di Elena G. Polidori

E’ la risposta che si attendeva, quel grido che mancava e che il popolo della sinistra, disorientato dalla nascita di un Partito Democratico con forti ascendenze neocentriste, agognava di ascoltare per non costringersi a credere di essere condannato al vuoto politico e all’assenza di una rappresentanza. L’ha lanciato Fabio Mussi dal palco della quarta assemblea nazionale di “Uniti a sinistra”. Ed è stato un grido netto, senza tentennamenti, senza mezze parole e sbavature che potessero dare l’idea dell’esistenza di qualsivoglia incertezza. “Adesso tutti fuori dalle trincee – ha dichiarato – perché bisogna mettersi in marcia sapendo che il tempo non è infinito e ora mi piacerebbe che ci fosse una fase di big ben”. La fase uno per la nascita di un nuovo partito politico, al quale “ci si può avvicinare – ha spiegato ancora Mussi – con passi diversi, ma se camminiamo con in testa un’idea di sinistra, di una sinistra larga e di governo e se si ha in testa questa idea ci sono le condizioni per fare quello che finora è stato difficile perfino immaginare. Dobbiamo provarci e se ci proviamo seriamente chissà che questa volta non ce la facciamo”. La riunificazione della sinistra, oggi, è dunque meno lontana. Anzi, più vicina. Ma esiste una condizione di fondo perché questo progetto si possa realizzare ed è forse la condizione più difficile da mettere in atto per l’attuale classe dirigente dei partiti di sinistra i cui personalismi sono spesso più evidenti delle idee politiche. Ed è la necessità di spogliarsi da ogni simbolo e da ogni orpello pregresso lavorando “tutti alla pari – ha scandito Mussi – perché non ci sono primazie”. E i tempi dovranno essere rapidi. La nascita di una nuova entità politica in questa stessa legislatura potrebbe evitare che il governo scivoli troppo verso il centro.

E’ un timore non solo di Mussi, questo. Perché tutti hanno ascoltato con grande attenzione l’intervento di Marini al congresso di Firenze. Soprattutto quando il Presidente del Senato se n’è uscito dicendo che “nella prossima legislatura il Pd dovrà avere le mani libere”, frase che a tutti è suonata come una volontà forte di marginalizzare la sinistra accordandosi casomai con l’Udc. E anche se questo, a parere di Mussi, “non basterebbe per governare”, non si può certo stare a guardare l’apertura di una stagione neocentrista senza battere ciglio, nuotando nell’inerzia dei luoghi comuni e delle diverse spigolature della visione della realtà.

La condizione necessaria è dunque quella di “smontare la macchinetta ideologia delle due sinistre”, quella riformista e quella radicale, guardando al futuro con l'ottica del socialismo che mette al centro dei suoi programmi dei suoi valori, il lavoro, le libertà, i diritti, la pace, lo sviluppo sostenibile.

Ci vuole il coraggio di andare “oltre”, evitando come la peste il rischio di un radicalismo troppo accentuato che blocchi sul nascere il progetto di riaggregazione. La “nuova” sinistra italiana dovrà essere ampia, plurale, consentire a tutte quelle anime che oggi non trovano collocazione e si sentono nauseate dall’inadeguatezza politica di molti leader della cosiddetta frangia massimalista, di ritrovare “casa” nel nuovo soggetto nascente; nessun “tornare indietro” ad un passato superato, dunque, ma guardare avanti ad un “futuro possibile”.

“Il nostro obiettivo – ha concluso Mussi - deve essere un partito politico, il cammino è lungo, si può fare insieme se ci mettiamo d'accordo su una cosa: dobbiamo fare una forza della sinistra critica, larga, plurale, ma di governo. Siamo disponibili, alla pari, senza rivendicare primazie ma tenendo conto che il tempo non è molto. Dobbiamo provarci”.

