di Elena Ferrara

L'appuntamento é a Vienna, dove si terrà una sessione del cosiddetto “Processo di Oslo” ??? la messa al bando delle cluster-bombs, quelle “bombe a grappolo” che anche a guerra finita mietono vittime tra le popolazioni civili ? in particolare tra i bambini. La data per la riunione è quella del 4 dicembre e segue l’incontro - svoltosi nei giorni scorsi a Ginevra - al quale hanno partecipato i rappresentanti di 143 paesi firmatari (Italia compresa) della “Convenzione” per le armi tradizionali. L’Austria ha messo la sua firma in un? petizione internazionale dove si chiede l'abolizione delle famigerate bombe ed anche il Giappone h? annunciato un? proposta ??r la messa al bando parziale di questo tipo di ?rdigni. E nella lista di chi si batte per il divieto totale di tali armi (queste sì che sono quelle reali, dello sterminio di massa…) si pone ora anche il Belgio che ha approvato un disegno di legge in merito. Si va quindi ampliando - con un cammino coerente - il ventaglio di Stati che prendono posizione, anche se per arrivare ?lla abolizione totale la strada risulta ancora lunga. Intanto si muovono numerose organizzazioni pacifiste che, a Ginevra, hanno fatto sentire la loro voce organizzando una singolare manifestazione. Hanno posto al centro della piazza delle Nazioni, ???toquaranta sagome scure raffiguranti dei bambini, per denunciare la cieca strage causata dalle cluster che, ??n l? mine antiuomo, rappresentano un? delle più vili minacce all'integrità fisica di intere comunità. Si tratta, infatti, di “submunizioni” che nei teatri di guerra sono sparse ? centinaia da mezzi aerei ? da sistemi di artiglieria. Sono tutte progettate in modo da esplodere al momento dell'impatto al suolo. Ma a volte le cluster - ? differenza delle mine antiuomo che sono fatte apposta per reagire ? contatto ??? la vittima - non funzionano ??m? previsto. Restano sul terreno inesplose e possono scoppiare in un secondo tempo al minimo tocco ? spostamento, diventando di fatto delle trappole mortali.

Ed è, appunto, quello che avviene nei paesi sconvolti dalle ultime guerre. L’elenco delle vittime è impressionante. Molti anche gli italiani caduti sotto il fuoco delle cluster. I ricordi più recenti vanno al 4 gennaio del 2003, quando un fuoristrada della comitiva organizzata dell'agenzia di viaggi milanese "Spazi d'avventura" saltava per aria su una mina nella zona nord-est del Niger, in pieno deserto del Teneré. E i morti italiani furono tre. L'impressione suscitata sull'opinione pubblica fu grandissima. Per alcuni giorni televisioni e giornali non parlarono d'altro che della pericolosità delle mine disseminate nel mondo; poi, come spesso accade, tutto finì. Nonostante i casi di incidenti da mina siano periodici, l'argomento sembra non suscitare più alcun interesse. L’elenco delle tragedie, comunque, è sempre lungo: 20 luglio 2003, 4 italiani saltano su una mina in Afghanistan; 29 febbraio 2004, un camion carico di civili salta in aria su una mina in Cecenia, sei morti e sette feriti; 5 ottobre 2004, un americano salta in aria su una mina in Iraq. E la strage continua con le “case” produttrici di tali ordigni le quali, comunque, sostengono che il “tasso di mancata esplosione” è “solo del 5%”. Ma stando ai dati forniti dalle organizzazioni umanitarie impegnate in teatri di guerra ? postbellici, gli indici sono assai più alti, fino al 25%. E se anche il dato del 5 % fosse reale, si tratterebbe comunque di minacce letali. Basta, infatti, riferirsi a quella seconda guerra del Golfo quando l? forze Usa lanciarono un totale di circa 1.800.000 sub-munizioni-cluster. Così se ?nche quelle inesplose fossero state l? ventesima ??rte, saremmo comunque alla presenza di b?? novantamila ordigni pronti ? colpire al minimo t????.

