La nuova misurazione congiunta del monte Everest da parte di Cina e Nepal questa settimana ha fatto aumentare ufficialmente di quasi un metro l’altezza del tetto del mondo e ha offerto nel contempo un’altra testimonianza del consolidamento delle relazioni tra i due paesi divisi dalla catena himalayana. Il Nepal è tradizionalmente considerato una sorta di “giardino di casa” dell’India e i progressi fatti tra Pechino e Kathmandu negli ultimi anni sul fronte diplomatico, economico e militare rappresentano perciò un serio campanello d’allarme per Nuova Delhi. Visto l’evolversi delle rivalità nel continente asiatico, inoltre, il riassetto strategico del Nepal ha implicazioni non indifferenti anche per i piani di contenimento americani della Cina, nei quali l’India e, di riflesso, i suoi alleati storici dovrebbero giocare un ruolo determinante.

 

Il valore simbolico della collaborazione sino-nepalese nel determinare l’altezza esatta dell’Everest non deve essere sfuggito ai rivali di Pechino. In primo luogo, tutte le precedenti operazioni di questo genere sulle montagne nepalesi erano state condotte dai tecnici di Kathmandu in collaborazione con quelli indiani, non avendo questo piccolo paese alcuno sbocco sul mare, ovviamente necessario per le rilevazioni con strumenti satellitari. L’India, poi, aveva proposto una nuova misurazione della montagna più alta del pianeta nel 2017, ma il Nepal aveva declinato, salvo poi accettare l’offerta cinese.

Il progetto congiunto era stato lanciato ufficialmente durante una visita in Nepal nell’ottobre dell’anno scorso del presidente cinese, Xi Jinping. In quell’occasione, i due paesi avevano deciso di portare le relazioni bilaterali al livello di “partnership strategica” e lo stesso Xi si era spinto a promettere al suo omologo nepalese, Bidya Devi Bhandari, una più stretta collaborazione anche in ambito militare.

La crescente competizione tra Cina e India per il Nepal era apparsa evidente anche un paio di settimane fa con la visita a Kathmandu del ministro della Difesa di Pechino, Wei Fenghe. Quest’ultimo è anche membro del Consiglio di Stato, cioè il più importante organo decisionale cinese, ed è stato solo il secondo ministro della Difesa del suo paese a recarsi in Nepal negli ultimi due decenni. La visita di Wei aveva seguito di appena due giorni quella del ministro degli Esteri, indiano, Harsha Vardhan Shringla. A inizio novembre, in Nepal si era recato anche il comandante dell’Esercito indiano, generale Manoj Mukund Naravane, e poco più tardi il numero uno dell’intelligence estera, Samant Kumar Goel.

Il clou della visita del ministro della Difesa cinese è stato l’incontro con il primo ministro nepalese, KP Sharma Oli, del Partito Comunista del Nepal (NCP). La cooperazione militare è stata un elemento centrale del faccia a faccia, ma più in generale il rappresentante del governo di Pechino ha sollecitato il rilancio di una serie di progetti di collaborazione rallentati o sospesi recentemente a causa dell’epidemia di Coronavirus: dalle forniture militari all’addestramento delle forze armate, fino all’accoglienza di studenti nepalesi nelle università cinesi.

Secondo fonti interne al partito di governo del Nepal, citate dal quotidiano Kathmandu Post, la ragione principale della visita di Wei sarebbe però la volontà di comunicare alla leadership del paese himalayano la disapprovazione di Pechino per la passività mostrata nella promozione dei piani infrastrutturali cinesi riconducibili alla Nuova Via della Seta o “Belt and Road Initiative” (BRI). Il Nepal aveva sottoscritto questo progetto nel 2017 ma da allora i due paesi non sono stati in grado di identificare un singolo progetto a cui destinare i finanziamenti cinesi.

La BRI resterà comunque lo strumento primario della penetrazione cinese in Nepal, andando a sommarsi alle altre iniziative degli ultimi anni che hanno eroso l’influenza dell’India. Delhi è ancora il principale partner commerciale di Kathmandu, ma Pechino ha ad esempio già sottoscritto con il Nepal un accordo per l’accesso di questo paese ai porti cinesi per il transito delle proprie importazioni ed esportazioni, riducendo la dipendenza dall’India. La Cina ha inoltre rotto il monopolio indiano sui servizi internet nepalesi, ottenendo l’accesso nel paese anche in questo ambito.

