di Giuseppe Zaccagni

Comincia ad Askabad, capitale della Turkmenia (ex repubblica sovietica), la resa dei conti. Scomparso il 21 dicembre 2006 il vecchio leader Saparmurat Nijazov, il nuovo presidente Kurbanguly Berdymukhamedov da il via - secondo le migliori tradizioni delle oligarchie asiatiche - ad una serie di purghe e di arresti nell’ambito delle nomenklature dello stato e del governo. Vengono messi in galera molti dei più stretti collaboratori dell’ex padrone della Turkmenia. Il primo della lista è il vecchio ministro dell’Agricoltura, Pajzygely Meredov, che è ancor oggi considerato come uno degli uomini più ricchi dell’Asia ex sovietica. Era lui che - col pieno accordo del presidente Niazov - provvedeva ad esportare il cotone (che è, in pratica, l’oro nazionale) e ad incassare direttamente il ricavato depositandolo in conti svizzeri. Nella stella cella della prigione di Askabad gli fa compagnia suo figlio, Batyr, che trafficava con prodotti turkmeni venduti negli Emirati Arabi e trasformati in dollari che finivano nelle banche di sua fiducia in vari paesi europei. Ora si scopre anche che il “tanto amato padre della Turkmenia, Nijazov” aveva accumulato tesori inestimabili (casse di diamanti) che il suo fedele aiutante Meredov si preoccupò di far scomparire non appena ricevette la notizia della morte del capo. Sull’intera vicenda il presidente attuale fonda la sua attività di “pulizia morale” e così finisce in carcere (vi rimarrà per 20 anni) anche il responsabile della sicurezza, Akmurad Pejepov. Contemporaneamente esce ad Askadad un decreto governativo che abolisce il “Fondo Internazionale Nijazov”, che doveva essere una istituzione di stampo sociale e culturale e che, invece, altro non era che una organizzazione a delinquere. Grazie alla quale il vecchio presidente versava i ricavati delle vendite del gas turkmeno e le donazioni dei suoi amici sceicchi. Un bottino di tutto rilievo che, in totale, si aggira sui tre miliardi di dollari, due dei quali depositati sul “Foreign Reserve Exchange Found della Deutsche Bank”, in Germania.

Ora la nuova presidenza della Turkmenia esige che tutti questi capitali rientrino in patria. Ed è già al lavoro una commissione di esperti che dovrà stabilire l'ammontare preciso della fortuna e decidere poi come utilizzarla. Vi sono poi altre novità relative alla attuale gestione della Turkmenia. Si punta, infatti, ad eliminare dalla scena sociale tutti quegli aspetti di “culto della personalità” che erano stati imposti da Njazov. Ma nello stesso tempo anche Kurbanguly Berdymukhamedov cade nella trappola del “culto”. Introduce minime riforme per presentarsi con un volto nuovo dinanzi al Paese. Ma nello stesso tempo nelle città turkmene spuntano sue foto giganti.

Non solo, ma per il suo 50° compleanno, si autodecora dell’Ordine “Watan” (Madrepatria): un medaglione di oro e diamanti - dal peso di circa un chilogrammo - per i suoi “eccezionali meriti” acquisiti nei primi mesi di presidenza. Poi si attribuisce un premio fuori-busta di 20mila dollari e si aumenta del 30% lo stipendio e la futura pensione. E in onore del suo arrivo al vertice del Paese fa coniare 400 monete d’oro e d’argento con il suo ritratto. Ed è ovvio che esca anche una edizione speciale della sua biografia: rilegata in pelle e con ornamenti in oro.

E mentre le notizie sulla vicenda turkmena fanno il giro delle agenzie di stampa Mosca segue con particolare attenzione altre notizie che giungono dagli ambienti economico-finanziari di Askabad. In particolare l’attenzione si concentra sulle questioni relative alla produzione del gas turkmeno e al conseguente trasporto verso la Russia. Mosca punta, quindi, a rinnovare i rapporti di collaborazione economica tenendo conto del fatto che il paese asiatico possiede enormi riserve di gas, valutate dalla BP in 2,9 trilioni di metri cubi. Tutto questo mentre il governo turkmeno annuncia di aver scoperto un nuovo giacimento a Sud Iolotansk, con riserve pari a circa 7 trilioni di mc. e che le riserve totali del paese toccano ora i 20-30 trilioni di mc.

L’interesse russo è, quindi, notevole. Tenendo conto, tra l’altro, che il consorzio “Gazprom” (altamente sponsorizzato da Putin) ha dovuto accettare nel 2006 un aumento del prezzo del gas turkmeno del 54%, pagandolo 100 $ per 1000 mc (ma rivendendolo in Europa a circa 250 $). In proposito va anche ricordato che, nell’ultimo periodo della sua gestione, il vecchio presidente Niyazov aveva dimostrato interesse alla diversificazione delle esportazioni, sottoscrivendo un accordo per la fornitura di 30 miliardi di metri cubi di gas alla Cina e organizzando diversi incontri con delegazioni europee per la discussione di pipeline alternative a quelle russe.

In ballo c’è la questione dell’espansione di quel gasdotto “Prikaspiisky” - che è parte di una rete che già collega Turkmenia e Russia, attraverso il Kazachstan - per raggiungere una capacità di 20 miliardi di mc. l’anno entro il 2012. E in proposito va ricordato che questi tre stati, con l’aggiunta dell’Uzbekistan, si sono accordati sull’utilizzo di altri due gasdotti. Al completamento dei lavori, la Russia, dovrebbe quasi raddoppiare le importazioni di gas dall’Asia Centrale, da 50 a circa 90 miliardi di mc. l’anno.

Il tema turkmeno - al di fuori dei “femomeni” attuali del nuovo culto della personalità ad Askabad - torna quindi con forza nell’agenda della Russia di Putin. E toccherà sicuramente al nuovo premier Zubkov prendere contatto con gli esponenti della “nuova Turkmenia”.

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