di Daniele John Angrisani

Neanche il tempo di stappare lo spumante per festeggiare l'arrivo del 2008 e subito la campagna elettorale per le presidenziali americane entra nel vivo. A partire da oggi, infatti, sia il partito democratico che il partito repubblicano scelgono, attraverso le primarie, il candidato presidente per la Casa Bianca alle elezioni generali previste per il 4 novembre 2008. Si tratta di elezioni primarie di fondamentale importanza, perchè, a differenza di gran parte di quelle precedenti, per la prima volta è realmente in gioco la candidatura in entrambi i partiti, senza che vi siano già da prima, dei vincitori predeterminati. In particolare nel partito democratico la sfida sembra essere tra la ex first lady Hillary Rhodam Clinton, data per favorita dai sondaggi per la nomination finale, e il giovane senatore nero dell'Illinois Barack Hussein Obama, con l'ex candidato vicepresidente John Reid Edwards, dato come outsider, ma possibile vera sorpresa di queste primarie, giusto alle sue spalle. Anche in campo repubblicano vi è un personaggio dato per favorito nei sondaggi, l'ex sindaco di New York Rudolph William Giuliani, ma la lotta è ancora aperta con una serie di altri candidati del peso di John Sidney McCain, Willard Mitt Romney e Mike Dale Huckabee, pronti a sfidarlo. Ma andiamo subito nel dettaglio e vediamo ora quando e dove si vota e quali sono le posizioni politiche dei principali candidati a queste primarie. Quando e dove si vota?

Sia il partito democratico che quello repubblicano, hanno un proprio calendario di primarie, che, comunque, ha delle grosse similarità con l'altro. Per quanto riguarda le prossime due settimane, il 3 gennaio si vota per le primarie repubblicane e democratiche in Iowa, il 5 per le primarie repubblicane in Wyoming e l'8 per le primarie repubblicane e democratiche in New Hampshire. Per il resto del mese di gennaio sono previste altre 4 primarie per il partito democratico (Michigan il 15, Nevada il 19, South Carolina il 26 e Florida il 29) e 5 per il partito repubblicano (Michigan il 15, Nevada e South Carolina il 19, Louisiana il 22 e Florida il 29). Ma l'attenzione di tutti è puntata al 5 febbraio 2008, il cosiddetto "Super Martedì", in cui si voterà in 22 Stati per le primarie del partito democratico - Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, California, Colorado, Connecticut, Delaware, Georgia, Idaho, Illinois, Kansas, Massachusetts, Minnesota, Missouri, New Jersey, New Mexico, New York, North Dakota, Oklahoma, Tennessee e Utah - ed in 20 Stati per le primarie del partito repubblicano - Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, California, Colorado, Connecticut, Delaware, Georgia, Illinois, Massachusetts, Minnesota, Missouri, Montana, New Jersey, New York, North Dakota, Oklahoma, Tennessee e Utah. I restanti Stati nei mesi successivi, fino a maggio.

Il Super Martedì è di fondamentale importanza, non solo per il numero di Stati implicati, che come abbiamo visto è cospicuo, ma soprattutto per il numero di delegati alla Convention nazionale che saranno eletti in quel giorno: 2.064 per i democratici e 1.081 per i repubblicani, vale a dire in entrambi i casi poco meno della metà del numero totale di delegati che dovrà eleggere il candidato presidente alle elezioni di novembre, rispettivamente il 25-29 agosto 2008 a Denver (Colorado) per i democratici ed il 1-4 settembre 2008 a St. Paul (Minnesota) per i repubblicani. Da quel momento in poi partirà ufficialmente la vera e propria campagna elettorale per le presidenziali che si chiuderà domenica 2 novembre 2007, due giorni prima dell'Election Day. Sempre che, come già avvenuto nelle ultime due tornate elettorali, non vi siano ulteriori strascichi polemici, riconteggi e accuse di brogli incrociate, nei mesi successivi, prima del passaggio di consegne alla Casa Bianca e del giuramento del nuovo presidente, previsto per il 9 gennaio 2009.

Quali sono le posizioni politiche dei candidati principali a queste primarie?