Ed è un “provarci” che, comunque, necessita di segnali immediati. E il primo potrebbe essere quello di un coordinamento parlamentare dei gruppi a sinistra del Pd. Magari con un portavoce unico, poi un'assemblea dei 150 parlamentari per avviare un percorso costituente che porti a un soggetto unitario. Passi che, per Maura Cossutta, sono già segnati, a cominciare da un’assemblea costituente “da fare subito, ora, prima dell’estate”.

Perché i tempi delle liste, per dirla invece con il presidente dei senatori di Prc, Giovanni Russo Spena, “possono essere anche più lunghi, possiamo essere pronti anche per le europee, ma i percorsi devono cominciare da subito”. Prima di tutto, allora, il coordinamento, il segnale necessario al popolo della sinistra che si sta cambiando rotta.

“La politica – ha infatti osservato Pietro Folena - sembra essere tornata a prima del fascismo, al notabilato. Ecco perché pensiamo a delle case della sinistra, sul modello delle case del popolo o delle banche popolari contro una politica che in questi anni si e' sempre più ritirata nelle case matte istituzionali. Non luoghi di partito, ma luoghi della gente, comuni”.

L'obiettivo immediato è dunque un progetto che parta dal coordinamento parlamentare tra rappresentanti dell'ex sinistra, Prc, Verdi, Pdci, e - eventualmente - i socialisti. E la prossima settimana nascerà il Movimento della Sinistra democratica per il socialismo europeo, costituito dagli esponenti della Sinistra Ds (Mussi, Salvi, Spini, Bandoli), con Gavino Angius. Passo d'avvio di sinistra democratica la costituzione di gruppi autonomi in Parlamento, finendo con il diventare il terzo gruppo - per consistenza numerica - del centrosinistra.

Un progetto ambizioso, quindi, che conta di raggiungere, nell’ordine dei prossimi due, tre anni, il volume di fuoco del 13%: la seconda gamba dell’Unione, per dirla con Armando Cossutta, di sicuro una sinistra forte che ora non c’è. E che, tuttavia, già trova nel segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, rigidità e paletti che non promettono nulla di buono sul percorso della prossima aggregazione dei dilibertini all’unità della sinistra.

Pur rivendicando (non si sa a quale titolo, a dire il vero), dal palco del congresso di Rimini, addirittura la primogenitura di questo nuovo percorso politico unitario, il segretario dei Comunisti Italiani ha detto chiaramente che non rinuncerà mai alle insegne polverose del passato, per quanto glorioso, né – tantomeno – al nome “comunisti” sventolato a Rimini come un panda da difendere dall’estinzione e dunque da riproporre contro tutto e tutti. Anche contro le buone idee.

“Mi terrò e ci terremo - ha scandito rispondendo ad Armando Cossutta che aveva chiesto di rinunciare a simbolo e nome per favorire la più ampia adesione alla nuova sinistra in costruzione - oggi, domani, dopodomani e per sempre, il nome comunisti, la falce e il martello, la bandiera d'Italia”.

Proprio ciò di cui non si sente la necessità, proprio il contrario di quanto si è augurato Mussi per rendere rapido il processo di aggregazione di tutte le forze in campo. Non si capisce dunque dove sarebbe la primogenitura, visto che il Pdci scambia l’unità della sinistra con quella dei comunisti e ad una sinistra ampia e plurale rispondono con una proposta di unità di apparati, sempre quelli, solo quelli. Mentre tutti chiedono la contaminazione, da Rimini arrivano segnali di (presunta, molto presunta) purezza.

Fa forse capolino l’idea di assicurarsi comunque la tenuta di un brand elettorale, con il quale – salvo leggi elettorali diverse dalla “porcata” - provare a garantirsi la sopravvivenza, comunque vada. “In questa fase navighiamo a vista – ha concluso Diliberto - ci vuole coraggio, compagni!”. Soprattutto per tentare di trasformare in una vittoria politica quella che è stata solo una occasione mancata.

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