Oltre alle prospettive di crescita e di diversificazione strategica offerte dalla Cina, il relativo raffreddamento del Nepal nei confronti dell’India è dovuto anche ad alcune circostanze che nel recente passato hanno fatto salire le tensioni tra i due storici alleati. Nel 2015, Delhi impose per cinque mesi un vero e proprio embargo economico contro il vicino settentrionale a causa di uno scontro sulle rivendicazioni autonomiste di una minoranza etnica nepalese appoggiata dall’India. Questo episodio favorì enormemente la Cina che sfruttò la situazione siglando un accordo col Nepal per garantire la continuità delle forniture energetiche al proprio vicino.

Occasionalmente, Delhi e Kathmandu vedono poi riesplodere alcune dispute territoriali, com’era accaduto nel novembre dello scorso anno, quando Delhi pubblicò una mappa della regione che indicava un’area nel nord-ovest del Nepal come territorio indiano. A queste contese si è quasi certamente riferito il ministro della Difesa cinese nel corso della sua recente visita, durante la quale ha sottolineato che il suo paese intende garantire la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del Nepal, sia pure senza nominare esplicitamente l’India.

Per la Cina, l’importanza del Nepal è sensibilmente aumentata in parallelo al consolidarsi della partnership tra Stati Uniti e India. Proprio nelle scorse settimane, questi due paesi hanno ratificato alcuni accordi che prevedono una maggiore cooperazione militare. Delhi è entrata inoltre di fatto nel cosiddetto Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza (QUAD), l’organismo promosso da Washington in funzione anti-cinese che intende integrare le forze armate americane con quelle dei principali alleati nella regione e di cui fa parte anche Australia e Giappone.

La posizione del Nepal circa queste dinamiche che vedono protagonista l’India è dunque cruciale per Pechino, da dove si percepisce anche una certa preoccupazione per le tensioni politiche registrate a Kathmandu. Il Partito Comunista del Nepal (NCP) è attraversato infatti dalla rivalità tra la fazione che fa capo al primo ministro Oli e all’altro leader, Pushpa Kamal Dahal. Quest’ultimo vorrebbe, tra l’altro, che Oli abbandonasse una delle due cariche che detiene, quella di capo del governo o di co-leader del partito.

Secondo il Kathmandu Post, la scontro interno al NCP “di tanto in tanto supera i livelli di guardia” e in questi casi l’ambasciatore cinese in Nepal, Hou Yanqui, agisce da mediatore tra le due parti per riportare “stabilità politica” nel partito e nel paese. Gli scrupoli e l’influenza cinese sono determinati in primo luogo dall’affinità ideologica tra i partiti che governano i due paesi. Anche per questa ragione, la Cina teme che l’esplosione del conflitto nel Partito Comunista del Nepal possa provocare la caduta del governo di Kathmandu.

Oli si era installato alla guida dell’esecutivo nepalese nel maggio del 2018 con la volontà di diversificare la politica estera del suo paese, in pratica da sempre vincolata all’India. Ciò che preoccupa Pechino è perciò l’ipotesi di un’inversione di rotta in questo senso se Oli dovesse lasciare il posto al suo rivale interno, Dahal, o ancor più a un nuovo governo presieduto dal principale partito dell’opposizione, quello del Congresso.

In attesa del concretizzarsi della partnership sino-nepalese in qualche settore strategico, la collaborazione tra Pechino e Kathmandu ha ottenuto intanto il risultato di rivedere l’altezza dell’Everest. La misurazione effettuata dai due paesi sembrerebbe avere messo fine a una lunga controversia, alimentata anche dal devastante terremoto del 2015 che, come avevano spiegato i geologi, poteva aver determinato un riassestamento delle montagne nelle aree colpite. Secondo quanto rilevato da Cina e Nepal, l’Everest avrebbe dunque un’altezza di 8.848,86 metri, cioè 86 centimetri in più del dato considerato valido negli ultimi 65 anni. Se i terremoti provocano in genere un abbassamento delle montagne, ad alzare l’Everest dovrebbe essere stato il costante scivolamento della placca indiana al di sotto di quella eurasiatica.

La montagna più alta del pianeta è uno dei simboli che unisce Pechino e Kathmandu, essendo le pareti settentrionale e orientale nel territorio cinese e la parete sud-occidentale, di gran lunga più frequentata dagli alpinisti, in quello nepalese. La prima misurazione venne effettuata dai geografi britannici nel 1849 e da allora l’altezza dell’Everest è stata al centro anche di accese polemiche e oggetto di numerose misurazioni. I primi uomini a mettere piede sulla cima della montagna furono invece il neozelandese Edmund Hillary e l’indiano-nepalese Tenzing Norgay Sherpa il 29 maggio del 1953.

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