di Maura Cossutta

Per la sinistra la sconfitta elettorale è stata devastante, ben al di là di ogni previsione, la più pessimistica o la più lucida che fosse. Un vero e proprio tsunami, che stravolge la faccia delle istituzioni e del Paese. Per la prima volta nella storia la sinistra è fuori dal Parlamento, neanche un parlamentare, sparita, dissolta. Perde milioni di voti ovunque, al Nord e al Sud, nelle grandi città e nei piccoli comuni, non raggiungendo il quorum neppure nelle zone considerate “sicure”, neppure dove il radicamento era consolidato o dove il cosiddetto voto di opinione aveva sempre tenuto. E crolla addirittura negli insediamenti operai delle grandi fabbriche. Una sconfitta epocale, storica. Ma l’onda lunga dello tsunami non si ferma: ora dilaga nei partiti che sono stati sconfitti, dissolvendo quello che era rimasto. La “Sinistra Arcobaleno” è già morta, nonostante gli appelli dei volonterosi dell’Assemblea fiorentina “per la sinistra unita e plurale”. Hanno aperto le danze i Comunisti italiani, facendo uscire subito sul loro giornale, il giorno dopo le elezioni, l’articolo in perfetto dolce stil novo titolato “By By Bertinotti”. Il PdCI, ormai decisamente orientato verso il modello nordcoreano di partito, sembra rivolgere alla sola Rifondazione la responsabilità della sconfitta, che invece lo riguarda, eccome se lo riguarda. Diliberto, senza neppure porsi il problema di presentarsi dimissionario - ma non aveva voluto anche lui l'operazione Arcobaleno? Non é anche lui il segretario degli sconfitti? - ma sfoderando granitiche certezze, ha già abbandonato in gran fretta gli alleati, per tornare alla falce e martello: comuniste e comunisti unitevi, il XXI secolo sarà nostro.

La sinistra di Mussi ancora non parla, discuterà nei prossimi giorni, ma intanto la processione verso il Partito Democratico è già iniziata. I Verdi, si stanno dividendo, ma senza accendere i riflettori (per non disperdere energia). E Rifondazione ha concluso ieri un drammatico Comitato politico nazionale, in cui il segretario Giordano (lui, sì, dimissionario) si è visto scippare la maggioranza dall’ex ministro Ferrero, in attesa del congresso di luglio. Ma lì, almeno, la riflessione ha cominciato a mostrarsi.

Perché di questo c’è innanzitutto bisogno: discutere, analizzare i fatti, quello che è successo, senza alibi, scuse, scorciatoie. Il voto utile al PD (o a Di Pietro, per chi non ce la faceva) è vero, c’è stato, e anche in una quota rilevante, perché tanta gente di sinistra non voleva consegnare il nostro paese alle destre più arroganti e disinvolte. Ma è solo questa la ragione della sconfitta? L’astensionismo c’è stato, è indubbio, ma che significato gli viene assegnato? E poi il travaso alla Lega, proprio mentre è stata la Lega a rappresentare, senza alcuna sfumatura ma anzi con una sempre più gridata ferocia, l’emergenza sicurezza, la tolleranza zero contro gli immigrati: cosa vuol dire per la sinistra?

Semplificare tutto - come al solito - con una traduzione politichese, non solo non serve, ma soprattutto non lascia speranza per il futuro. Oggi affossare la “sinistra Arcobaleno” è la risposta? Tutto qui? Esperienza fallimentare, si torna alle offerte precedenti? Intendiamoci, che la “Sinistra Arcobaleno” sia stata un’operazione elettoralistica e in quanto tale percepita, non ci sono molti dubbi: alleanza di apparati inamovibili, leaders inesistenti, senza pathos, convinzione, senza sostanza. Insieme, ma in realtà ognuno per sé, fiducioso soltanto che le percentuali elettorali potessero far superare le minacce di sbarramenti, per garantirsi “i suoi”. Non ha convinto, perché addirittura chi la proponeva non ci credeva, perché l’unità e la forza non nasce al tavolo della trattativa delle candidature, ma viene dalla capacità di superare davvero le appartenenze di partenza per cercare risposte per il mondo presente. Ha perso perché i gruppi dirigenti non rappresentano più la sinistra di questo paese e perché la gente di sinistra non vuole più farsi rappresentare da loro.

Ma il problema non è bocciare più o meno l’idea della “Sinistra Arcobaleno”. E’ cercare di capire perché è successo il tracollo, la dissoluzione. Rifondazione o il Pdci da soli avrebbero invece resistito? Tutto dipende dall’offerta politica sbagliata? La sconfitta ha ragioni politiche ma anche sociali, culturali profondissime, che non sono state neanche percepite, oltre che capite. Guardare finalmente in faccia la realtà del nostro Paese, le trasformazioni avvenute, non solo fenomenologiche ma anche e soprattutto strutturali: manca - e da tempo - una riflessione anche teorica che affidi alla sinistra un ruolo in questa fase di globalizzazione.

Se è vero che la delusione e la rabbia dei ceti sociali di riferimento della sinistra derivano in gran parte dal governo Prodi (che ancora oggi insiste a fare il tecnocrate, rivendicando come l’obiettivo più importante raggiunto quello del risanamento dei conti), è altrettanto vero che la rappresentanza sociale è sfuggita di mano da tempo alla sinistra. E non solo perché non è radicata nei territori (e conta assai), ma anche perché il soggetto storico del Novecento non è più così. Si assiste a una divaricazione, quasi a una scissione tra l’appartenenza sociale e l’appartenenza identitaria, esistenziale. Le identità e quindi la coscienza politica, che erano radicate nei nessi delle relazioni sociali, oggi passano attraverso altre appartenenze, più ristrette e spezzettate.

Il voto di protesta, il voto operaio alla Lega (che oggi però è quella che difende il ruolo dei sindacati contro Montezemolo) dimostra che la sinistra è stata incapace di leggere in quale società viviamo e quindi di proporre in quale dovremmo stare. Dimostra che la sinistra non intercetta - e quindi non riesce a rappresentare - più i bisogni complessivi dei suoi ceti sociali di riferimento, né questi intendono farsi rappresentare più dalla sinistra. Una crisi di rappresentanza a doppio senso, davvero troppo anche per chi pensa ancora di salvarsi soltanto con la falce e martello.

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