L’emergenza Coronavirus e la crisi economica provocata dall’interruzione di molte attività industriali e commerciali si stanno traducendo in una drammatica impennata del numero di disoccupati e di lavoratori ridotti in povertà, negli Stati Uniti come altrove. Non per tutti l’ondata della pandemia ha significato però miseria e disperazione. Anzi, gli eventi delle ultime settimane sono stati un’autentica fortuna per un club molto ristretto di privilegiati, a cominciare da Jeff Bezos, fondatore e numero uno di Amazon, nonché uomo più ricco del pianeta.

La reclusione forzata di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo ha fatto schizzare gli ordini sulla più nota piattaforma di commercio on-line, fino a registrare una media di acquisti pari a circa 11 mila dollari al secondo. Questo vero e proprio boom, di cui sta beneficiando non solo Amazon, dall’inizio dell’anno ha fatto aumentare del 20% il prezzo delle azioni di una compagnia che ha oggi un valore di mercato di oltre 1.100 miliardi di dollari, praticamente uguale al PIL dell’Indonesia, cioè un paese di quasi 270 milioni di abitanti. Nello stesso arco di tempo, l’indice “S&P 500” della borsa americana ha al contrario segnato una flessione del 12%.

Per Bezos, questa nuova realtà ha significato un’aggiunta di altri 24 miliardi di dollari a una ricchezza personale che già ammontava a 138 miliardi. Altri 8,2 miliardi sono poi finiti nelle tasche della sua ex moglie, MacKenzie Scott Bezos, la quale, grazie a una quota del 4% di Amazon ottenuta dal recente accordo di separazione, può vantare un patrimonio di oltre 45 miliardi di dollari che le vale la 18esima posizione nella lista dei paperoni di Fortune.

Il successo della creatura di Jeff Bezos contrasta in modo clamoroso con il rapidissimo precipitare della situazione per la gran parte degli americani. Negli Stati Uniti, a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza, il numero di disoccupati ha sfondato quota 22 milioni. Amazon, al contrario, dal mese di marzo ha assunto 100 mila nuovi dipendenti e prevede di impiegarne altri 75 mila a breve per rispondere all’esplosione di ordini.

Una simile quantità di denaro, generata di fatto da un’epidemia devastante, non ha prevedibilmente cambiato il modello imprenditoriale di Amazon, basato in sostanza sullo sfruttamento di una forza lavoro sottopagata e costretta a subire regole rigidissime. Al contrario, l’impatto del Coronavirus sulle modalità di lavoro nella compagnia di Bezos ne ha accentuato le aberrazioni, mettendo i dipendenti a serio rischio di contagio.

Nei magazzini di Amazon in tutto il mondo sono state numerose le manifestazioni di protesta contro le scarse misure di sicurezza adottate per l’impatto del COVID-19. Ufficialmente, sarebbero 74 gli impianti della compagnia nei quali si sono già registrati casi di contagio, anche se, a giudicare dalle segnalazioni dei lavoratori, il numero potrebbe essere almeno il doppio. Questa settimana è circolata inoltre la notizia della prima vittima di Coronavirus, un responsabile delle operazioni, deceduto il 31 marzo scorso, nella sede di Hawthorne, in California.

I vertici di Amazon hanno licenziato solo nell’ultima settimana tre dipendenti negli Stati Uniti che avevano denunciato condizioni di sicurezza inadeguate. Le ragioni dei provvedimenti includono in tutti i casi la presunta violazione delle norme di “distanziamento sociale” all’interno degli impianti, scusa utilizzata per colpire quanti intendono coinvolgere nella mobilitazione gli altri lavoratori.

L’arricchimento clamoroso di Bezos sulla pelle di una forza lavoro esposta a seri rischi sanitari e a regole sempre più autoritarie contrasta fortemente con l’immagine pubblica che il presidente di Amazon sta cercando di proiettare in questo periodo. A fine marzo, Bezos aveva ad esempio indirizzato una lettera aperta ai propri dipendenti nella quale sosteneva che, riguardo all’emergenza, questi ultimi e i massimi vertici della compagnia erano “sulla stessa barca”.

Bezos ha anche cercato di ripulire la propria immagine con iniziative di beneficenza. In realtà, a tutt’oggi sembra che sia stata fatta da parte sua una sola donazione da 100 milioni di dollari a favore di un’organizzazione che provvede alla distribuzione di cibo. La cifra, evidentemente, rappresenta una frazione infinitesimale del suo patrimonio. D’altra parte, sempre nel mese di marzo, Bezos aveva creato un fondo di sostegno per i propri dipendenti colpiti dal Coronavirus, sollecitando addirittura donazioni pubbliche dopo avere contribuito di tasca propria con appena 25 milioni di dollari.