Passiamo ora a vedere, sommariamente, le posizioni politiche dei vari candidati, iniziando dal lato democratico. Come abbiamo già detto, la favorita alla nomination, secondo buona parte dei sondaggi ad oggi disponibili, è indubbiamente la ex First Lady, Hillary Rhodam Clinton. A suo favore pesa anzi tutto il cognome che porta ed il carisma del marito che, nonostante i vari scandali, é ancora visto da buona parte del partito come l'unico presidente democratico che è riuscito ad ottenere la rielezione dai tempi di Franklin Delano Roosevelt ad oggi, mettendo fine ad oltre un decennio di dominio repubblicano. Altro punto forte della sua campagna è senza dubbio il piano per l'assistenza sanitaria universale, suo cruccio sin dai tempi della prima campagna presidenziale del marito nel 1992. E' invece la questione della Guerra in Iraq, il vero nodo dolente della sua campagna elettorale: la Clinton, nell'autunno 2002, aveva votato, infatti, in qualità di senatore, a favore dell'autorizzazione all'uso delle armi in Iraq, e da allora è finita sotto accusa da parte dell'ala più liberal del partito, per questa sua decisione.

Nonostante abbia poi cambiato idea e sia ora a favore di un calendario per il ritiro delle truppe, questa sua debolezza è stata sfruttata mirabilmente dal suo principale avversario, il senatore nero dell'Illinois, Barack Hussein Obama, considerato da molti come la vera stella nascente del partito, è uno dei pochi candidati che può vantare di essere stato contrario alla guerra sin dal suo inizio. Durante una manifestazione contro la guerra a Chicago alla fine del 2002, Obama aveva infatti affermato: "Questa invasione senza motivo e senza un chiaro supporto internazionale, servirà solo per aumentare ulteriormente la tensione in Medio Oriente ed incoraggiare i peggiori, piuttosto che i migliori impulsi del mondo Arabo, dando una formidabile arma di reclutamento in mano ad Al Qaeda. Io non mi oppongo alla guerra in quanto tale. Mi oppongo alle stupide guerre". Inoltre Obama ha dalla sua il fatto di essere sempre stato, per definizione, un protettore delle minoranze etniche, ed anche un fiero fautore dell'aborto.

Vi sono inoltre alcuni altri candidati minori, tra cui vale la pena citare John Reid Edwards, l'ex candidato vicepresidente nel ticket con John Kerry, sconfitto alle elezioni presidenziali del 2004. Allora come ora, il punto forte della campagna elettorale di Edwards è il suo concetto delle "due Americhe", in cui i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Edwards si dice fautore di programmi per combattere la povertà negli Stati Uniti e garantire istruzione e assistenza sanitaria universale a tutti. Anche Edwards, come la Clinton, aveva inizialmente appoggiato la Guerra in Iraq, ma successivamente aveva cambiato la sua posizione e, in un editoriale pubblicato dal Washington Post nel 2005, aveva pubblicamente affermato di aver sbagliato a votare a favore dell'uso delle armi in Iraq nel 2002. Da allora è divenuto uno dei principali critici della guerra, spingendo a favore della riduzione dei finanziamenti come mezzo di pressione sulla Casa Bianca per ottenere un calendario per il ritiro delle truppe.

Tutti e tre i principali candidati democratici concordano comunque sostanzialmente sui seguenti temi: sono a favore dell'aborto (anche se con distinguo nel caso di Hillary Clinton), sono a favore dell'assistenza sanitaria universale, sono a favore del ritiro (completo o scaglionato) delle truppe dall'Iraq, sono dichiaratamente filo-israeliani e si oppongono ad emendamenti costituzionali per vietare i matrimoni tra le coppie dello stesso sesso, sebbene nessuno di essi si sia detto favorevole. Secondo i sondaggi in Iowa è testa a testa tra la Clinton e Obama, con Edwards subito dietro. In New Hampshire invece la Clinton è in deciso vantaggio. Per quanto riguarda il Super Martedì, dipenderà molto da come si evolve la campagna nelle settimane successive alle prime primarie. E' ovvio che, nel caso di una vittoria di Obama o di Edwards in Iowa, tutto può accadere, e anche la nomination della Clinton può essere messa in discussione.

