di Carlo Benedetti

MOSCA Si arriva nella capitale russa e subito si scopre che c’è - oltrefrontiera - una nuova Cecenia che si materializza in un’altra parte del cuore del Caucaso. Per ora c’è solo il recente risultato di un referendum (supercontestato) che assegna la vittoria all’Armenia nella contestata questione del Nagorno-Karabach, l’autoproclamata repubblica autonoma abitata in maggioranza dagli armeni ma inserita nel territorio dell’Azerbaijan. Una enclave che da sempre è al centro di scontri tra Baku e Erevan rivelando - dal punto di vista geopolitico - che in una regione già calda c’è un vero e proprio “conflitto congelato” sempre a rischio di nuovi inneschi. Il territorio contestato è minimo: 4400 chilometri quadrati. Ma è qui che si concentrano problemi epocali che segnano il rapporto tra le due grandi entità della regione: l’Armenia forte dell’appoggio di una diaspora internazionale e di lobby presenti negli Usa e in Israele; l’Azerbaijan legato al mondo turco ma pur sempre ancorato alla politica estera espressa da Mosca. E così questa enclave del Nagorno-Karabach, pur trovandosi nel cuore dell’Azerbaijan non si sente azera e, in particolare dal 1988, alza la testa contro i “coloni” di Baku. Abitata da una popolazione totale di 192.000 persone si caratterizza con due etnie - gli armeni (76%) che abitano nei fondivalle e i curdi e gli azeri (23%) nelle montagne. L’intera zona - caratterizzata da una crisi di identità di dimensioni storiche - è comunque parte integrante dell’Azerbaijan, pur se a partire dagli anni ’90 è sotto il controllo militare armeno. La capitale è Stepanakert ed è qui che si registrano i maggiori scontri politici e militari che colpiscono direttamente i governi di Baku e di Erevan e che mettono sempre più in evidenza anche gli aspetti più duri di un secolare conflitto religioso, carico di ostilità e di intollernze. Da un lato il cristianesimo, dall’altro l’islam.

E le storie di queste due grandi entità sono lastricate di dati e fatti che ancor oggi sono oggetto di contestazione. Si va dalla rievocazione del predominio del cristianesimo segnato dal V secolo, all’invasione araba... E quanto alla storia più recente le cronache rilevano che dopo la rivoluzione dei bolscevichi del 1917, il Karabakh fu inglobato nella Federazione Transcaucasica, che ben presto si divise tra Armenia, Azerbaijan e Georgia. Nel 1920, quando la Transcaucasia finì decisamente nell’orbita del nuovo potere rivoluzionario, si verificarono nuovi spostamenti di confini. E fu così che venne creata la Regione autonoma del Nagorno-Karabach nell’ambito della repubblica dell’Azerbaijan. Tutto il contenzioso tra Baku e Erevan, pur essendo sempre a rischio di esplosione, è restato negli anni sovietici sotto il controllo politico, militare ed economico. Ma con la dissoluzione dell'Unione Sovietica - tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta - la questione è riemersa evidenziando il peso delle tante repressioni.

Lamentando “l'azerificazione” forzata della regione operata da Baku, la locale popolazione armena, con il supporto ideologico e materiale dell'Armenia stessa, ha cominciato a mobilitarsi per riunire la regione al potere di Erevan. Da allora è stata ed è guerra fredda e calda, vero braccio di ferro sfociato in guerra aperta, con un bilancio di circa 30.000 morti e oltre un milione di profughi. Si sono registrati pogrom contro le minoranze etniche sino a giungere, con il crollo dell’Urss avvenuto nel 1991, ad una situazione di “vuoto” politico ed istituzionale.

