di Raffaele Matteotti

All’organizzazione delle Nazioni Unite lavorano parecchio, contrariamente a una certa vulgata. La settimana scorsa si è messo mani ai regolamenti in materia di armamenti (quanto mai d’attualità), tuttavia i progressi sono stati visibilmente ostacolati da alcuni paesi. L’apposito Comitato ha approvato una risoluzione che impegna l’Assemblea a chiamare gli stati nazionali al rispetto e all’implementazione delle procedure di tracciabilità delle armi leggere con 172 voti a favore, zero astenuti e un voto contrario: gli Stati Uniti. Le armi leggere sono responsabili del maggior numero di vittime nei conflitti. Le armi leggere sono per sempre, nel senso che sono robustissime e non vengono mai distrutte, ma riciclate di continuo in conflitti sempre nuovi. Da alcuni anni in seno alle Nazioni Unite si è stabilito un fronte che ne chiede la tracciabilità al fine di imporre controlli e di far rispettare almeno gli embarghi verso i paesi nei quali potrebbero amplificare le situazioni di conflitto. Un altro importante testo approvato chiede la totale eliminazione delle armi nucleari, approvato con 168 voti a favore e 4 contrari: Corea del Nord (e se ne capisce la ratio), Stati Uniti, India (che con gli Washington ha appena concluso un trattato che prevede proprio una super-fornitura che ne implementerà in maniera drastica l’arsenale nucleare) e Guinea Equatoriale ( dove il dittatore, Teodoro Obiang, vende il petrolio alla EXXON ed è coperto dagli Stati Uniti e dal loro potere di veto nella Commissione per i Diritti Umani). Astenuti: Bhutan, Cina, Cuba, Egitto, Iran, Israele, Myanmar e Pakistan (gran parte di questi avrebbe votato contro, ma quando può evita di votare con gli USA)
Il Comitato ha anche adottato un testo che chiede un bando totale dei test nucleari, 175 voti favore, 2 contro (Corea del Nord e Stati Uniti), 4 astenuti (Colombia, India, Mauritius e Siria). Allo stesso modo è stato approvato un testo che dichiara l’emisfero meridionale del pianeta interdetto alle armi nucleari con 168 voti a favore e 3 contrari (Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna) e 7 astensioni (Bhutan, India, Israele, Isole Marshall, Pakistan, Russia, Spagna). Il voto ha dato così il benvenuto alla firma del “Trattato di Esclusione Nucleare nell’Asia Centrale”, siglato a Semipalatinsk l’8 settembre 2006.
I testi approvati in Commissione passeranno al voto in Assemblea, verranno adottati se non incontreranno maggioranze contrarie o l’opposizione di un paese con il diritto di veto. I cinque paesi con diritto di veto sono Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia e Stati Uniti. Tra questi cinque, l’unico paese che ha votato contro tutti questi ragionevolissimi proponimenti è quello guidato da George W. Bush, che rigetta sistematicamente qualsiasi legge internazionale sul regolamento dei conflitti e degli armamenti. Non è un caso che gli Stati Uniti siano il primo produttore, venditore e consumatore di armamenti al mondo, come non è un caso che l’amministrazione Bush nel corso della sua “guerra al terrore” abbia infranto qualsiasi norma internazionale; dalla Convenzione di Ginevra a quella contro l’impiego delle armi chimiche, fino alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, giungendo poi, recentissimamente, a ripudiare anche i trattati internazionali che regolano lo sfruttamento dello spazio extra-planetario.
L’allergia dell’amministrazione Bush per le leggi, siano quelle che regolano la guerra, siano quelle che riguardano la privacy ed il segreto bancario (nel proprio, ma anche negli altri paesi, come testimonia lo scandalo Swift) o quelle ambientali, ha segnato una brusca inversione di tendenza rispetto all’amministrazione Clinton. Amministrazione che declinava la proiezione statunitense all’estero su basi concordate più che estorte e che preferiva la costruzione di accordi multinazionali per sostenere un disegno globalizzante molto più sofisticato di quello repubblicano.
La retorica sull’unica superpotenza rimasta negli anni ’90 si riferiva agli USA di Clinton, che si erano assunti il compito di ridisegnare il mondo dopo l’evaporazione dei blocchi risalenti alla Guerra Fredda. L’autorità di quella Amministrazione non era fondata solamente sul potere militare, ma soprattutto sulla gestione e promozione di accordi internazionali. L’unica potenza planetaria, guidata da Bush, è stata riconfigurata completamente, nello stile come nella sostanza. Bush ha dispiegato i suoi costosissimi toys sui campi di battaglia, cui ha affiancato una schiera di ferocissimi diplomatici che si sono incaricati di affossare qualsiasi iniziativa internazionale che possa intralciare i suoi piani, cercando di piegare le istituzioni globali al servizio della politica USA (tipico il caso della Banca Mondiale guidata da Wolfowitz) e ai disegni neoconservatori. Ma l’Irak e l’Afghanistan restano un pantano dal quale non riescono ad uscire. Come dalla loro stessa linea politica.




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