Tra l’epidemia di Coronavirus che continua a fare un numero altissimo di vittime e le pressioni per far ripartire in fretta l’economia, tutta la classe politica degli Stati Uniti è impegnata in una campagna di propaganda, amplificata dai media ufficiali, diretta ad attribuire alla Cina le principali responsabilità della crisi in atto. L’iniziativa ha uno spirito sostanzialmente bipartisan, anche se viene usata come arma politica da democratici e repubblicani, e ha due obiettivi in particolare: occultare le colpe tutte americane nella gestione del virus e alimentare la competizione strategica con Pechino nell’ottica della rivalità tra le due principali potenze del pianeta.

 

Da settimane si continua a insinuare negli ambienti di potere a Washington come la leadership cinese abbia deliberatamente nascosto la gravità dell’epidemia e ritardato in maniera colpevole la diffusione di notizie alla comunità internazionale, provocando così gli scenari disastrosi che svariati paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, si trovano ora a dovere affrontare.

Segnali che questa campagna fosse attentamente preparata dal governo americano erano già emersi nel mese di marzo se non prima, ma è stato lo stesso presidente Trump nel fine settimana a imprimere un’accelerazione alla propaganda. In una conferenza stampa dalla Casa Bianca, Trump ha ad esempio insinuato ancora una volta che la Cina potrebbe essere “consapevolmente responsabile” della diffusione del COVID-19. Se così fosse, ha aggiunto il presidente, Pechino finirà per pagarne le conseguenze.

La coordinatrice federale dello sforzo contro il Coronavirus, Deborah Brix, ha nella stessa circostanza assecondato le allusioni di Trump. A suo dire, le autorità di Pechino, così come – significativamente – quelle iraniane, avrebbero mentito sul numero di decessi, poiché la percentuale di vittime in Cina è stata di molto inferiore a quella registrata in molti paesi dell’Europa e negli Stati Uniti.

Le cifre della Cina potrebbero essere state in effetti sottostimate. Questa considerazione vale tuttavia per gli stessi paesi occidentali, inclusi gli USA o l’Italia, ma la ragione in tutti i casi è da ricondurre a vari fattori, non necessariamente a intenzioni fuorvianti, come le difficoltà nel far fronte dal punto di vista organizzativo a un’ondata epidemica così imponente nelle prime fasi e a difformità nel considerare le cause reali di decesso. Ancora più importante è far notare come le misure prese in maniera relativamente tempestiva dalla Cina sono state tra le più estreme e rigorose. Ciò, al di là di qualsiasi considerazione di opportunità politica o democratica, ha senza dubbio contribuito a ridurre l’incidenza del virus.

L’aspetto più discutibile è però forse quello della diffusione delle informazioni sulla nuova malattia partita dalla Cina. L’amministrazione Trump e la stampa americana continuano a sostenere che Pechino abbia tenuto nascosta la portata dell’epidemia per un periodo dalla lunghezza variabile, ma che, a loro dire, avrebbe indubbiamente influito in modo decisivo nel cogliere impreparati gli Stati Uniti e molti altri paesi.

È sufficiente fare una semplice ricerca tra le notizie pubblicate on-line nelle prime settimane dell’anno per scoprire che le accuse sono fondate su menzogne. Già il 3 gennaio, il numero uno dell’agenzia USA per il controllo delle malattie (CDC), Robert Redfield, era stato informato dalla sua controparte cinese circa il diffondersi nel paese asiatico di strani casi di polmonite nella zona di Wuhan. Cinque giorni più tardi, la Cina aveva identificato il nuovo Coronavirus e debitamente informato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Poco dopo, in Germania era stato studiato e perfezionato un protocollo per testare i positivi al virus, adottato infine il 17 gennaio dalla stessa agenzia delle Nazioni Unite.

Questa tempistica della risposta al COVID-19 da parte cinese lascia quindi poco spazio alle tesi provenienti da Washington. Pur senza negare le mancanze e i tentativi almeno iniziali di minimizzare la gravità dell’epidemia, cosa peraltro comune alla gran parte degli altri paesi colpiti, il governo di Pechino ha agito con un certo grado di trasparenza e di ciò gli è stato dato atto anche dall’OMS e da alcuni governi europei, come ad esempio quello tedesco. Probabilmente anche per quest’ultima ragione, Trump ha più volte attaccato l’OMS e sospeso nei giorni scorsi la quota di fondi stanziata dagli Stati Uniti.

La linea d’attacco americana dovrebbe a ben vedere essere ribaltata. I fatti dei primi mesi del 2020 rappresentano infatti un atto d’accusa proprio contro l’incapacità del governo di Washington nel limitare l’impatto di un’ondata epidemica ampiamente prevedibile e in merito alla quale aveva a disposizione tutte le informazioni necessarie provenienti da innumerevoli fonti. La Casa Bianca e gli organi decisionali in materia sanitaria degli Stati Uniti erano anzi a conoscenza di quanto stava accadendo in Cina con larghissimo anticipo. Nei giorni scorsi erano emersi almeno due fatti che mostravano quanto Trump e il governo americano sapevano sul virus e, nonostante ciò, non abbiano mosso un dito se non con colpevole ritardo.