Attualmente la situazione del Nagorno-Karabach (regione incapace di risalire la china dell'estrema povertà in cui è piombata con il conflitto dei primi anni novanta, malgrado gli aiuti finanziari della diaspora armena) torna ad imporsi nell’arena politica e diplomatica, perchè i fatti di questi ultimi mesi destano serie preoccupazioni. C’è stato nella regione un referendum organizzato dalle forze armene che ha sancito una nuova Costituzione e nelle settimane scorse si è compiuto un nuovo passo sulla strada di quella che viene auspicata come una definitiva indipendenza. Perchè il refrendum organizzato dagli armeni ha segnato la vittoria di Bako Saakian, un ex generale che si è distinto per la sua fermezza come capo del servizio di sicurezza nazionale.

Il personaggio ha quarantasette anni ed è da tutti ritenuto un “falco”. La sua biografia militare lo descrive come un uomo pronto a tutto, senza scrupoli e soprattutto impegnato sul fronte della lotta alla comunità azera. Nemico dell’Islam e del rapporto con la Turchia e amico degli americani. Ora - forte dell’85% toccato dal referendum - promette un'accelerazione del cammino verso il divorzio definitivo dall'Azerbaijan.

Ma lo scontro istituzionale è pur sempre all’orizzonte. Baku mostra i denti e si dichiara pronta a contestare i risultati di Stepanakert. E in questo contesto non bisogna dimenticare che ci si trova nel cuore del Caucaso, e cioè di una regione da secoli attraversata da rivalit? e inimicizie profonde dovute non solo a questioni etniche, ma anche da motivi religiosi, come insegna proprio il caso di questa terra del Nagorno-Karabach, un microcosmo cristiano con circa 190mila fedeli della Chiesa apostolica armena che vivono isolati nel cuore di un Paese del tutto musulmano.

Ecco quindi che in questo complesso geopolitico lo scenario più probabile potrebbe essere quello relativo ad un nuovo inasprimento nei rapporti tra l’autoproclamata repubblica indipendente e le autorit? azere. E’ quindi il caso di dire che le nuvole della tensione si stanno addensando, coprendo ogni prospettiva distensiva. Perchè in caso di nuova tensione, entrerebbero in campo anche le diplomazie della Russia e degli Stati Uniti. E questo anche per il fatto che proprio in questo periodo la Casa Bianca e il Cremlino si stanno scontrando sullo “scudo spaziale” con i russi che non a caso hanno proposto agli americani di installare i loro missili proprio in Azerbaijan. E così il confronto sul Nagorno-Karabach - vero punto di relativo quilibrio - è un’eventualit? poco desiderabile.

A Mosca, intanto, ci si interroga su quale sarà, in concreto, l’atteggiamento di Saakian. Ma ci si chiede anche quale sarà la sorte di quel tormentato fronte dell’Ossezia del Sud che è egualmente una repubblica autoproclamata e che vuole la secessione dalla Georgia. Il Cremlino, in pratica, si trova tra due fuochi. Da un lato vuol favorire la permanenza del Nagorno-Karabach nell’orbita azera, dall’altro vuole favorire l’Ossezia nel suo ditacco dalla Georgia.

Ma le difficoltà - quanto al rapporto con Stepanakert - sono ancor più complesse. Perchè in questo caso una Russia che mostrerà di schierarsi contro l’enclave armena potrebbe essere vista all’estero come una decisione ostile al mondo cristiano. E solo schierarsi contro il governo azero danneggerebbe i rapporti commerciali basati sul commercio di gas e di petrolio.

Il groviglio di interessi nazionali ed esteri scatenatisi intorno al Nagorno-Karabach (qui le forze centrifughe hanno radici molto profonde) è, forse perfino più della Cecenia e dell’Ossezia del Sud, il simbolo delle contraddizioni che si sono aperte dallo sfaldamento dell’Urss. E considerato che lo stesso Azerbaijan, a sua volta, ha una piccola enclave tra l’Armenia e l’Iran, risulta evidente che il fattore etnico e religioso nel Caucaso rimane oggi più d’attualit? che mai. Per non parlare poi delle potenze occidentali che vedono con terrore l’eventualit? di un blocco dei ricchi oleodotti azeri. L’atmosfera generale è pesante e annuncia nuovi sussulti della tempesta caucasica.


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