di Carlo Benedetti

Per l’americano Time Putin è “l’uomo dell’anno”. Ma per il britannico Guardian è “L’uomo più ricco d’Europa”. Ed hanno ragione tutti e due. Cominciamo dall’uomo dell’anno. E’ un titolo che il presidente russo - impegnato a fare le valigie nel momento in cui lascia il Cremlino - si è meritato sotto tutti i punti di vista. E’ riuscito ad imporre al suo paese una linea politica basata sul fronte della fermezza e della stabilizzazione. Ha messo all’angolo i resistenti ceceni portandoli alle urne e facendo uscire risultati plebiscitari sconosciuti anche al periodo brezneviano. Ha portato in galera personaggi scomodi come alcuni oligarchi a lui ostili o esponenti politici collocatisi nelle schiere della dissidenza. Ha fatto l’occhiolino ai comunisti di Ziuganov ansiosi di occupare qualche posto nella gerarchia ufficiale. Ha mostrato un volto duro agli americani rivelando di voler riportare la Russia ai livelli geopolitici dell’Urss. Si è messo in corsa verso la Cina e l’India rivelando una propensione eurasiatica. Ha teso la mano al Vaticano del papa tedesco segnando così un distacco dalle manovre precedenti quando la Chiesa cattolica era nelle mani del papa polacco. Ha facilitato il riarmo dell’Armata offrendo spazi di intervento alle aziende del complesso industriale legato alla Difesa. Ha riportato i media sotto l’ala protettiva del Cremlino. E così, sulla base di queste caratteristiche autoritarie, gli americani lo hanno fregiato del titolo che campeggia sulla copertina del Time. Diversa, comunque, la lettura fatta dai russi. Che della rivista statunitense hanno visto solo il titolo e si sono così dovuti accontentare del fatto che il loro presidente è uomo di valore, stimato e apprezzato oltre i confini. In pratica una ripetizione di quanto avveniva negli anni sovietici quando i giornalisti della Tass, i corrispondenti dei vari media e gli ambasciatori, fornivano precisi rapporti a Breznev (e, poi, a Gorbaciov) evidenziando che all’Ovest c’era un coro di adesioni alla politica del Cremlino e che, soprattutto, il mondo occidentale considerava i dirigenti dell’Urss partner di tutto rilievo e spessore. Uomini, quindi, che dominavano sempre “l’anno”…

Ed ecco che oltre al Time arrivano notizie e giudizi che vanno ad arricchire il quadro russo. E qui sono bordate. Le spara, approfittando dell’ospitalità dell’organo londinese The Guardian, il politologo Stanislav Belkovski, presidente dell'Istituto russo di Strategia nazionale. E’ lui che traccia un nuovo identikit del presidente russo affermando che si è al cospetto dell’uomo “più ricco d'Europa" in quanto avrebbe accumulato all'estero una fortuna da capogiro, pari ad "almeno 40 miliardi di dollari". Notizia bomba che cade su una Russia che si appresta a quel cenone di Capodanno che - a pochi secondi dal suono del carillon del Cremlino - sarà interrotto dal discorso augurale di Putin.

Vediamo cosa scrive Belkovski. In primo luogo ricorda ai lettori che Putin controllerebbe, grazie ad una rete non-trasparente di fondi offshore, il 37% del gruppo petrolifero “Surgutneftegaz” e il 4,5% di “Gazprom”. Avrebbe poi il 75% di “Gunvor”, una misteriosa compagnia elvetica (con un utile netto di otto miliardi di dollari, su un giro d'affari di 43 miliardi) che fa capo ad un suo amico, un certo Ghennadi Timcenko, uscito anche lui dalle strutture dirigenziali del vecchio Kgb (Ufficio direzionale della prima sezione come Putin con il quale ha fondato un club di judo). In realtà la “Gunvor” sarebbe più potente di quanto indicano le cifre ufficiali. Creata nel 1997, in solo dieci anni è diventata il numero tre al mondo nel trading del petrolio dell’Est. Secondo uno dei fondatori, lo svedese Torbjörn Törnqvist, gestisce il 30% delle esportazioni di greggio dalla Russia. I suoi principali clienti sono “Gazprom”, “Rosfnet” e “Tnk-Bp”.

