di Mario Lombardo

L’ostilità degli abitanti di Okinawa nei confronti delle decine di migliaia di soldati americani presenti sull’isola giapponese è tornata a riesplodere in questi giorni dopo l’ultimo della lunga serie di crimini commessi da membri del contingente militare USA. Nella capitale della prefettura più meridionale del Giappone, nel fine settimana è andata in scena quella che gli organizzatori hanno definito come la più massiccia manifestazione anti-americana degli ultimi vent’anni.

I 65 mila partecipanti hanno protestato contro lo stupro e l’assassinio della 20enne Rina Shimabukuro, sparita lo scorso 28 aprile e ritrovata senza vita il 19 maggio. Il responsabile sarebbe l’ex marine Kenneth Franklin Gadson, oggi “contractor” delle forze armate statunitensi presso la base aerea Kadena. Quest’ultimo è stato arrestato e avrebbe ammesso di avere violentato, accoltellato e strangolato la giovane, prima di occultarne il cadavere in una zona boscosa.

Le proteste dei residenti dell’isola scaturite da questo episodio si sono subito saldate al sentimento di avversione generalizzato verso le basi militari americane ospitate a Okinawa. In particolare, da anni la maggioranza della popolazione si batte contro l’accordo tra Washington e il governo di Tokyo per trasferire la base Futenma dei Marines USA dal centro urbano di Ginowan alla località di Henoko, lungo la costa settentrionale.

Se la presenza della base Futenma ha causato e continua a essere causa di crimini, ma anche di forte rumore e inquinamento, per ragioni ambientali coloro che vivono a Okinawa si oppongono al suo spostamento verso un’area attualmente incontaminata. Allo stesso tempo, la resistenza ai piani di trasloco si è trasformata ormai per molti nella richiesta di evacuazione totale dei militari americani dall’isola.

Okinawa sopporta d’altra parte in maniera sproporzionata il peso della presenza militare USA in Giappone. Per la sua posizione strategica, sull’isola, controllata direttamente dagli americani fino al 1972 e teatro di sanguinosi scontri durante la Seconda Guerra Mondiale, si trovano circa 30 mila soldati USA sui 47 mila totali ospitati dal Giappone.

Gli abitanti di Okinawa sono costretti così a subire i crimini commessi dai militari USA, spesso protetti dalle conseguenze legali delle loro azioni grazie agli accordi tra i due governi. Particolare repulsione e manifestazioni di massa aveva suscitato lo stupro di una 12enne giapponese nel 1995 da parte di tre marines americani. Proprio questa vicenda aveva spinto Washington e Tokyo a concordare il trasferimento della base Futenma in un’altra località dell’isola.

Altri casi si sono verificati anche negli ultimi mesi, oltre all’assassinio di Rina Shimabukuro. A marzo, un militare americano aveva violentato una turista giapponese in vacanza a Okinawa, mentre a maggio un ufficiale era stato arrestato per molestie e percosse ai danni di una studentessa giapponese di 19 anni. Ai primi di giugno, infine, una donna soldato americana ubriaca alla guida di un’auto aveva causato un incidente stradale nel quale erano rimaste ferite due persone.

I manifestanti scesi nelle piazze della principale città di Okinawa nel fine settimana hanno firmato una petizione per chiedere il ritiro dei Marines americani dall’isola, rilevando come questi ultimi si siano resi responsabili di quasi seimila crimini a partire dal 1972, di cui poco meno di 600 classificabili come “gravi”.

L’insofferenza diffusa tra la popolazione di Okinawa per la presenza militare americana si riflette anche sulle vicende legali connesse al trasferimento della base Futenma. Il governatore dell’isola, Takeshi Onaga, lo scorso autunno aveva revocato i permessi per la costruzione delle nuove strutture destinate a ospitare i Marines, ma il governo di Tokyo, guidato dal premier ultra-conservatore Shinzo Abe, aveva imposto il congelamento di questa direttiva.

Il caso è finito poi all’attenzione di un consiglio competente sulle dispute tra le autorità locali e centrali in Giappone, il quale ha però evitato di emettere un verdetto definitivo, invitando invece le parti a negoziare una soluzione di compromesso, al momento difficilmente raggiungibile.

Le forze politiche locali che negli ultimi tempi hanno cavalcato le proteste popolari contro i militari USA non sono in ogni caso contrari in linea di principio all’alleanza del Giappone con gli Stati Uniti, da cui dipende appunto la situazione venutasi a creare a Okinawa, ma cercano per lo più di sfruttare il malcontento nell’isola per i propri calcoli politici.

Anche per questa ragione, l’insofferenza della maggior parte della popolazione di Okinawa verso i militari americani minaccia di aumentare ulteriormente nel prossimo futuro. Tanto più che né Washington né Tokyo intendono fare concessioni sostanziali su questo fronte, visto il rilievo strategico dell’isola.

Okinawa, situata a poche centinaia di chilometri dalle coste della Cina, ha un ruolo decisivo nei piani di militarizzazione del paese del governo Abe, già concretizzati nella “reinterpretazione” della Costituzione pacifista del paese per assegnare maggiori funzioni alle forze armate.

Il Giappone è inoltre integrato nella strategia di accerchiamento della Cina promossa dagli Stati Uniti, i quali considerano a loro volta la presenza di un contingente militare sull’isola una componente cruciale dei propri piani di guerra contro Pechino.

In questo quadro è facile comprendere il motivo per cui il governo americano continui a mostrarsi irremovibile sia sulla questione della presenza dei propri militari a Okinawa sia sul rispetto dell’accordo con Tokyo circa il trasferimento della principale base dell’isola, nonostante la crescente e più che comprensibile ostilità della popolazione locale.

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