di Luca Mazzucato

Domenica 11 Novembre una delegazione di negoziatori palestinesi, con a capo Ahmed Qureia, parte da Ramallah alla volta di Gerusalemme, per un meeting di routine con il ministro degli esteri israeliano Livni. Due team diplomatici si incontrano ogni settimana per mettere a punto una generica dichiarazione di intenti tra Olmert e Abu Mazen, da presentare come risultato della programmata conferenza di Annapolis del 26 Novembre. Per evitare che la conferenza si trasformi in un flop mediatico per Condoleezza Rice, le parti in causa devono dimostrare almeno un po' di buona volontà. Come ogni domenica, lungo quei pochi chilometri che separano Ramallah da Gerusalemme Est, Qureia deve attraversare un check point israeliano lungo il muro. Per la maggior parte dei Palestinesi residenti in West Bank non è possibile passare: Gerusalemme Est, occupata nel '67, è di fatto annessa allo stato ebraico. Ad alcuni funzionari di Fatah il governo israeliano concede di passare, si tratta di negoziare la pace dopo tutto. Ma questa volta una brutta sorpresa aspetta Qureia ed il suo team. I soldati al check point trattano i membri della delegazione come qualsiasi altro palestinese. Stop, controllo documenti, il convoglio viene bloccato, i secondi di attesa diventano minuti: dopo mezz'ora il soldato nega il passaggio a Qureia senza addurre alcun motivo (non è tenuto a farlo d'altra parte) e questi, indignato per l'affronto, gira sui tacchi e se ne torna a Ramallah. Il meeting è cancellato, il tavolo di trattative è saltato. Tzipi Livni chiama Abu Mazen per scusarsi, sono cose che succedono, quasi a voler ribadire la propria magnanimità per le volte che Qureia è “potuto” passare, se possono gentilmente tornare a trovarla nel suo ufficio e firmare quest'accordo. Ma Qureia, stizzito, risponde che non vanno “a negoziare con loro per essere poi umiliati” e che “eventuali incontri non si svolgeranno più in Israele ma in un altro stato.”

Questo episodio disarmante dà la misura della situazione de facto sul campo, mentre le controparti israeliana e palestinese si preparano all'incontro di Annapolis. Secondo la più recente richiesta israeliana, imposta come precondizione alla trattativa, Abu Mazen dovrebbe riconoscere ufficialmente il carattere ebraico dello Stato d'Israele. Per partecipare agli accordi di Oslo, Arafat dovette riconoscere l'esistenza dello Stato d'Israele. Per partecipare ad Annapolis, Abu Mazen dovrebbe fare un piccolo passo avanti: accettare che i palestinesi con cittadinanza israeliana, circa un quinto della popolazione, siano considerati cittadini di serie B, non solo secondo la legge, come succede dal '48, ma addirittura in maniera consenziente.

L'accettazione dello stato di apartheid in Israele da parte della minoranza palestinese aprirebbe la strada alla soluzione del conflitto. Tzipi Livni ha svelato recentemente la nuova strategia israeliana: “La creazione di uno stato palestinese, risolverà il problema dei palestinesi, siano essi nei campi profughi, o in West Bank, o cittadini dello Stato Ebraico.” In altre parole, per garantire la superiorità demografica in Israele, dopo aver creato un'entità formalmente autonoma in una piccola parte della West Bank, il governo israeliano vi deporterebbe i propri cittadini arabi-israeliani. I partiti arabi-israeliani nella Knesset hanno immediatamente alzato gli scudi, dichiarando inaccettabile tale posizione del governo e ricordando che, se ci sono cittadini immigrati in Israele di recente, questi sono la maggioranza ebraica e non viceversa. Quest'ultima presa di posizione potrebbe rivelarsi molto pericolosa per i parlamentari arabo-israeliani della Knesset: secondo la paradossale legge israeliana, infatti, chi non riconosce il carattere ebraico dello Stato non può partecipare alle elezioni politiche.

