di Carlo Benedetti

C’è stata la “stagnazione” sovietica che ha segnato il periodo di Breznev ed ora si scopre che c’è stata anche una “stagnazione” religiosa che ha segnato la gestione del papa polacco in riferimento ai rapporti con gli ortodossi. Lo rivela, pur con tutta la diplomazia tipica dell’Oltretevere, una nota dell’Osservatore Romano (passato ora sotto la direzione di Giovanni Maria Vian, docente di Filologia patristica all'università di Roma “La Sapienza”) nella quale si precisa che “un passo deciso nel dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi” rimette in moto “una situazione stagnante”. Il riferimento è preciso perché proprio in questo momento la diplomazia vaticana avvia una nuova fase distensiva nei confronti del mondo ortodosso del “Patriarca di Mosca e di tutte le Russie” Aleksei II. Quanto avviene ora non è quindi casuale. Si è, forse, alla vigilia di un atteggiamento più aperto e flessibile, perché Papa Ratzinger azzera la nomenklatura vaticana presente in Russia e ricomincia da capo la costruzione di una strada che faciliti l’incontro tra la Chiesa di Roma e quella di Mosca. Come prima mossa è sostituito quel monsignore polacco Tadeusz Kondrusiewicz, Arcivescovo metropolita dell'Arcidiocesi della Madre di Dio, da anni rappresentante del Vaticano a Mosca. Personaggio controverso e non sempre accettato dai “pope” russi che lo hanno considerato come una figura prettamente politica. Al suo posto, nel piccolo vaticano della capitale russa, arriva l’arcivescovo italiano Paolo Pezzi (un ravennate di 47 anni) finora Rettore del Seminario Maggiore "Maria Regina degli Apostoli" a San Pietroburgo. Kondrusiewicz va a fare l’arcivescovo Metropolita a Minsk-Mohilev, in quella Bielorussia dove ha vissuto i primi anni del suo ministero episcopale dal 1989 al 1991. Esce così dalla scena più vicina al Patriarcato di Mosca e del Cremlino un monsignore al quale, comunque, Ratzinger offre l’onore delle armi esprimendo “sentimenti di riconoscenza” per quanto ha fatto. Ma sarebbe il caso di notare, piuttosto, quello che non ha fatto. Si riparte, comunque, sulla strada del colloquio ai vertici delle due diplomazie religiose. La prestigiosa sede di Mosca passa a questo italiano che è nato a Russi, in Emilia Romagna. Ha compiuto gli studi di Filosofia e di Teologia negli anni 1985-1990 presso la Pontificia Università di San Tommaso. È stato ordinato sacerdote il 22 dicembre 1990, nella Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo. In seguito ha ottenuto il Dottorato in Teologia Pastorale presso l’Università Lateranense sul tema: “Cattolici in Siberia, le origini, le persecuzioni, l’oggi”.

Una biografia di tutto rispetto e la sua tesi è stata proprio quella relativa al cattolicesimo in terra russa. Si sa anche che ha ricoperto diversi incarichi, tra i quali quello di direttore del giornale cattolico e Decano della regione centrale della Siberia, nell’attuale Diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk (1993-1998); Vicario Generale della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo (1998-2005); responsabile del Movimento di Comunione e Liberazione in Russia (dal 1998 ad oggi); docente presso il Seminario Maggiore "Maria Regina degli Apostoli" a San Pietroburgo (2004) e infine Rettore del medesimo Seminario dal 2006.

Spetterà ora alla Chiesa russa compiere il primo passo per andare incontro al nuovo arrivato. Ma si sa che Alessio II, patriarca della Chiesa ortodossa, resta un fermo oppositore a quel processo di dialogo tanto auspicato da vari religiosi. La Russia ortodossa considera, infatti, le decisioni vaticane come un pericolo per l’integrità di una Chiesa che cerca di non cadere nella trappola della diplomazia vaticana: i “pope” russi sanno bene che per il Vaticano il problema centrale è quello del proselitismo in un territorio da sempre considerato difficile ed ostile.
Il problema centrale, intanto, resta quello dell’eventuale concessione di credito al Papa tedesco e all’apertura della frontiera russa per farlo arrivare a Mosca.

Per gli ortodossi - che si riconoscono nel Cremlino di Putin - pesano comunque alcuni precedenti. In particolare la vicenda di quel vescovo cattolico polacco Jerzy Mazur - titolare in Siberia della diocesi di San Giuseppe a Irkutsk e appartenente alla società missionaria del Verbo Divino - espulso dalla Russia perché considerato come un “invasore”. E c’è poi quel gesto di rifiuto del visto di ingresso al sacerdote Stefano Caprio, parroco nelle città di Vladimir e Ivanovo, al quale fu impedito di rientrare in Russia dall´Italia dove s´era recato. Il Patriarcato di Mosca, inoltre, non tollera il fatto che i vescovi e i preti cattolici all’opera in Russia siano quasi tutti stranieri.

Sino ad oggi, dei quattro vescovi alla testa delle quattro diocesi cattoliche in Russia, due sono tedeschi e due polacchi. Nella diocesi di Mazur, quella di Irkutsk, i preti sono 41 e di loro solo due sono russi. Gli altri sono arrivati da nove paesi. Le suore sono 40, tutte straniere, e di loro solo cinque hanno un visto di residenza permanente nel territorio russo. Di fronte a tutta questa situazione Putin cerca di barcamenarsi. Segue con attenzione la vita del Patriarcato moscovita, ma nello stesso tempo lancia segnali distensivi al Vaticano di Ratzinger. E la nota attuale dell’Osservatore Romano che parla al passato di epoca segnata dalla “stagnazione” nei rapporti tra Vaticano e Chiesa ortodossa è forse un primo segnale che, questa volta, arriva dall’Oltretevere sempre diplomatico e timoroso di sfasciare quel poco che sino ad oggi ha unito le due Chiese.

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