di Mariavittoria Orsolato

La TAV e i No Tav continuano a fare notizia, anche loro malgrado. Nella notte tra domenica e lunedì scorsi due centraline di smistamento sulla linea ferroviaria fra Rogoredo e Lambrate, nei pressi di Milano, hanno preso fuoco paralizzando per l'intera mattinata il traffico ferroviario. Su una delle centraline scampate alle fiamme campeggiava una scritta No Tav e tanto è bastato agli inquirenti e alla stampa per additare la “frangia anarco-insurrezionalista del movimento” come probabilissima responsabile.

Lo scorso 27 marzo, invece, un gruppo di attivisti No Tav appartenenti al centro sociale “Il Cantiere” ha simbolicamente occupato la sala Alessi del Comune di Milano per contestare il procuratore Caselli, presente in qualità di ospite in un convegno che poi si è regolarmente svolto.

Inutile enumerare le lenzuolate d'inchiostro sprecate per dipingere i No Tav come novelli squadristi/terroristi. E inutile dire che le loro ragioni vengono accantonate per spingere sull'acceleratore emozionale del binomio violenza/non violenza che, rendendo la questione inevitabilmente manichea, impedisce quello stesso dialogo tanto invocato dalle istituzioni.

Eppure, se la protesta contro l'Alta Velocità è sempre stata strenua, qualche buon motivo ci sarà e l'ingegner Mario Cavargna, Presidente di Pro Natura Piemonte, è arrivato ad elencarne addirittura 150. In questa sede andremo ad analizzare quello che più di tutti preoccupa gli abitanti della Valsusa: parliamo dei gravissimi pericoli per la salute degli abitanti della valle, quelli che deriverebbero dalla perforazione della montagna, dalle polveri tossiche in essa contenute e in generale dai cantieri.

Nel 2006, 103 medici sensibili alla causa No Tav hanno pubblicato un appello in cui si esprimevano forti preoccupazioni per la salute della popolazione connesse con la messa in opera dell'Alta Velocità. Lo stesso Studio di Via presentato da Lyon-Turin Ferroviaire ha calcolato un incremento del 10% nell’incidenza di malattie respiratorie e cardiovascolari a causa dei livelli di polveri sottili prodotte dai cantieri e, in base alle statistiche attuali, questo aumento corrisponderebbe a 20 morti in piu? all’anno.

Le polveri sottili PM 10, cui vanno aggiunte le polveri sottilissime PM 5 e PM 2.5, fanno parte dell’aerosol che respiriamo e che colpisce soprattutto le fasce piu? deboli della popolazione come gli anziani, i malati di patologie cardiache o respiratorie ed i bambini, che sono particolarmente sensibili in quanto le capacita? di difesa dalle aggressioni ambientali sono ancora parzialmente immature. Gli effetti delle polveri sottili o sottilissime possono favorire la comparsa o la riacutizzazione di patologie respiratorie croniche e di quelle cardiovascolari - come infarti e trombosi - e sono purtroppo una novita? nella valutazione dei danni per la salute provocati dai cantieri.

Ma quello che più spaventa gli abitanti della valle è la perforazione della montagna, ormai decisa con il via libera ai lavori del progetto low-cost che, è bene ricordarlo, partirà proprio con l'escavazione della galleria di base. Le splendide alture che abbracciano la Valsusa sono infatti cariche di amianto e uranio: la particolare pericolosita? di questi minerali e? data dall'emissione di raggi radioattivi alfa e beta, poco penetranti e quindi poco rilevabili, ma molto piu? distruttivi quando, sotto forma di polvere, arrivano a contatto con la pelle e le mucose.

Il problema dell’amianto e? però stato accantonato e spesso minimizzato dalle istituzioni, ammettendo la presenza di giacimenti solo per i primi 500 metri, nella zona di Mompantero, dove per anni LTF ha negato che si potessero trovare rocce amiantifere. La loro presenza e? particolarmente massiccia in bassa valle, ma anche in alta valle le rilevazioni hanno accertato i rischi: basti ricordare che fu proprio a causa della presenza di amianto che l’impianto olimpico di bob fu spostato da Sauze d’Oulx a Cesana, e che la presenza di queste rocce sta bloccando e ritardando da anni i lavori della circonvallazione di Claviere.

