di Michele Paris

Dalla scorsa domenica, la guerra contro il regime di Gheddafi viola apertamente il War Powers Act, approvato dal Congresso americano nel 1973 dopo il veto posto dall’allora presidente Nixon. Questa discussa legge era stata votata sull’onda delle polemiche relative agli abusi della loro autorità in merito all’impiego di forze in Vietnam da parte delle amministrazioni Kennedy, Johnson e Nixon. L’intenzione era inoltre quella di fare chiarezza sulle prerogative di Congresso e Presidente. Secondo la Costituzione americana, è il primo ad avere il potere di dichiarare guerra, anche se il secondo è il comandante in capo delle forze armate.

Il War Powers Act stabilisce che una guerra decisa dal Presidente debba ottenere l’approvazione da parte del Congresso entro 60 giorni dall’inizio delle ostilità. In caso contrario, la Casa Bianca ha altri 30 giorni di tempo per ritirare le forze armate dal conflitto. L’inizio dei bombardamenti americani e della NATO sulla Libia sono iniziati il 20 marzo. Due mesi sono poi trascorsi senza che l’amministrazione Obama chiedesse al Congresso di esprimersi sul conflitto. Gli ulteriori 30 giorni per la teorica cessazione delle ostilità sono infine scaduti il 19 giugno scorso.

Queste le ragioni per le quali attorno all’intervento americano in Libia, da qualche settimana a Washington sta infuriando un grave conflitto tra la Casa Bianca e il Congresso. Lo scontro tra i potere esecutivo e legislativo negli Stati Uniti sta facendo riemergere l’annosa disputa su quale organo detenga l’autorità di dichiarare guerra. Esploso già all’epoca dell’intervento in Vietnam, il dibattito è tornato d’attualità in seguito all’aggressione della Libia, diventata di fatto illegale secondo la stessa legge americana.

Nel silenzio pressoché totale sul vero carattere della guerra in Libia, il Congresso americano ha così iniziato a mettere in discussione la legittimità dell’intervento voluto da Obama. A inizio mese, il deputato democratico dell’Ohio Dennis Kucinich aveva presentato una risoluzione alla Camera dei Rappresentanti che imponeva il ritiro entro 15 giorni delle forze USA dalle basi da cui partono le incursioni sul territorio libico.

Per timore che la maggioranza dei parlamentari repubblicani appoggiasse la mozione Kucinich, lo speaker della Camera, John Boehner, aveva allora messo assieme in fretta e furia una propria risoluzione che si limitava a criticare Obama per non aver notificato al Congresso la decisione di attaccare la Libia. Nonostante alcuni repubblicani abbiano comunque votato per il testo proposto da Kucinich, la mozione di quest’ultimo non è stata approvata, mentre è andata a buon fine quella della leadership della Camera.

Lo stesso deputato progressista dell’Ohio non si è dato però per vinto, tanto che settimana scorsa ha portato avanti altre due iniziative. Da una parte, assieme a dieci altri colleghi democratici e repubblicani, ha aperto un procedimento legale contro l’amministrazione Obama per mettere fine al conflitto, e dall’altra ha presentato una nuova proposta alla Camera per tagliare i fondi destinati alle operazioni in Nord Africa.

La posizione ufficiale della Casa Bianca è stata infine chiarita la scorsa settimana con un rapporto di 38 pagine trasmesso al Congresso. Il Presidente non sarebbe in violazione del War Powers Act poiché semplicemente in Libia gli Stati Uniti non sarebbero coinvolti in “ostilità” come sono definite dalla stessa legge del 1973.

Per Obama cioè le operazioni condotte contro il regime di Gheddafi non comprendono “battaglie persistenti” o “intensi scontri a fuoco” con forze ostili. Allo stesso modo, non vengono impiegate forze di terra, non ci sono vittime americane, non sussistono rischi reali per l’incolumità dei militari e, soprattutto, l’intera operazione viene condotta per scopi “umanitari” sotto il mandato dell’ONU.

Alla luce delle conseguenze causate dalle oltre 11 mila incursioni operate finora sulla Libia da parte della NATO, l’interpretazione sostenuta dalla Casa Bianca appare del tutto insostenibile. Secondo la logica proposta da Obama, poi, un qualsiasi attacco contro forze incapaci di opporre resistenza non rientrerebbe nella definizione di guerra affermata dal War Powers Act e permetterebbe quindi al Presidente statunitense di condurre operazioni militari devastanti senza il controllo o l’approvazione del Congresso.