Il caso di Amazon e di Jeff Bezos non è ovviamente un’eccezione, bensì la regola in un sistema che sfrutta qualsiasi evento, anche il più letale come una pandemia, per dirottare verso il vertice della piramide sociale ricchezze sottratte al resto della comunità. Un folto numero di corporations e di top manager americani hanno incassato abbondantemente in queste settimane di crisi, grazie soprattutto a due fattori. Il primo è appunto lo sfruttamento di segmenti di mercato esplosi in parallelo al lockdown, come le vendite on-line, mentre l’altro è l’infusione di denaro virtualmente senza limite da parte del governo per evitare il tracollo dell’economia.

Solo nella prima settimana di aprile, i nomi più noti dell’industria e della finanza USA hanno visto così lievitare i propri patrimoni. Secondo dati compilati da Forbes, Bezos ha intascato quasi 7 miliardi di dollari, Mark Zuckerberg (Facebook) 6,2 miliardi, Warren Buffett 5 miliardi, Elon Musk (Tesla) 4,2 miliardi, Larry Ellison (Oracle) 4 miliardi, Larry Page (Google) e Bill Gates 3,6 miliardi ciascuno. Lo stesso Elon Musk dall’inizio dell’anno ha aggiunto 10 miliardi di dollari alle sue ricchezze, mentre i tre membri della famiglia Walton, proprietari del gigante della vendita al dettaglio Walmart, presente anche nel settore dell’e-commerce, si sono appropriati complessivamente di quasi 8 miliardi.

Affari d’oro stanno facendo anche le compagnie private che operano nel settore sanitario. Il fondatore della società di software per videoconferenze Zoom, Eric Yuan, ha da parte sua più che raddoppiato il suo patrimonio nell’ultimo periodo, salito a 7,4 miliardi di dollari. A 5,1 miliardi è arrivato invece Reed Hastings, “CEO” di Netflix, i cui programmi offerti in streaming stanno raggiungendo un numero enorme di persone in tutto il mondo costrette a rimanere in casa.

Altri settori ancora hanno goduto degli interventi di “salvataggio” decisi dal governo e dal Congresso di Washington. Disney, nonostante abbia momentaneamente sospeso dal lavoro oltre 40 mila dipendenti, ha visto salire del 20% il valore delle proprie azioni nel mese di marzo in seguito allo stanziamento di fondi federali che, per l’industria alberghiera e dell’intrattenimento, ammontano complessivamente a 250 miliardi di dollari.

Le compagnie aeree, tra le più penalizzate dall’emergenza in atto, hanno a loro volta ottenuto un totale di 50 miliardi tra prestiti agevolati e denaro a fondo perduto. Le condizioni imposte a queste e alle altre corporations “assistite” dal denaro pubblico sono in gran parte irrisorie e, quando anche comportano il divieto di licenziamenti, risultano soltanto provvisorie. Per quanto riguarda ancora le compagnie aeree, va ricordato che le quattro che dominano il mercato americano – American, Delta, Southwest e United – negli ultimi cinque anni avevano sprecato un totale di 45 miliardi di dollari nel pagamento di dividendi agli azionisti e nel riacquisto delle proprie azioni. Una pratica, quest’ultima, che serve principalmente a far schizzare verso l’alto il valore delle azioni di una determinata compagnia.

Nel pacchetto di salvataggio dell’economia USA, già sbilanciato a favore del business, i membri del Congresso hanno inserito infine una misura che prevede enormi sgravi fiscali per le grandi aziende, difficilmente giustificabili dai contraccolpi del COVID-19, visto che è consentito loro di detrarre le perdite registrate anche nel 2018 e nel 2019. Solo nel 2020, il bonus toccherà i 90 miliardi di dollari e arriverà a 170 in dieci anni. L’82% del totale sarà a beneficio di circa 43 mila contribuenti americani con redditi superiori a un milione di dollari. Appena il 3% della cifra complessiva andrà invece a quanti guadagnano meno di 100 mila dollari.

In media, secondo un’analisi di un’apposita commissione del Congresso, i redditi più alti godranno di uno sconto fiscale pari a 1,6 milioni solo per l’anno in corso. Per avere un’idea delle priorità della classe politica di Washington, nello stesso provvedimento da duemila miliardi di dollari (“CARES Act”), approvato a fine marzo, sono stati stanziati appena 100 miliardi per le strutture sanitarie in prima linea contro il Coronavirus e 150 a favore delle amministrazioni locali.

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