di Eugenio Roscini Vitali 

Tra Egitto e Israele sale la tensione da quando le autorità del Cairo hanno annunciano l’arresto di un israeliano sospettato di essere un agente del Mossad, accusato di avere partecipato alle proteste di piazza Tahrir e di aver incitato la folla ad atti vandalici. Fermato il 12 giugno scorso, Ilan Grapel, questo il nome dell’ex ufficiale della 101 Unità paracadutisti delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), è stato sottoposto a custodia cautelare per quindici giorni; il procuratore sarebbe in possesso di testimonianze che lo collegherebbero ai violenti incidenti interreligiosi che a maggio hanno infiammato il quartiere popolare di Embaba, ad ovest del Cairo.

In quell’occasione un gruppo di ultraconservatori salafiti aveva assaltato e dato alle fiamme la chiesa copta della Vergine Maria e alcune case vicine; gli estremisti avevano raggiunto l’area affermando che una giovane donna sposata con un musulmano era tenuta in ostaggio dalla comunità cristiana. Gli incidenti erano poi proseguiti davanti alla televisione di Stato e solo dopo alcune ore le forze dell’ordine erano riuscite a riportare la situazione sotto controllo; pesante il bilancio delle violenze, con nove morti e oltre 180 feriti. Secondo fonti israeliane, subito dopo l’arresto di Grapel le autorità egiziane avrebbero inoltre accusato i servizi segreti di Tel Aviv di aver ordito un tentativo di avvelenamento ai danni di un’azienda cipriota che produce pomodori venduti in Egitto.

Le autorità israeliane negano che l’uomo sia un agente dello Stato ebraico ed affermano di non essere state informate dell’arresto di alcun cittadino israeliano, ma le foto, pubblicate con grande risalto dai quotidiani egiziani al-Ahram e al-Akhar, ritrarrebbero Grapel, israeliano con cittadinanza americana, in divisa e mentre manifesta in piazza Tahrir e mentre visita una moschea e alcuni luoghi turistici. Sempre secondo i media egiziani, nel 2006 la presunta spia, di cui esisterebbero due profili Facebook in arabo e nessuno in ebraico, avrebbe partecipato alla guerra in Libano.

Per l’ex ministro della Difesa israeliana, Benjamin Ben-Eliezer, le accuse sono ridicole, “roba da dilettanti” che il Cairo userebbe come un pretesto per spostare l’attenzione da problematiche più serie e dimostrare agli egiziani di avere sotto controllo la situazione. Concorde parte della stampa israeliana che ipotizza un tentativo egiziano di animare un sentimento antiebraico per evitare che il popolo, deluso dagli scarsi cambiamenti messi in essere, possa tornare in piazza e scatenare una nuova ondata di protesta.

Parlando dalla sua casa nel Queens, New York, il padre della presunta spia, Daniel Grapel, ha detto che il figlio, studente in legge alla Emory University School di Atlanta, Georgia, si sarebbe recato in Egitto per completare un programma di studi che avrebbe avuto termine alla fine di agosto, data prevista per il rientro negli Stati Uniti. Nei primi report pubblicati dalla stampa egiziana l’ex ufficiale dei parà era stato descritto come l’inviato speciale di un giornale americano che si trovava in Egitto nelle per mantenere contatti con un gruppo di reporter stranieri e misurare le reazione dell’opinione pubblica alle dimissioni del presidente Mubarak e al contemporaneo passaggio dei poteri al Consiglio Supremo delle forze armate.

Tra gli analisti occidentali c’è chi sospetta che per ora le autorità egiziane abbiano trovato più conveniente “trovare” una spia del Mossad anziché intraprendere altre strade; si sospetta infatti che Ilan Grapel potesse lavorare sotto copertura per un altro paese. Secondo una delle ipotesi più accreditate, al momento dell’arresto l’ex ufficiale dell’IDF era diretto in Libia; superata la frontiera si sarebbe poi unito ai ribelli anti Gheddafi.

Da un report pubblicato da al-Ahram risulta che l’ufficiale sarebbe entrato in Egitto l’11 febbraio 2011 con un volo diretto da Francoforte; il 15 dello stesso mese avrebbe lasciato il Cairo per farvi ritorno il 10 maggio. A febbraio, prima di raggiungere la capitale egiziana, Grapel si sarebbe recato nel sud del Paese per incontrasi con un con gruppo di persone, alcune delle quali europee.

Il caso Grapel si apre in un momento di estrema tensione tra i due Paesi: il nuovo clima di cooperazione fra il Cairo ed Hamas e la riapertura a tempo pieno - sei giorni la settimana - del valico di Rafah preoccupa Tel Aviv che considera il ripristino del transito delle merci fra il Sinai e la Striscia una minaccia per la sicurezza regionale. L’apprensione è giustificata dal fatto che gli uomini di Abu Mazen e gli osservatori internazionali non hanno ancora preso il controllo doganale della frontiera e questo non accadrà fin quando non verrà trovato un accordo tra i gruppi che formano il nuovo governo palestinese di unità nazionale.

Intanto fonti militari israeliane hanno rivelato che con l’attuale arsenale a disposizione - circa 10 mila razzi, con un incremento che negli ultimi mesi è pari a più di 30 vettori alla settimana - l’ala militare di Hamas sarebbe in grado di lanciare su Israele 150 missili al giorno per oltre due mesi; il flusso di armi comprenderebbe anche sistemi anti-carro e missili anti-aerei, nonché centinaia di i vettori contrabbandati dalla Libia.

 

 

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