di Giovanna Pavani

Non è stato certo un fulmine a ciel sereno, ma la tempistica la dice comunque lunga sul clima che si respira dentro i Ds alla vigilia dell’assise orvietana che dovrebbe apporre il sigillo definitivo alla nascita del Partito Democratico. Ieri, insomma, mentre sferragliavano sulle agenzie di stampa le più varie dichiarazioni su una Finanziaria tutta da dimenticare, Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia della Camera, ha fatto cadere l’annunciato sasso nello stagno: “Ad Orvieto noi non ci saremo”. La sinistra Ds si chiama dunque ufficialmente fuori da un matrimonio, quello tra Ds e Margherita, che era sembrato stargli stretto fin dagli esordi. E che oggi, dopo il “niet” dei rutelliani più accesi al possibile ingresso del Pd nella casa socialista europea (Pse), sembra quasi un insopportabile affronto alle radici stesse della Quercia. La lettera d’addio l’ha stilata personalmente il ministro Fabio Mussi indirizzandola alla Direzione del partito: .
E’ un divorzio preventivo, quindi, prima che il matrimonio si consumi e sia troppo tardi:. Seguono 43 firme di deputati e senatori Ds, personaggi chiave dentro la maggioranza di governo e a Strasburgo che non ci stanno ad essere definiti dai supporters prodiani e fassiniani, una sorta di “associazione di ex combattenti e reduci di una battaglia persa”. Della battaglia, cioè, per la costruzione in Italia di una grande forza socialdemocratica di tipo europeo: c’è di che masticare amaro per chi continua a farsi un vanto di essere considerato socialista, socialdemocratico o anche liberal-socialista. Prodi sa che, comunque, questa sua è una battaglia da combattere senza esclusione di colpi, tanto che ha convocato per oggi pomeriggio lo stato maggiore dell’Ulivo a piazza Santi Apostoli. Ed è quasi una resa dei conti.

E c’è un addio da cui far partire la discussione, non senza rancore. Scrive la sinistra Ds: . . Oltre alla firma di Mussi, seguono in calce le firme del vicepresidente della Camera, Carlo Leoni, della leader della "Sinistra ecologista" dei Ds, Fulvia Bandoli, di Marco Fumagalli e Giovanni Berlinguer.

Ma non è solo la sinistra Ds a voler mettere le distanze da un progetto politico che, nonostante il percorso ormai lungo e tormentato, mostra ogni giorno crescenti difficoltà di maturazione. Nei Dl sono ancora ben presenti tutte le scorie del convegno di Cianciano: i rutelliani non hanno gradito la convention degli ex popolari e hanno reagito con grande nervosismo. A tutto ciò si sono aggiunte le distanze tra i due partiti sulla stessa organizzazione del convegno: la Quercia avrebbe voluto invitare a Orvieto anche i socialisti dello Sdi e Antonio Di Pietro, ma la Margherita ha risposto con un secco picche. Non solo. La posizione delle minoranze sta irritando profondamente i fassiniani, che imputano alla sinistra una chiusura al confronto interno che, invece, si sarebbe potuta celebrare proprio in terra umbra, tanto che al Botteghino non hanno esitato ad accogliere lo strappo di Mussi con i classici toni della .
Eufemismi di facciata che nascondono, come sempre, problemi ben più pesanti. La linea di Piero Fassino è destinata a non cambiare e in via Nazionale si dice con fermezza che il segretario farà l'impossibile per portare dentro il soggetto riformista tutti i Ds. Solo che per lui, dopo lo strappo interno, si apre un periodo veramente difficile, quasi drammatico: in gioco c’è molto di più della poltrona di segretario. Non va dimenticato, infatti, che anche influenti esponenti della maggioranza, - vedi Gavino Angius o Peppino Caldarola - si sono mostrati negli ultimi tempi ancora più freddi riguardo al percorso comune con la Margherita. Premesse che non fanno sperare nulla di buono sull’effettivo sbocco del seminario orvietano dove i “big” dell’Ulivo arriveranno con la consapevolezza di non potersi permettere nessuna ulteriore frenata. Ma sarà dura evitarlo.

La frattura interna ai Ds ha, infatti, come conseguenza riflessa un ulteriore indebolimento di Prodi e del suo governo. Non è un caso se in questi giorni il Professore si é attivato non poco, nelle maglie della discussione sulla Finanziaria, per sollecitare un’accellerazione della nuova formazione politica, casomai passando attraverso due distinti congressi a breve termine di Ds e Dl che ne sancissero definitivamente il concepimento dopo il via libera orvietano. Per il premier la nascita di questo nuovo soggetto politico è fondamentale, perché da questa formazione intende farsi sostenere nel proseguimento della legislatura. Ora il percorso appare tuttavia più complicato: come si diceva, i cattolici democratici rifiutano l’ingresso del Pd nel Pse, la Quercia insiste e la sinistra va oltre minacciando quasi una scissione pur di non restare fuori dal mondo socialista. Il Professore è in grado di scogliere queste contraddizioni? All’apparenza sembra proprio di no anche se pare chiaro che il fallimento di questo processo, lungo e tormentato, non potrebbe che ripercuotersi pesantemente (e, forse, anche drammaticamente) su tutto il centrosinistra. E, forse, anche sulla sinistra in senso più ampio. Ma si fa comunque molta fatica ad intravedere tra le due componenti in predicato di unità una medesima identità, una simile cultura politica, nonché progetti e programmi su cui far convergere i rispettivi elettorati di riferimento senza squassanti dissensi. L'unica cosa che sin qui si capisce è che, tanto la Quercia quanto la Margherita, hanno avuto modo di apprendere sulla loro carne viva che, da sole, non andranno mai molto oltre i loro consensi attuali; e quindi nel migliore dei casi si ripropongono senza entusiasmo, nella speranza di farne domani qualcosa di simile a una forza, di mettere assieme (adesione al Partito socialista europeo, dissensi interni e resistenze passive delle rispettive oligarchie permettendo) le rispettive debolezze.
Sottolineare queste incongruenza non significa dare già per morto chi non è ancora nato. Significa, tuttavia, chiedersi quale senso politico abbia un mega partito senza un’identità precisa. E dove, soprattutto, si respira troppa poca aria di sinistra. Proprio quella che manca.

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