Le fonti di tali rivelazioni non sono rese note ufficialmente, ma si sa che vengono da ambienti dell’amministrazione presidenziale. E questo starebbe a significare che è iniziata una lotta interna alle mura del Cremlino. Andiamo avanti. Si dice che il tesoretto di Putin sarebbe nascosto in Svizzera e Liechtenstein. "Ovviamente - spiega al quotidiano britannico il politologo - il nome di Putin non compare in nessun registro di azionisti. Perché c’é una rete non-trasparente di proprietà a scatole cinesi riguardanti società e fondi offshore. Il punto finale sta a Zug, in Svizzera, e nel Liechtenstein. Putin dovrebbe, quindi, essere il beneficiario". "Si tratta di almeno 40 milioni di dollari. Il massimo - continua Belkovski - non sono in grado di dirlo. Temo di non essere a conoscenza di tutto. Forse è di più, molto di più".

Il comunque, non si pronuncia sull'attendibilità delle accuse mosse dal politologo, ma le trova degne del titolo più grande in prima pagina e le inquadra, appunto, in una "lotta senza precedenti" scoppiata al Cremlino proprio dopo che Putin ha elevato a suo delfino il primo vicepremier Dmitri Medvedev assicurandogli pieno appoggio per le elezioni presidenziali della primavera prossima. Ed è in questo contesto - si dice - che ad essere scontenti per la decisione presa dal Presidente sarebbero gli uomini di una ben precisa cordata dei servizi di sicurezza che si riconoscerebbero nel vicecapo dell'amministrazione presidenziale Igor Secin. I personaggi che agitano ora le acque - con accuse ben precise - sarebbero proprio quei cosiddetti 'siloviki' e cioè dirigenti che rappresentano il complesso militar-industriale e i servizi di sicurezza. Servizi ai quali Putin apparteneva e che ora, assunti i pieni poteri, vorrebbe scaricare e riportare entro il perimetro della vecchia Lubjanka.

Non sarebbe, comunque, una lotta di stampo “ideologico” questa in corso tra “siloviki” e “liberali”. Perché la posta in gioco sarebbe quella delle enormi materie prime - greggio e gas in testa - che stanno facendo nuovamente della Russia una potenza di importanza mondiale. E l’eventuale fortuna accumulata da Putin all'estero sarebbe solo uno dei pomi della discordia. Si parla così di ricchezze depositate in Svizzera e Liechtenstein che potrebbero avere vari referenti. Da un lato fondi di Putin per i suoi bisogni, oppure fondi neri di un regime pronto a tutto pur di rimanere in sella.

Per ora le acque di Mosca, in superficie, sono calme. Il Cremlino non vuole rovinare le feste. Ma c’è già un libro di Belkovski che denuncia la casta del Cremlino. E qui si parla dell’altra faccia del potere. Dalla mega villa ai rapporti personali con gli uomini più importanti del pianeta, dall'organizzazione sontuosa del primo vertice del G8 in Russia sino ai privilegi concessi all’entourage ospitato al Cremlino. E le domande che agitano la Russia di fine d’anno sono sempre più queste: Putin come riformatore? Oppure come saggio amministratore delle sue fortune? Una cosa è comunque certa ed è che negli Usa nulla avviene a caso. Nella copertina di Time Putin è ripreso in un atteggiamento poco rassicurante…

Intanto il Cremlino - tramite il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov - liquida così l’intera vicenda: “Non siamo disposti a rilasciare commenti sull'immondizia”. Ma l'ex speaker della Duma, Ivan Rybkin, non crede alla tesi dell’immondizia e fa notare che l’amico di Putin Timcenko sarebbe “il gestore della cassa nera del Cremino”. Tutta la storia si tinge di giallo. Tornano alla luce quelle storie del 1991, quando Putin si trovava alla testa della direzione del comitato per le relazioni esterne della città di San Pietroburgo. Da poco aveva staccato le mostrine del Kgb ed aveva come compito primario quello di far arrivare nella città della Neva investitori e capitalisti di ogni sorta. E fu a San Pietroburgo che Putin diresse la “St.Peterburg Immobilien und Beteilingungs AG-SPAG”, una immobiliare tedesca. Nota per essere finita sotto inchiesta in Germania per riciclaggio di denaro sporco. Ci sono così tutti i componenti per una story alla 007. A partire dall’uomo dell’anno che si chiama - come scrive il Time - Vladimir Putin.

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