post-comunisti che sembravano normalizzati ed alcuni esponenti di Solidarnosc che ora stanno all’opposizione e che sono diventati europeisti ad oltranza.

Comunque sia l’ostilità di Varsavia è (per ora) superata con un compromesso sui tempi e sulle clausole di garanzia. E si può dire che il passo del gambero è stato notevolmente ridotto. Ma ora che l’accordo è stato raggiunto i dubbi restano e ciascuno dei due fronti può cantare vittoria o lamentare una sconfitta. Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, secondo la prospettiva dalla quale si guarda. Mezzo pieno, comunque, per la Merkel che - uscita “viva” dalla estenuante trattativa con i gemelli – riesce ad annunciare che “L’Europa si ritrova”. Parla così di “un progresso chiaro ed importante”, che permetterà di “agire”. E nello stesso tempo assicura che l'accordo raggiunto è “un buon compromesso”, buono “per l'Unione Europea e per gli Stati membri”. E sempre la Merkel, che è presidente di turno uscente dell'Unione Europea, sottolinea con soddisfazione due aggiunte rispetto al Trattato costituzionale del 2004: sono infatti, introdotti il principio della solidarietà energetica e quello della lotta ai mutamenti climatici.

I leader dei 27 hanno dunque raggiunto un'intesa sul mandato negoziale per la Conferenza intergovernativa che, nei prossimi mesi, sotto la presidenza semestrale di turno portoghese, dovrà redigere il nuovo Trattato che riscrive le regole per l'Unione Europea allargata. Tutto questo in vista del 2009 quando l’Unione avrà un nuovo Presidente del Consiglio, che resterà in carica per due anni e mezzo. Avrà un mandato rinnovabile per una sola volta. Sostituirà le presidenze semestrali a rotazione assegnate ogni sei mesi ad ogni Paese.

Sempre nel 2009, le presidenze semestrali resteranno invece in vigore per le riunioni, i negoziati e le decisioni su tutti i temi settoriali: dall'agricoltura, all'economia e alla politica fiscale, all'ambiente. Non vi sarà il ministro degli Esteri, ma l'Alto rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera e di sicurezza, carica attualmente ricoperta da Javier Solana. Dal 2009 l'Unione Europea acquisterà poi piena personalità giuridica come soggetto internazionale. Potrà firmare trattati internazionali in nome di tutti i suoi Stati membri. Saranno ampliati poteri e competenze del Parlamento europeo, che avrà 750 seggi (16 in più di oggi). Inoltre la Commissione dal 2014 sarà composta di tanti commissari pari ai due terzi dei Paesi membri dell'Unione Europea.

Il sistema di voto cambierà soltanto dal 2017 e non dal 2009. Lo slittamento della riforma è una concessione “strappata” alla Polonia. Fino al 2017 si voterà secondo il calcolo dei voti assegnati da ogni Paese dai Trattati del vertice di Nizza. Dal 2017 si passerà al sistema di votazione definitivo, che prevede una maggioranza qualificata, calcolata in base al 55 per cento degli Stati membri e al 65 per cento della popolazione dell'Unione Europea.

Prodi e D’Alema, comunque, manifestano una serie di perplessità. L’intesa, dicono, è stata importante, ma acciuffata per i capelli. Anche con trattative che hanno messo definitivamente in chiaro contrapposizioni e visioni di fondo divergenti sul concetto di Europa con molti Paesi che hanno perduto lo spirito di lavoro comune e lo spirito europeo. Per Prodi, inoltre, la riunione di Bruxelles rafforzando il vecchio continente, lo fa sì uscire da una pericolosa fase di "stallo", ma lascia anche l'amaro in bocca per l'atteggiamento di alcuni leader venuti con l'intento "scientifico" di "frenare" un'intesa piena. E tra i “frenatori” il Professore ha inteso parlare in primo luogo della Gran Bretagna di Tony Blair.

Londra – ha detto sempre Prodi - ha "portato avanti una concezione diversa di Europa e questo bisogna dirlo con chiarezza e onestà intellettuale". Quanto alla Polonia (ma questo non è stato detto a viva voce) i problemi restano. I gemelli – è chiaro – vogliono una Europa made in Poland. E questo non corrisponde all’idea di una Unione Europea che reclama a voce alta i valori della democrazia, del rispetto e della solidarietà.

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