Passando invece al campo repubblicano, anche in questo caso, come abbiamo detto, abbiamo un favorito nei sondaggi, Rudolph William Giuliani. Dalla sua, senza dubbio, l'esperienza da sindaco della Grande Mela, durante i mesi di panico che sono seguiti agli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, ed in cui, secondo i suoi sostenitori, la città si è lentamente ripresa anche grazie all'opera assidua di Giuliani. Questo lo pone in prima linea tra coloro che possono affermare, con una certa sicurezza, di essere in grado di gestire l'emergenza terrorismo al meglio, cosa che sicuramente lo favorisce in un contesto come quello attuale. Rudy, come lo chiamano quasi tutti in America, ha però due grossi handicap: anzitutto le sue posizioni sono decisamente più liberal della stragrande maggioranza dell'elettorato repubblicano ( è favorevole all'aborto e non è contrario alle unioni omosessuali), cosa che lo mette in difficoltà soprattutto negli Stati centrali dell'America più conservatori. In secondo luogo, ha impostato una campagna elettorale che si preoccupa quasi solo degli Stati principali (quelli con il maggior numero di delegati), senza preoccuparsi troppo di ciò che accade in quelli più piccoli. Questa sua mossa è stata molto criticata e viene considerata parecchio rischiosa.

Tra i suoi potenziali antagonisti, quello di sicuro più conosciuto dal grande pubblico è senza dubbio il senatore repubblicano John Sidney McCain, l'ex sfidante di Bush alle primarie del 2000 e da sempre considerato come "oppositore interno" al partito repubblicano. McCain, dalla sua, ha il fatto di essere l'unico candidato di un certo peso con esperienza militare alle spalle e soprattutto di non aver mai abdicato nel difendere i diritti civili, anche a causa della sua passata esperienza da prigioniero di guerra nelle mani dei guerriglieri nord-vietnamiti. Sia Giuliani che McCain, sono favorevoli alla guerra in Iraq, ed anzi quest'ultimo è stato il fautore del cosiddetto "aumento" delle truppe in Iraq ad inizio di quest'anno, che sembra aver portato qualche risultato nelle zone più turbolenti del Paese. Ciò nonostante, soprattutto a causa della sua posizione moderata sulla questione dell'immigrazione, parecchio sentita dalla base elettorale del partito repubblicano, McCain ha perso molti consensi negli ultimi mesi e si è visto superare in popolarità da altri candidati, decisamente meno conosciuti al grande pubblico.

Tra questi, Willard Mitt Romney, ex governatore repubblicano del Massachusetts, e Mike Dale Huckabee, ex governatore repubblicano dell'Arkansas. Entrambi hanno posizioni decisamente più conservatrici dei primi due: fermamente contrari all'aborto, favorevoli all'uso di "tecniche di interrogatorio rafforzate" per combattere il terrorismo, contrari alle unioni tra coppie omosessuali (addirittura Huckabee considera l'omosessualità come una malattia da curare) e favorevoli alla guerra in Iraq. Nonostante le loro similarità, non si scambiano certo i favori ed anzi, negli ultimi giorni soprattutto, non sono mancati gli attacchi personali tra loro, proprio in vista delle contestate primarie in Iowa, dove, secondo i sondaggi, sono testa a testa con un leggerissimo vantaggio negli ultimi giorni a favore di Huckabee. Romney invece è in netto vantaggio in New Hampshire. Data comunque la decisione di Giuliani di concentrarsi solo sugli Stati principali, è possibile dire che in realtà la vera sfida ora sia su chi debba essere il vero sfidante di Giuliani e, possibilmente, candidato alla vicepresidenza.

Come si può vedere, per entrambi i partiti è lotta aperta per la nomination presidenziale. Solo dopo il 5 febbraio sarà possibile avere una visione più chiara, ma non è detto, visti i numeri in campo, che già per allora vi sia un vincitore. In questo caso, ci sarà da attendere anche per gli stati restanti, il che trasformerebbe questa in una delle più lunghe e combattute campagne elettorali primarie della storia d'America. Ma se invece le cose andranno come è accaduto quasi sempre sino ad ora, è possibile attendersi, già dopo le prime elezioni primarie, l'uscita di scena di qualche candidato minore che deciderà di volta in volta chi appoggiare, lasciando quindi in campo nel Super Martedì solo ai due candidati principali. E' quindi di fondamentale importanza seguire cosa accadrà nelle prossime due settimane. Si preannuncia un inizio 2008 di fuoco, politicamente parlando. E speriamo solo politicamente.

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