L’8 aprile scorso, ABC News aveva rivelato come l’agenzia di intelligence USA che si occupa di minacce sanitarie (National Center for Medical Intelligence, NCMI) avesse avvertito già a fine novembre 2019 dell’esistenza di una probabile epidemia anomala a Wuhan. Il rapporto dell’NCMI si basava su intercettazioni e immagini satellitari e parlava di una seria minaccia per le forze armate americane di stanza in Asia, nonché di un potenziale “cataclisma” per gli Stati Uniti. L’agenzia di intelligence aveva tenuto briefing sulla questione con i vertici del Pentagono, da cui dipende, e con esponenti di spicco della Casa Bianca, tra cui il Consiglio per la Sicurezza Nazionale.

Giovedì scorso, poi, la rete televisiva israeliana Channel 12 aveva sostenuto che addirittura nella seconda settimana di novembre i servizi segreti americani erano a conoscenza della situazione a Wuhan. La Casa Bianca era stata messa al corrente, ma per Trump l’informazione sembrava non essere di alcun interesse. Il governo di Washington aveva però ritenuto di condividere la notizia con i propri alleati della NATO e con Israele.

La propaganda anti-cinese promossa da Washington include anche due altre denunce che non hanno alcun fondamento scientifico. La prima riguarda la responsabilità cinese della diffusione del COVID-19 a causa delle carenze igieniche nel mercato del pesce di Wuhan. Le notizie iniziali dell’origine dell’epidemia in questo luogo sono state in larga misura smentite, anche perché il virus sarebbe stato trasmesso dai pipistrelli all’uomo e in questo mercato non viene venduta la carne di questo animale.

Ampiamente smentita dalla scienza è anche l’accusa che la stessa Casa Bianca continua a rivolgere a Pechino, cioè la creazione del Coronavirus in laboratorio e la diffusione di esso per errore o, addirittura, deliberata per colpire i paesi rivali della Cina. Su questo fronte, a sostegno della tesi che circola negli Stati Uniti ci sarebbe la presenza a Wuhan o nei suoi dintorni di due laboratori che si occupano, tra l’altro, di ricerca su virus trasmissibili dai pipistrelli all’uomo. Che il COVID-19 abbia avuto uno sviluppo naturale è tuttavia opinione ormai condivisa in ambito scientifico.

L’origine di questa tesi cospirazionista è da ricercare negli ambienti di estrema destra vicini a Trump e al Partito Repubblicano, ma singolarmente anche giornali ritenuti autorevoli e vicini ai democratici hanno ripreso di recente questi argomenti per rilanciarli nel dibattito politico americano. La questione è talmente degenerata che stanno già circolando notizie di possibili cause legali contro il governo cinese per costringerlo a risarcire gli Stati Uniti dei danni economici provocati dall’epidemia. Altri ancora sostengono invece che Washington dovrebbe andare in default sul pagamento dei titoli del debito americano detenuto dalla Cina e che ammonta a qualcosa come 1.200 miliardi di dollari.

L’atmosfera tossica dai toni violentemente anti-cinesi serve dunque in primo luogo a nascondere il vero scandalo degli effetti del Coronavirus negli Stati Uniti, ovvero l’inadeguatezza della risposta del paese più ricco del pianeta. Il rifiuto per settimane se non mesi del governo americano di prendere provvedimenti preventivi efficaci, malgrado tutte le informazioni in proprio possesso, è il riflesso degli interessi di riferimento di tutta la classe dirigente di questo paese. In altre parole, politici e media ufficiali hanno avuto a lungo come obiettivo primario il ridimensionamento della minaccia COVID-19 per evitare scosse ai mercati finanziari.

A riprova di ciò c’è il fatto che, quando virus è approdato negli USA, l’amministrazione Trump, il Congresso e la Federal Reserve hanno agito tempestivamente per garantire un flusso virtualmente illimitato di denaro a Wall Street e alle grandi aziende, mettendole al riparo dalla crisi economica in arrivo. Il tutto mentre per il resto della popolazione venivano concesse solo le briciole, oltretutto tardivamente, mentre strutture e operatori sanitari erano costretti a operare con mezzi insufficienti e senza adeguate protezioni dal contagio.

A partecipare alla campagna anti-cinese sono anche i leader del Partito Democratico, pronti a raccogliere i resti del fallito “Russiagate” per dipingere questa volta Trump come il burattino del presidente cinese Xi Jinping. Il candidato democratico alla presidenza, Joe Biden, ha diffuso nei giorni scorsi un messaggio elettorale che attacca appunto da destra la Casa Bianca, attribuendo anch’egli le colpe dell’impatto rovinoso del Coronavirus non al sistema economico e sociale americano, bensì alla Cina e, in seconda battuta, a un presidente troppo accondiscendente nei confronti di Pechino.

Le manovre in atto servono a sviare la crescente rabbia della popolazione, alimentata da un numero di disoccupati salito di ben 22 milioni in un mese, e a indirizzarla verso un nemico esterno. Parallelamente, l’intensificarsi delle accuse contro la Cina rappresenta la prosecuzione dello scontro in atto ormai da alcuni anni con Pechino e prefigura un’inasprirsi della rivalità tra le due potenze che segnerà in maniera pericolosa l’attitudine della prossima amministrazione americana, chiunque sia il vincitore delle elezioni di novembre.

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