Da qualche settimana stanno circolando sulla stampa internazionale voci insistenti di una possibile frattura nelle relazioni tra il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo alleato siriano, Bashar al-Assad, nonostante gli sforzi comuni nel combattere la guerra in corso nel paese mediorientale. Le indiscrezioni che attribuiscono a Mosca una certa impazienza nei confronti di Damasco sono state alimentate da articoli e analisi della situazione in Siria apparsi su alcuni media ritenuti vicini al Cremlino. La realtà potrebbe essere tuttavia più complicata e le divergenze tra i due alleati, se pure esistono, non devono essere sopravvalutate.

 

Una delle fonti quasi sempre citate da coloro che vedono il rapporto tra Putin e Assad in fase calante è il sito web della Fondazione per la Protezione dei Valori Nazionali in Siria (RIA-FAN). Quest’ultimo, già nel mese di aprile aveva rivolto accese critiche contro il regime di Damasco, i cui livelli astronomici di corruzione impedirebbero una cooperazione più efficace con la Russia. Un presunto sondaggio di opinione condotto in Siria era stato inoltre pubblicato e mostrava che gli elettori di questo paese intenzionati a votare per Assad nelle presidenziali del prossimo anno costituivano solo poco più del 30% del totale.

La fondazione in questione sarebbe collegata all’uomo d’affari russo Yevgeny Prigozhin, ritenuto molto vicino al Cremlino, così da far pensare che le opinioni espresse riflettano in qualche modo la posizione di Putin. Lo stesso discorso vale per un intervento dell’ex ambasciatore Aleksandr Aksenenok, vice-presidente dell’influente Consiglio Russo per gli Affari Internazionali, affiliato al ministero degli Esteri di Mosca.

Aksenenok avrebbe anch’egli manifestato il malcontento degli ambienti di potere in Russia nei confronti della conduzione della crisi siriana da parte di Assad. In particolare, Damasco continuerebbe ad assegnare la priorità assoluta all’aspetto militare, così da riconquistare tutto il territorio del paese, laddove Mosca spingerebbe per un consolidamento della situazione e il lancio di un piano di ricostruzione già in ottica post-bellica.

Su alcuni media anti-siriani sono inoltre circolate notizie decisamente gonfiate e poco attendibili. Una di esse è risale ai primi di maggio e, partendo dalle opinioni espresse dall’appena citato Consiglio Russo per gli Affari Internazionali, vorrebbe l’esistenza di un accordo tra Mosca, Ankara e Teheran sulla prossima rimozione di Assad, seguita da una tregua su tutto il territorio siriano e dalla formazione di un governo di transizione che includa personalità del regime e rappresentanti dell’opposizione armata.

Un altro evento recente ha sollevato qualche interrogativo sulle intenzioni russe. In molti hanno cioè visto dietro allo scontro tra Assad e il cugino Rami Makhlouf, ricchissimo e influente imprenditore siriano, la possibile mano del Cremlino. Makhlouf è al centro di un’operazione del regime per recuperare dalla sua compagnia di telecomunicazioni – Syriatel – più di 180 milioni di dollari in tasse non pagate.

Proprio martedì, il governo di Damasco ha ordinato il sequestro dei beni di Makhlouf, il quale nelle ultime settimane ha pubblicato video in rete e rilasciato interviste per denunciare i vertici politici siriani. Sulla vicenda si sono scatenate diverse speculazioni. Per lo più è sembrata prevalere l’opinione di quanti hanno attribuito alla Russia l’offensiva “anti-corruzione” che ha preso di mira, tra gli altri, uno degli uomini più potenti tra quelli collegati al clan Assad, così da ripulire l’immagine del governo o, ipotesi meno probabile, per reperire risorse da destinare alla restituzione dei prestiti di guerra elargiti da Mosca e che ammonterebbero a circa tre miliardi di dollari.

In linea generale, le critiche rivolte per via indiretta a Damasco potrebbero essere tutt’al più un avvertimento ad Assad circa le intenzioni della Russia di imprimere una svolta alla crisi siriana dopo anni di guerra. La questione appare ad ogni modo più sfumata. Putin comprende evidentemente come la situazione in Siria, anche se migliorata in modo considerevole per Assad negli ultimi anni, resti per molti versi precaria e, non certo per colpa dell’alleato, l’aspetto militare non possa in nessun modo considerarsi risolto.