La realtà sul campo in West Bank è distante anni luce dai tavoli dove si svolgeranno i negoziati di Annapolis. Gli insediamenti illegali di coloni israeliani in West Bank sono in continuo aumento: hanno raggiunto quota 450.000 coloni, con buona pace per la road map. La costruzione del muro e i massicci sforzi per la creazione delle infrastrutture per le colonie hanno di fatto creato continuità territoriale tra Israele e gli insediamenti ebraici nel cuore stesso della West Bank. Dalla colonia di Ma'ale Adumim, come da molte altre, ci si può recare a Gerusalemme su un sistema di tunnel e autostrade riservate ai soli ebrei, senza mai incontrare segni della presenza palestinese. Il consiglio di Yesha, la rappresentanza religiosa delle colonie, ha espresso ad Olmert la “viva preoccupazione” per le dichiarazioni di quest'ultimo circa possibili concessioni territoriali ad Annapolis. La replica di Olmert chiarisce le vere intenzioni israeliane: “Ci sono terre da cui non mi ritirerò mai. Non ho alcun dubbio che ogni granello di terra dal Giordano al mare fa parte della Grande Israele.” Ma nemmeno i coloni si fidano di Olmert e si preparano a resistere (con la forza), perché non si ripeta il “sacrilegio” dell'evacuazione dalla Striscia di Gaza voluta da Sharon nel 2005.

Se la vera partita si gioca sulla West Bank, la tragica sorte della Striscia di Gaza pare non importare più a nessuno dei partecipanti alla conferenza di Annapolis. Israele ha iniziato a tagliare ad intermittenza acqua, luce e gas al milione e mezzo di abitanti della Striscia, come punizione collettiva contro il lancio di razzi Qassam su Sderot. Queste operazioni servono, secondo il ministro della difesa Barak, a preparare la strada per una massiccia offensiva di terra dell'IDF, per ridimensionare le capacità militari di Hamas. Tra le misure punitive, l'IDF continua da settimane a negare il trasferimento da Gaza alla West Bank ai malati terminali di cancro, adducendo motivi di sicurezza. La scarsità di medicine impedisce la loro cura negli ospedali di Gaza e uno di loro è nel frattempo morto aspettando di passare il check point di Erez.

Alla luce di questi tragici sviluppi, è chiaro ormai l'obiettivo comune di Olmert e Abu Mazen: dopo aver sigillato Gaza, si accingono a trasformare le forze di sicurezza palestinesi in West Bank, sotto il controllo di Abu Mazen, nei subcontractors dell'IDF. Il piano è ufficiale ed è finanziato da Israele e Stati Uniti. I poliziotti palestinesi manterranno l'ordine pubblico nei Territori e gestiranno l'occupazione per conto del governo israeliano, che continuerà indisturbato nell'opera di ampliamento delle colonie. Il punto cruciale della trattativa è che Fatah, il partito di Abu Mazen, otterrebbe il monopolio della forza in West Bank, con cospicui finanziamenti occidentali, a scapito dei rivali di Hamas e degli altri gruppi armati di resistenza. Le prove generali sono già cominciate: il premier palestinese del governo provvisorio di Ramallah, Salam Fayad, ha dato il via ad un rastrellamento dei militanti armati a Nablus, con lo scopo di “raccogliere le armi illegali e sciogliere le milizie.” Tuttavia, lo stesso braccio armato di Fatah si è detto contrario a consegnare le armi, fino a che l'ultimo soldato occupante non si sarà ritirato e le forze di resistenza hanno cominciato ad opporsi al piano di Abu Mazen.

A questo punto, la conferenza di Annapolis, voluta fortemente da Condoleezza Rice per risollevarsi dal disastro iracheno, si preannuncia già come il remake del fallimento di Camp David. Di peggiore, rispetto al 2001, vi è la presenza delle tre “anatre zoppe” Bush, Olmert e Abu Mazen, che non hanno alcuna credibilità internazionale e i cui consensi in patria sono in caduta libera. Il movimento islamico di Hamas, che controlla Gaza, è stato estromesso da qualsiasi trattativa ufficiale o ufficiosa. Gli unici paesi a trarre qualche vantaggio dalla conferenza potrebbero essere l'Arabia Saudita - che vuole la normalizzazione dei rapporti con Israele in funzione anti-iraniana - e la Siria che, invitata in extremis, sfrutterebbe l'occasione per uscire dallo scomodo “asse del male.”

Il famoso slogan dei “due popoli, due stati” sembra ormai non solo inattuabile, ma persino offensivo. Dopo averlo reso del tutto impraticabile sul campo, grazie all'estesa rete di insediamenti israeliani in West Bank e all'onnipresente muro, l'establishment israeliano vorrebbe ora usare questo slogan per creare uno stato palestinese cuscinetto, in cui deportare gli arabi-israeliani ed ottenere finalmente l'obiettivo della purezza demografica. Nel caso in cui la conferenza di pace sia un successo.

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