Esiste poi uno studio (commissionato dalla stessa società incaricata di costruire la parte italiana della nuova linea ferroviaria, la RFI) svolto dall'Università di Siena, che riferisce chiaramente la presenza di fibra di amianto nei tratti interessati dai lavori infrastrutturali. Ad esporsi in prima linea, a sostegno della protesta dei No Tav, è stato anche lo specialista oncologo Edoardo Gays dell'ospedale San Luigi di Orbassano, che già nel 2004 descriveva la pericolosità dell'amianto presente nelle montagne che verrebbero attraversate dalle gallerie: “Da detto studio (quello svolto dall'Università di Siena n.d.a.) si conferma la presenza di amianto in varietà e forme diverse nell’ammasso roccioso presente lungo il percorso progettato per il potenziamento della linea ferroviaria Bussoleno - Torino nell’ambito del cosiddetto treno ad alta capacità/velocità. Per la realizzazione delle gallerie previste per oltre 23 chilometri, il volume dei materiali contenenti amianto da scavare prima, movimentare poi e infine stoccare è stato stimato in oltre un milione di metri cubi (1.152.000), volumi peraltro passibili di aumenti anche significativi”.

Le misure di cautela e di smaltimento per l’amianto proposte da LTF mostrano poi un problema ancora irrisolto. Dire che lo smarino contaminato da amianto verrà chiuso in sacchi e spedito in Germania, significa non rendersi conto che anche solo 500 metri di tunnel di base corrispondono a 170.000 metri cubi, pari al carico di 17.000 TIR. Il trattamento con l’acqua - proposto per ovviare al rischio di diffusione - lega solo momentaneamente la parte piu? fine delle polveri, ma poi la libera o la deposita con sorprendente facilita?, soprattutto nella percolazione alla base dei mucchi: da qui il vento la sposta ovunque.

Anche le mineralizzazioni di uranio sono una realta?: il problema era stato rilevato già nel 1998 dalle associazioni ambientaliste, ma LTF ed i suoi consulenti lo avevano lungamente negato. Nell’attuale studio di VIA per il tunnel di base non se ne parla nemmeno. Eppure il gruppo dell’Ambin - la formazione alpina che abbraccia la Valsusa e che sara? attraversata dalle gallerie - e? stato oggetto di fruttuose ricerche da parte francese nel 1980 con la Minatome, da parte italiana nel 1959 con la Somiren e nel 1977 con l’Agip Mineraria. Su entrambi i versanti si e? ipotizzato un suo sfruttamento. Allo stato attuale dei rilevamenti in Valsusa ci sono ben 28 aree nelle quali i filoni di uranio vengono in superficie. Sono sparsi un po’ ovunque e non è vero, come affermato da LTF, che con la nuova modifica del progetto i tratti a rischio contaminazione verranno evitati.

Lo scorso 4 marzo un team capitanato dall'ingegner Massimo Zucchetti, professore ordinario del Dipartimento per l'energia del Politecnico di Torino, ha effettuato una spedizione all'interno della miniera di uranio di Giaglione-Venaus, a pochi kilometri dal cantiere geognostico della Maddalena. Armati di tre diversi rilevatori di radiazioni, hanno constatato e dimostrato che il pericolo radioattivo non è una delle tante velleità dei No Tav ma un rischio purtroppo realissimo. Se la soglia di sicurezza si aggira intorno ai 400 colpi al secondo, già nel centro abitato di Giaglione hanno rilevato 550 colpi/secondo; davanti all’ingresso della miniera il contatore è subito salito a 1500,  mentre dentro la miniera è schizzato a 7000, ovvero 20 volte la misura di tolleranza.

Date queste evidenze, sembra ormai ovvio che non appena cominceranno il lavori di trivellazione si sprigioneranno polveri potenzialmente letali. Per i pochi che ancora non lo sapessero, l’esposizione all’amianto - anche non legato ad attività lavorativa - può causare gravissime patologie, tra cui il mesotelioma, una malattia tumorale maligna in grado di stroncare nel giro di 275 giorni. L’uranio invece, se inalato o ingerito, provoca contaminazione interna e puo? essere causa di linfomi. Un famoso studio dell’Istituto Superiore di Sanita? ha evidenziato un incremento di linfomi di Hodgkin nei militari impiegati in “missione di pace” nei Balcani ed esposti all’uranio impoverito: ben il 236% in piu? rispetto alla popolazione non esposta. E l’uranio che potrebbe sprigionarsi in Valsusa e? notevolmente piu? radioattivo di quello impoverito a fini bellici.

Il movimento No Tav è spesso tacciato di misoneismo, di prepotenza, di aver strizzato l'occhio alle componenti più violente dell'antagonismo italiano. Ma nel momento in cui ci sono prove provate che un'opera pubblica dalla dubbia funzionalità potrebbe mettere a rischio la salute o, addirittura, la vita delle persone che ne abitano il territorio, si tratta soprattutto di istinto di sopravvivenza. Un istinto atavico che nessuna chiacchiera tecnica o imposizione dall'alto può sopire, che non si ferma di fronte alle forze dell'ordine e porta fisiologicamente a combattere, a resistere. Di questo, almeno, i No Tav chiedono di prendere atto.

 

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