Inoltre, per i consiglieri legali della Casa Bianca le attività belliche americane sarebbero in ogni caso cessate il 7 aprile, quando gli USA hanno formalmente ceduto il comando delle operazioni alla NATO. Da allora le forze statunitensi svolgerebbero solo attività di supporto. Poco importa poi se gli americani, oltre a continuare a partecipare ai bombardamenti sulla Libia, esercitano un controllo quasi assoluto sull’Alleanza Atlantica

Il chiarimento fornito da Obama sulla conformità dell’impresa libica al War Powers Act è il frutto di posizioni divergenti tra i consulenti legali all’interno della sua amministrazione. Come ha rivelato qualche giorno fa il New York Times, il presidente democratico - già docente di diritto costituzionale - avrebbe apertamente respinto il parere dei consiglieri legali del Pentagono e del Dipartimento di Giustizia, rispettivamente Jeh C. Johnson e Caroline D. Krass. A prevalere è stata piuttosto l’opinione del consigliere della Casa Bianca Robert Bauer e del Dipartimento di Stato Harold H. Koh, ex docente di diritto a Yale e acceso critico dell’espansione dei poteri dell’esecutivo avvenuta durante l’amministrazione Bush.

Se anche il Presidente ha la piena facoltà di respingere l’opinione dell’Ufficio Legale del Dipartimento di Giustizia, ciò avviene in realtà piuttosto raramente. Il comportamento di Obama, soprattutto, evidenzia un’evoluzione preoccupante da parte della sua amministrazione. Nella decisione di aggredire la Libia - ma anche di condurre operazioni militari in Pakistan o in Yemen - il Presidente non ha infatti sentito la necessità di ottenere il consenso del Congresso, cosa che lo stesso George W. Bush si era invece premurato di fare sia per l’avventura in Afghanistan che per quella in Iraq.

Sul potere di dichiarare guerra la contesa tra Congresso e Casa Bianca è d’altra parte di lunga data. Dall’approvazione nel 1973, il War Powers Act è stato messo in discussione da molti presidenti, anche se nessuno è mai giunto a contestarne la costituzionalità. Il Dipartimento di Giustizia nel 1980 concluse che era piena facoltà del Congresso di imporre tali limiti alle guerre intraprese dai presidenti. A questa conclusione ha fatto riferimento anche l’amministrazione Obama, la quale ha in definitiva soltanto sostenuto che il conflitto in Libia non può essere definito una vera e propria guerra e perciò non rientra nelle competenze del War Powers Act.

L’anomalia di un presidente democratico che afferma un così significativo allargamento delle prerogative dell’esecutivo di fronte alle preoccupazioni di una Camera dei Rappresentanti a maggioranza repubblicana non è sfuggita nemmeno ai giornali liberal vicini ad Obama.

Tale posizione della Casa Bianca ha esposto il Presidente addirittura alle critiche di esponenti dell’amministrazione Bush, come l’ex direttore dell’Ufficio dei Consiglieri Legali presso il Dipartimento di Giustizia, Jack Goldsmith, il quale ha affermato che il principio enunciato da Obama fissa un pericoloso precedente per future guerre da scatenare senza autorizzazione del Congresso.

Le critiche rivolte dai parlamentari, soprattutto repubblicani, alla Casa Bianca sull’intervento in Libia non sono peraltro dettate dalla loro opposizione ad una guerra condotta in nome di un falso scrupolo umanitario. Le accuse a Obama, oltre a essere strumentalizzate per convenienza politica, vengono mosse esclusivamente sulla base di un conflitto di competenze. Ciò è evidente dal fatto che i repubblicani non hanno per il momento affondato gli attacchi contro Obama per non mettere a repentaglio un’operazione militare i cui obiettivi essi stessi condividono in pieno.

Sul fronte democratico invece, a parte alcuni parlamentari progressisti, ci si appiattisce per lo più sulle posizioni sostenute dal Presidente o, al limite, si critica la Casa Bianca per non aver chiesto l’approvazione del Congresso che sarebbe verosimilmente arrivata senza troppe difficoltà. In questo quadro ciò che inquieta maggiormente è però l’assordante silenzio di un movimento pacifista - simile a quello esploso nel 2003 alla vigilia dell’invasione dell’Iraq - che condanni l’aggressione contro la Libia in quanto tale al di là delle formalità costituzionali sul potere di emettere una dichiarazione di guerra.

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