Il governo di Damasco non può essere dunque del tutto soddisfatto degli equilibri militari attuali, visto che il paese resta in parte occupato illegalmente da forze straniere (USA e Turchia), per non parlare delle sacche di resistenza jihadiste. Allo stesso tempo, Mosca vede sempre più con orrore la prospettiva di un pantano siriano, soprattutto dopo le recenti dichiarazioni dell’inviato speciale americano per la Siria, James Jeffrey, il quale ha ammesso che l’obiettivo numero uno di Washington è precisamente quello di mettere la Russia in una situazione senza via d’uscita.

Al di là della possibile insoddisfazione di Putin nei confronti di Assad, è opinione diffusa tra gli osservatori che il Cremlino non abbia alcuna intenzione di scaricare il presidente siriano. L’analista russo Anton Mardasov ha scritto questa settimana sul sito di Al Jazeera che, quanto meno, “Mosca non ha alternative ad Assad e non vuole perciò esporre il regime a destabilizzazioni”. Quello in corso potrebbe essere così uno sforzo per ridare una certa legittimazione internazionale ad Assad, spingendo ad esempio il presidente siriano a implementare “qualche riforma costituzionale” o altre iniziative che “diano almeno l’apparenza di una vera competizione nelle elezioni” presidenziali del 2021.

Sempre secondo Mardasov, dietro alle prese di posizione non ufficiali russe potrebbero esserci varie ragioni. Una di esse sarebbe semplicemente il malcontento nei confronti di Assad di determinati ambienti di potere a Mosca. Oppure, gli interessi del business privato russo si starebbero posizionando per raccogliere i frutti dell’intervento militare a sostegno di Damasco, con un occhio alla competizione con i paesi del Golfo Persico e con l’Iran nella corsa alla ricostruzione del paese devastato da quasi un decennio di guerra.

Al centro delle ansie di Putin sembra esserci sempre la necessità di promuovere una volta per tutte un qualche processo diplomatico che metta fine al conflitto armato. Proprio questo obiettivo è alla base di alcune iniziative spesso considerate del tutto divergenti dalle posizioni siriane. Ben noti sono i vari round di colloqui tra Mosca e gruppi di opposizione anti-Assad senza la presenza di rappresentanti del regime, così come le trattative con gli Stati Uniti o le intese più o meno ufficiali con Turchia e Israele, i cui governi continuano a calpestare deliberatamente la sovranità della Siria e ad alimentare il conflitto.

Più che a divergenze o a una disposizione ostile verso Assad, la ragione del comportamento del Cremlino è da collegare alla conduzione di una politica estera che risponda in primo luogo agli interessi russi. Per Putin, l’appoggio a Damasco è da considerarsi in un quadro più ampio che vede la Russia allargare la propria influenza in Medio Oriente, inevitabilmente grazie al proprio potenziale militare ma proponendosi come forza di pace.

In questa prospettiva si spiega il dialogo mai venuto meno con Turchia e Israele, ma anche il netto miglioramento dei rapporti con l’Arabia Saudita, e, di conseguenza, le concessioni o presunte tali fatte a questi paesi, spesso comprensibilmente viste con una certa inquietudine da Siria e Iran. Un ruolo da grande potenza nella regione non può d’altronde prescindere da relazioni cordiali con tutti gli attori principali, in particolare se le aspirazioni sono quelle di contrapporsi agli Stati Uniti, che fanno notoriamente delle divisioni e dell’aggressione contro i propri rivali la cifra della loro condotta.

In definitiva, per Mosca il dilemma siriano resta in buona parte irrisolto e il conflitto, in assenza di una soluzione diplomatica, continua a fare intravedere minacce ai propri interessi e obiettivi strategici. Ciononostante, la collaborazione con Assad non appare per il momento in discussione, visto l’investimento di capitale politico fatto in questi anni sulla Siria e, se non altro, l’assenza di alternative percorribili.

La fine della crisi è però un obiettivo sempre più pressante per il Cremlino, alla luce anche del complicarsi della situazione economica sul fronte domestico a causa dell’esplosione dell’epidemia di Coronavirus. Il protrarsi dello stallo potrebbe spingere sempre più la Russia nella trappola americana e, di riflesso, incrinare o mettere almeno a dura prova la partnership oggi imprescindibile con il regime di Assad.

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