Nella prima metà del 2021 potrebbe molto probabilmente tenersi in Israele la quarta elezione anticipata di questi ultimi due anni, segnati da una profondissima crisi politica a cui si è aggiunta l’ondata del Coronavirus che ha fatto precipitare l’economia dello stato ebraico. Il Parlamento israeliano (“Knesset”) ha approvato infatti mercoledì in prima lettura una proposta dell’opposizione che, se confermata dopo un lungo iter istituzionale, porterà direttamente al voto, affondando così un fragilissimo governo di coalizione nato appena sei mesi fa.

Le vicissitudini politiche di questi giorni sono innanzitutto il riflesso delle difficoltà in cui si dibatte da tempo il primo ministro, Benjamin Netanyahu, costretto a destreggiarsi disperatamente tra procedimenti legali incombenti e una gestione disastrosa sia della pandemia sia, in generale, degli affari interni di Israele, a causa non da ultimo di una concezione personalistica e corrotta del potere. A ciò vanno poi aggiunti gli echi di un quadro regionale esplosivo e potenzialmente ancora più cupo in concomitanza con il passaggio di consegne alla presidenza degli Stati Uniti.

Il più recente atto del dramma politico di Israele è iniziato martedì, quando il ministro della Difesa, Benny Gantz, aveva annunciato che il suo partito “Blu e Bianco” avrebbe appoggiato la mozione presentata da uno dei leader dell’opposizione, Yair Lapid, per sciogliere anticipatamente la “Knesset”. Il giorno successivo la minaccia diretta contro Netanyahu si è concretizzata, con la risoluzione che è passata grazie a 61 voti a favore e 54 contrari. Prima di raggiungere il proprio obiettivo, la proposta dovrà comunque ottenere altre tre approvazioni in aula e due in un’apposita commissione parlamentare.

Per avere la certezza di un nuovo voto anticipato si dovrà attendere dunque almeno qualche settimana. La fine automatica della legislatura potrebbe tuttavia arrivare anche in caso di mancata approvazione del bilancio dello stato entro il 23 dicembre prossimo. Attorno a questa scadenza e alle manovre politiche in atto si sta consumando la battaglia interna alla coalizione di governo, sottoscritta lo scorso maggio con un clamoroso accordo tra i due principali rivali delle tre ultime elezioni conclusesi con altrettante situazioni di stallo.

I calcoli dei leader politici israeliani non sono sempre di facilissima lettura. Opinione comune sembra essere che Netanyahu ha tutto l’interesse a interrompere anticipatamente l’esperimento di governo con Gantz. L’intesa sottoscritta sei mesi fa prevede che quest’ultimo debba assumere l’incarico di primo ministro nel novembre del 2021. Fin da subito era apparso però chiaro che Netanyahu avrebbe in qualche modo evitato di rispettare l’impegno, così da conservare il proprio incarico, probabilmente passando ancora una volta dalle urne, in primo luogo per eludere eventuali condanne derivanti dai processi per corruzione e abuso di potere che lo vedono alla sbarra.

Il primo ministro ha comunque attaccato duramente Gantz nel dibattito che ha preceduto il voto in aula di mercoledì, dipingendo l’ex generale come irresponsabile perché pronto a precipitare il paese nell’ennesima crisi in piena emergenza sanitaria ed economica. I toni accesi di Netanyahu sembrano già far parte di una strategia elettorale, visto che un eventuale voto anticipato senza la responsabilità di averlo provocato è senza dubbio un regalo fatto da uno dei suoi principali rivali politici.

Ciò non toglie che i tempi delle elezioni potrebbero anche non essere graditi al premier. Netanyahu e il Likud sono bersaglio di proteste di piazza da settimane e la pessima performance nel contenimento dell’epidemia sta pesando non poco sui loro indici di gradimento. L’opzione preferita da Netanyahu potrebbe essere perciò quella di ritardare il voto fino all’estate, quando il virus sarà forse sotto controllo e l’economia stabilizzata. Netanyahu sta d’altra parte perdendo consensi a destra, a tutto beneficio dell’ex alleato Naftali Bennett e del suo partito Yamina, dato dai sondaggi non lontano dal Likud.

