di Fabrizio Casari

Che gli Stati Uniti siano i leader della democrazia è questione tutta da confutare, ma che lo siano nell’esportare armi non v’è dubbio. Gli USA, infatti, dopo qualche anno di parziale ridimensionamento, sono tornati ad essere il primo paese al mondo per esportazione di armi convenzionali. Lo dice il CRS, il Servizio d’investigazione del Congresso statunitense. Ufficialmente le vendono ai paesi “sviluppati”, in realtà questi ultimi rappresentano solo una parte delle commesse militari yankee. La presidenza Bush, che con le guerre ha una dimostrata familiarità, ha ridato slancio all’industria bellica, confermandone il peso specifico nell’economia e nella politica estera statunitense, già denunciata da Eisenhower, che parlava di “complesso militar-industriale”. Gli studi del CRS, che da venti anni sono considerati i migliori nel settore, sono coordinati da Richard Grimmet; i risultati dell’inchiesta vengono considerati altamente affidabili e si basano su informazioni pubbliche e confidenziali e comprendono vendita ed assistenza. Secondo il rapporto 2006, gli accordi di compravendita di armi hanno generato un volume di 40.300 milioni di dollari, circa il 13% in meno rispetto all’anno precedente. Ma nonostante la riduzione del flusso generale di compravendita gli Stati Uniti, in chiara controtendenza, hanno invece aumentato il volume degli affari, passando dal 13,500 milioni di dollari sviluppati nel 2005, ai 17.000 milioni di dollari nel 2006. Quanto questo sia determinato dal numero dei pezzi e quanto invece dall’aumento dei costi non è specificato, ma Russia e Gran Bretagna si sono fermati rispettivamente a 8.700 e 3.100 milioni di dollari. Per quanto riguarda gli usa, i trasferimenti di armi verso il sud del mondo ammontano a 10,300 miliardi di dollari nel solo 2006, circa il 36% delle commesse militari complessive che con le quali il sud aggiorna ed incrementa i suoi arsenali. Il principale cliente del 2006 risulta il Pakistan, possessore di armamento nucleare, che nel tentativo di fronteggiare l’opposizione civile e l’insorgenza islamica, ha speso nel solo 2006, 5100 milioni di dollari, il 50% in più dei suoi vicini indiani.

Ma pur con questa notevolissima cifra, il regime di Musharraf non figura come il principale acquirente di armi. Nel rapporto del CRS, intitolato “Trasferimenti di armi convenzionali a paesi in via di sviluppo 1999-2006”, l’Arabia Saudita, solo nel 2006, ha firmato contratti per la fornitura di armi ammontanti a 4.100 milioni di dollari, seguita dalla Cina (3.000 milioni di dollari), da Israele (1500 milioni di dollari) ed Egitto (1400 milioni). A questo “gruppetto di testa”, si aggiungono poi Taiwan e India, rispettivamente con un miliardo la prima e 800 milioni di dollari la seconda. Nel caso di Pechino e New Delhi, le cifra possono essere considerate relative, in proporzione alle dimensioni del loro apparato militare, ma si deve ovviamente tener conto del fatto che il loro principale fornitore di armi è la Russia.

Appare abbastanza sintomatico il caso dell'Arabia Saudita: un conglomerato di sceicchi da shopping che dispone di un apparato militare da operetta, acquista armi per miliardi di dollari ogni anno. Perché a meno di non voler intendere le forniture come una pagina del rimborso agli Usa per i costi della prima guerra del Golfo, é ovvio che bisogna porre ( e porsi) una semplice domanda: i fornitori sono statunitensi, ma chi sono i destinatari finali di tutte quelle armi? Che siano le milizie armate islamiche, Al Queda e non solo, é il segreto di pulcinella, persino i servizi segreti del Lichestein lo sanno. E allora? Allora significa che gli Stati Uniti forniscono - tramite Arabia Saudita - le armi a coloro contro i quali dicono di essere impegnati nella War of Terror. Per far prosperare il complesso militar industriale e con lui una economia in ginocchio o per alimentare guerre e destabilizzazioni dove intervenire per ribadire con la forza il dominio sul pianeta e sulle sue risorse? I due aspetti sono sono tra loro conseguenziali.

Per tornare alle forniture di armi, c'é da registrare come anche il Venezuela, minacciato da Washington a giorni alterni, spenda non poco per il suo apparato militare: nel solo 2006 ha stipulato contratti per 3.100 milioni di dollari e l’Algeria ha apposto la sua firma su contratti ammontanti a 2.100 milioni. Anche Venezuela ed Algeria hanno nella Russia il principale fornitore di armi, che ne ha vendute per un totale di 8.100 milioni di dollari. Nel poco invidiabile ruolo di piazzista di armi non scherza nemmeno la Gran Bretagna, al terzo posto nella classifica mondiale, con 3.100 milioni di dollari incassati su un totale di commesse che ammonta a 29.000 milioni di dollari nel 2006. Il totale delle armi acquistate nel 2006 vede una spesa di 27.000 milioni di dollari. Di questa somma poderosa, il 52% - quasi 14.000 milioni, sono arrivati negli Usa, confermando il triste primato di paese leader nell’esportazione di armi.

I quattro principali fornitori di armi europei risultano essere Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, ma congiuntamente rappresentano circa il 19% del totale delle forniture contrattualizzate. In relazione al 2005, le quattro nazioni europee hanno ridotto il loro volume di affari, che registrava per le loro forniture il 35% del totale delle vendite. E vale la pena sottolineare come i paesi del sud del mondo abbiano complessivamente aumentato la richiesta di armi; dal 65, 7% del 2005 è infatti arrivata al 71,5% del 2006. Segno evidente di una instabilità planetaria che, in particolare nella regione mediorientale, vede il concretizzarsi di circa la metà della compravendita bellica. I due terzi delle armi che arrivano in Medio Oriente sono vendute dagli USA. I morti, invece, li forniscono i popoli.

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