Notevoli sono le difficoltà che si incontrano attualmente per individuarle e renderle inefficaci. Le cluster, infatti, risultano più difficili da rimuovere ? da neutralizzare rispetto ?ll? mine antiuomo. E la potenza delle cariche ??n le quali sono armate l? rende più letali: colpiscono ??n maggiore frequenza ed hann? un ?iù esteso raggio d'azione. Quanto alle regioni dove sono ancora presenti le fonti più accreditate fanno riferimento a sedici paesi di tre continenti. Si va dalla Bosnia al Kosovo, dall'Afghanistan al Vietnam, dal Ciad al Sudan, dal Libano all'Iraq.

Ma se esiste - ed è chiaro che esiste! - una graduatoria dei paesi a rischio c’è anche un elenco agghiacciante di paesi che fanno delle cluster un affare. E qui, purtroppo, c’è chi sostiene che anche l’Italia figura fra i trentadue paesi produttori ed anche tra quelli detentori di stock. Ma nello stesso tempo, per dovere di cronaca e di corretta informazione, dobbiamo riferirci ad un’importante dichiarazione di Simona Beltrami, coordinatrice della Campagna italiana contro le mine. “Chiariamo subito che in Italia - spiega la Beltrami - non si producono più mine da anni”. Se nei primi anni ‘90 il nostro paese era il terzo al mondo (seguendo Cina e Stati Uniti) nella produzione di mine, dopo Ottawa le sue fabbriche sono state chiuse o riconvertite. E gli arsenali, tra i più ingenti in Europa, hanno visto in pochi anni la distruzione di oltre 7 milioni e 700 mila mine. Un traguardo importante, realizzato anche grazie alla sensibilizzazione attuata dalla Campagna Italia, nata nel lontano 1993. “Con la messa al bando italiana - continua Simona Beltrami - il nostro ruolo è tutt'altro che finito: solo nel Kurdistan iracheno ci sono 10 milioni di mine italiane. Il minimo che possiamo fare è sostenere lo sminamento. Nel 2001 è così stata approvata una legge che istituisce un Fondo italiano per lo sminamento umanitario, gestito dal ministero Affari Esteri.”

Si apre, intanto, un ulteriore spiraglio positivo. Perché il Parlamento euro??? ha votato un? risoluzione ??ntro l'uso delle cluster ? delle mine ?nticarro. Si tratta di un segnale per tutti i paesi dell'Ue ?d è auspicabile che rappresenti un primo passo verso l'obbiettivo finale, vale ? dire l'eliminazione di queste ?rmi. Ma per essere ancor più precisi va anche detto che in Italia c’è già un progetto di legge ?h? dovrebbe rispondere ? questa emergenza umanitaria, ma che è bloccato in Commissione bilancio della Camera per il calcolo degli oneri finanziari connessi al provvedimento. Comunque sia in Italia la lotta contro gli ordigni antiuomo continua ? c’è un? petizion? popolare che ha già raccolto oltre ?inquantamila adesioni.

Intanto, nelle ultime settimane, la lotta contro queste armi ha fatto un nuovo passo in avanti grazie ad un importante vertice che si è svolto in Giordania. Qui si sono riuniti i rappresentanti di quegli stati che hanno sottoscritto la Convenzione di Ottawa in base alla quale i paesi si impegnano ? non usare, ?r?durre, acquisire, stoccare, detenere ? trasferire min? antiuomo. Sono così 155 i Paesi ch? in questi dieci anni hann? r?tificato la Convenzione (Kuwait, Iraq, Indonesia ? Bosnia - Erzegovina l'ann? scorso). E si è appreso che grazie ai programmi di lotta contro le mine antiuomo sono stati sminati 140 chilometri quadrati di territori ? 310 chilometri quadrati di zone di combattimento. Ma è anche vero che numerosi Paesi, tra cui Regno Unito ? Francia, non saranno probabilmente in grado di rispettare le scadenze internazionali della Convenzione ??r la bonifica dei territori ? la riduzione dei l?r? arsenali. La battaglia continua quindi, perché il crimine delle cluster bombs sia fermato all’origine.

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