D’altro canto, la sfida proveniente dal centro-sinistra, che nelle ultime tre elezioni aveva rappresentato la minaccia più seria alla sua posizione in un decennio, è stata in pratica neutralizzata. Gantz aveva decretato egli stesso la propria fine politica già con la firma sull’accordo di governo. Questa mossa aveva spaccato il suo partito, da cui erano usciti coloro che ritenevano il ripensamento sulla promessa elettorale di non partecipare in nessun caso a un governo guidato da Netanyahu come un inevitabile suicidio politico.

La scommessa di Gantz si basava sulla speranza di proiettare un’immagine di responsabilità in un momento drammatico per Israele. Le speranze di trovare in Netanyahu un partner altrettanto responsabile, se non addirittura manipolabile per i propri obiettivi, si sono però rivelate quasi subito illusorie. Alla fine, le pressioni su Gantz sono arrivate al punto di rottura, tanto da spingerlo a muovere il primo passo per far cadere il governo. Così facendo, Gantz ha dato probabilmente la conferma definitiva del suo fallimento.

La questione principale, anche se non unica, al centro della polemica che potrebbe far saltare la complicata alleanza tra Gantz e Netanyahu è l’approvazione del bilancio di Israele. Il primo vuole che vengano ratificati gli stanziamenti relativi sia all’anno 2020, ancora non approvati, sia al 2021. Netanyahu, al contrario, è disposto a licenziare solo un pacchetto a breve scadenza, lasciando a un secondo momento quello relativo al prossimo anno.

La ragione di ciò dipende ancora dalle strategie di sopravvivenza politica del premier, che intende tenersi la carta del bilancio per boicottare l’avvicendamento con Gantz alla guida del governo. Se il “budget” del 2021 non sarà approvato entro il mese di marzo, gli accordi di coalizione prevedono infatti anche in questo caso l’automatico scioglimento del Parlamento.

La misura della volontà di Netanyahu di mettere fine all’esperimento di governo con Gantz e, parallelamente, il possibile bluff di quest’ultimo nell’appoggiare la mozione sul voto anticipato saranno più chiari nei prossimi giorni. Qualche commentatore ritiene appunto che la crisi possa rientrare o essere rinviata. Lo stesso Gantz ha lasciato aperta la porta dell’intesa con il primo ministro, sempre nel caso venga trovata una convergenza sul bilancio. Le carte sono ad ogni modo nelle mani di Netanyahu e i prossimi scenari dipenderanno ancora una volta dai suoi calcoli politici.

Nel quadro generale che emerge della politica israeliana, Netanyahu sembra essere sempre più impopolare, anche se paradossalmente continuano a non esserci personalità alternative in grado di prenderne il posto. Alcuni dei più recenti sondaggi danno il Likud in calo ma, grazie all’implosione del partito di Benny Gantz, resterebbe sempre la prima forza della prossima “Knesset”. Da valutare saranno gli orientamenti dell’altro partito della destra israeliana – Yamina – la cui crescita lo renderà probabilmente indispensabile a qualsiasi coalizione di governo.

I rapporti del suo leader, Bennett, con Netanyahu si sono deteriorati, ma è improbabile che Yamina possa finire in un alleanza post-elettorale alternativa al Likud e ai partiti ultra-ortodossi che, per riuscire a governare, dovrebbe includere non solo i centristi di Lapid (“Yesh Atid”) e quel che resta del movimento di Gantz, ma anche la sinistra di Meretz e forse addirittura la lista “unitaria” dei partiti arabi.

Molto più realisticamente, un eventuale ennesimo voto anticipato produrrà una nuova maggioranza sempre ben ancorata a destra, dove la vera incognita potrebbero essere i rapporti di forza e le recenti tensioni tra Bennett e Netanyahu. L’attitudine del più longevo primo ministro della storia israeliana è d’altronde notoriamente pragmatica, soprattutto se in gioco ci sono la sopravvivenza politica e, ancor più, la propria libertà personale.

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