di Elena Ferrara

L’appuntamento per i palestinesi e per quanti si battono per la causa della Palestina è fissato per il 30 marzo. Sarà questa l’occasione per rievocare quei tragici avvenimenti del 1976 quando gli arabi-palestinesi rimasti in Palestina dopo l’occupazione israeliana del 1948 - e la conseguente espulsione della maggior parte del popolo - scesero in piazza per difendere il diritto alla loro terra. Ventotto anni di occupazione erano stati, infatti, segnati da leggi repressive, coprifuoco, divieto di spostamento, terrorismo, immiserimento, confisca delle terre, distruzione dei villaggi, divieto di espressione e di organizzazione. Tentativi tutti di cancellare ogni identità fisica, storica, culturale dalla terra palestinese. La storia ricorda che gli arabi-palestinesi affrontarono, quel giorno, a mani nude, i carri armati. Risultato: sette caduti, tra cui una donna, decine e decine di feriti, centinaia di arresti. Si apriva, così, una pagina nuova nella lotta palestinese che vedeva una coesione popolare sempre più stretta. Ed è appunto da quel marzo 1976 che la lotta palestinese è lotta per il mantenimento della terra. Giornata del ricordo, quindi, che verrà celebrata in tutto il mondo. I palestinesi ricorderanno le tragiche tappe della loro esistenza. Rievocheranno i massacri di Hanin (16 ottobre 1976, con l’assedio e il bombardamento da parte di Israele), di Bint Jibayl (21 Ottobre 1976 quando contro un mercato si scatenò un bombardamento israeliano), di Khiam (nel marzo 1978 un bombardamento che causò oltre cento morti), di Ausay (15 marzo 1978 con un bombardamento che causò morte e distruzione), di Abbasyyah (15 marzo 1978 quando fu distrutta la moschea provocando una strage)…

E sempre i palestinesi e il mondo civile ricorderanno il massacro di Sabra e Chatila quando duemila abitanti palestinesi e libanesi di quel campo, alla periferia di Beirut, vennero uccisi dal 16 al 18 settembre del 1982 da miliziani delle forze filo-israeliane, sotto la supervisione e con il sostegno logistico dell'esercito di Tel Aviv che aveva occupato da poche ore Beirut ovest.
Tra le manifestazioni per la “Giornata della terra” si annuncia quella che si svolgerà a Milano il 2 aprile nel teatro Verdi. La serata si caratterizzerà con la rappresentazione teatrale intitolata “Il Pessottimista” tratta dall’omonima opera di Emil Habibi (scrittore arabo d'Israele nato nel 1922 e scomparso nel 1996) con la partecipazione del regista ed interprete Mohammad Bakri. Un israelo-palestinese che deve la sua fama internazionale non solo alle sue interpretazioni cinematografiche, ma soprattutto per i film-documento, come Jenin-Jenin e per le varie opere teatrali con cui, da anni, denuncia con grande passione civile, le condizioni di vita della minoranza palestinese all'interno dello Stato di Israele.

Bakri, da sempre impegnato nella ricerca del dialogo tra il popolo palestinese e quello israeliano, porterà a Milano la sua testimonianza. Rievocherà così le pagine salienti della sua biografia: la partecipazione a film di autori israeliani e palestinesi e i documentari dedicati alla memoria della Nakba, la Catastrofe, che colpì il popolo palestinese all’indomani della proclamazione dello Stato israeliano. Si annuncia ancora una volta una giornata della memoria: per la Terra e in difesa della Terra.

Intanto si presenta all’orizzonte un altro problema. Ma questa volta è tutto interno ad Israele. Perché qui si scopre che nei libri di testo per le scuole elementari la storia del conflitto con i palestinesi viene “narrata” in modo del tutto singolare. Anche con falsità. E così, stando ad una indagine del Centro per il Monitoraggio dell'Impatto della Pace, tutti i libri di testo danno per assiomatica la legittimità di Israele come stato ebraico indipendente e il diritto degli ebrei di immigrare nel paese. Tutti i testi sottolineano che furono gli arabi a rifiutare la risoluzione dell' Onu del 1947 sulla spartizione della Palestina in due stati, arabo ed ebraico. Dai libri (esaminati secondo criteri stabiliti dall' UNESCO) risultano quindi moltissime forzature storiche. E ricostruzioni interessate si trovano anche nelle carte geografiche presenti nelle scuole soprattutto in quelle ultraortodosse. Qui il solo confine tra Israele e la Giordania è quello disegnato sul fiume Giordano, inglobando così la Cisgiordania che appare con i nomi biblici di Giudea e Samaria.

Si possono rilevare, comunque, anche atteggiamenti positivi in senso progressista. Perché in molti istituti - soprattutto nelle scuole statali e religiose-statali (l' 85% degli studenti) – i palestinesi sono ora riconosciuti e accettati come popolo e non sono presentati con stereotipi negativi. Traspare uno sforzo per ammonire contro generalizzazioni negative degli arabi. Il linguaggio è fattuale e privo di termini offensivi e le controversie politiche sono rappresentate in modo obiettivo e corretto, dando spazio anche a storici controversi in Israele: i cosiddetti nuovi storici revisionisti che, contrariamente alla storiografia ufficiale, affermano ad esempio che i profughi palestinesi del 1948 non abbandonarono il paese di loro volontà ma perchè espulsi o cacciati. E non è nemmeno ignorato il punto di vista arabo.

Restano, comunque, - a livello di scuole e di istruzione - tutta una serie di questioni controverse. Secondo il prof. Daniel Bar-Tal, dell' università di Tel Aviv, ''i primi testi tendevano a descrivere gli arabi come nemici, crudeli, immorali, ingiusti, con l'intento di colpire gli ebrei e distruggere lo stato di Israele'', mentre gli ebrei venivano illustrati come ''laboriosi, coraggiosi decisi a far fronte alle difficoltà e a migliorare il paese''. In ultima analisi però, osservano i ricercatori, l'impatto più decisivo sulle posizioni delle persone lo ha, sugli israeliani come sui palestinesi, la scuola della vita: il contatto sofferto e spesso traumatico tra due popolazioni in lotta tra di loro.

Ma risulta sempre più chiaro, nella realtà palestinese e ed israeliana che le conoscenze e le esperienze segnano profondamente la società. Importante è che il dialogo resti aperto e che non si passi – come molti vorrebbero (a Tel Aviv, in particolare) - al gelo.

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