di Elena G. Polidori

Se c’è un banco di prova su cui il governo sarà chiamato, proprio in questa settimana, a dare la misura della propria convinzione sulla natura profondamente laica dello Stato, questo sarà rappresentato dai Pacs e dalla forza con cui la maggioranza difenderà l’idea di “non arretrare” - dice Fassino – per dare all’Italia una legge al passo con i tempi e con il resto dell’Europa. Quello delle persone che vivono in unioni di fatto dovrebbe ormai essere considerato un riconoscimento doveroso, per nulla “eversivo” e niente affatto tendente ad “importare dall’Europa – parole di D’Alema - un diabolico scardinamento della famiglia”. In ballo ci sono i diritti, quelli più innocui ed elementari di milioni di persone, necessità primarie sotto gli occhi di tutti che solo l’ipocrisia cattolica continua a voler negare in nome di una difesa della famiglia tradizionale che, per molti di loro, è diventata un po’come la linea del Piave, oltre il quale c’è solo un lento dissolvimento del potere temporale fino ad oggi fieramente esercitato ben oltre le mura di San Pietro. Alla vigilia del dibattito parlamentare, salgono, dunque, i toni di condanna dei vescovi di pari passo agli strali vaticani. Strepitano i “teodem” che invocano la coerenza della destra per “seguirci nella battaglia che, duramente, faremo in Parlamento”, mentre alcuni ministri di stretta osservanza, come Rosy Bindi, cercano di tener duro su punti essenziali del maturando disegno di legge nella speranza di tirar fuori, alla fine, il solito compromesso democristiano che salvi la faccia davanti all’elettorato nel segno delle buone intenzioni. In cima, poi, c’è il cattolicissimo Mastella. Che sente più odore di zolfo di tutti gli altri e si fa crociato dei suoi “valori”, dicendosi pronto ad immolare sull’altare del no ai Pacs persino il governo, in piena affinità elettiva con il delfino di Ruini, monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, e i suoi striscianti inviti al parlamento a non “legiferare troppo”.

La Chiesa teme che il proprio ruolo di baricentro della politica italiana in merito ai temi etici possa venire ulteriormente compromesso dall’approvazione della legge sui Pacs. E questo è talmente vero che l’Udeur ha immediatamente fatto la voce grossa all’interno della maggioranza. Eppure questa chiamata preventiva alle armi, pronunciata dal leader e sindaco di Ceppaloni, più che un segno di fervente devozione è sembrata una mossa di puro posizionamento tattico per alzare la posta da qualche altra parte. Non sembra infatti un caso se, davanti ad una dura presa di posizione di Fassino (“I Pacs non hanno colore politico”), il medesimo Mastella abbia fatto un’immediata marcia indietro: “Qual è il problema? Noi - ha specificato il guardasigilli - continuiamo a credere che la soluzione migliore sia quella di un libero confronto parlamentare, lasciato alle coscienze dei singoli parlamentari, senza che per questo scoppi una guerra di religione ed evitando di mettere in discussione il governo”. La bozza di legge in itinere non sembra infatti contenere alcunché di dirompente sul piano dei principi, se persino Gianfranco Rotondi, segretario della Democrazia Cristiana (partito alleato di Berlusconi) ha preso le distanze dall’ala cattolica oltranzista, ammettendo candidamente che “la polemica sui Pacs è semplicemente panna montata: la bozza del governo riconosce i giusti diritti ai conviventi e si può votare senza doversi necessariamente confessarsi subito dopo”. E se lo dice lui…

Prodi, però, vuole evitare comunque qualsiasi scontro interno, specie in vista di quello inevitabile sull’Afghanistan. Così è sceso in campo, anzi nella sua cucina, invitando a pranzo le due ministre Bindi e Pollastrini, alle quali spetta la presentazione del ddl, nella speranza di limare, tra un tortellino e l’altro, gli spigoli che ancora si frappongono alla stesura di un articolato unanimemente condiviso. Il nodo, a ben guardare, sta tutto intorno a due parole. Se scrivere cioè certificazione o semplicemente registrazione per dare fondatezza e dignità giuridica alle coppie di fatto. E’ una distinzione non da poco: la certificazione è vista dalla Bindi come quel “matrimonio di serie B” che rifugge da sempre come la peste, così come la Pollastrini vede nella semplice registrazione una manifestazione d’intenti della coppia troppo poco incisiva per poter far scattare diritti come la reversibilità della pensione, l’eredità, gli assegni familiari e quant’altro già previsto per le unioni civili.

Alla fine del pranzo, pare che il compromesso sia stato trovato (ma è ancora da vedere se reggerà) con la scelta di una certificazione anagrafica ad hoc per le coppie di fatto. In buona sostanza, si dovrebbe creare un elenco speciale dell’anagrafe dove le coppie di fatto si andrebbero ad iscrivere per poter ottenere i previsti riconoscimenti. Non da subito, ovviamente, ma dopo l’accertazione (non si sa da parte di chi) di un periodo di convivenza effettiva non inferiore ai cinque anni (ma la Bindi ne vorrebbe addirittura 10). Solo allo scadere di questo infinito “periodo di prova” alla coppia di fatto sarebbero riconosciuti una serie di diritti previsti dal codice civile e che oggi spettano solo ai coniugi. E comunque non tutti, solo una parte, altrimenti l’equiparazione con il matrimonio civile sarebbe nei fatti e questo farebbe saltare qualsiasi intesa.

Da tutto questo dibattito, nonché dalle indiscrezioni sulla bozza della legge, emerge un primo dato che sconcerta; grazie ai timidi sforzi di alcuni, ma soprattutto alle gigantesche ed ideologiche contrapposizioni di altri, quella che uscirà fuori sui pacs (se vedrà mai la luce) non potrà essere certamente una legge moderna, civile e adeguata alle esigenze di milioni di italiani impossibilitati, per necessità o per scelta, a formalizzare il proprio legame sentimentale secondo l’attuale normativa. D’altra parte, in un Parlamento dove i veti pesano più dei voti, e dove la Chiesa pesa più della politica sui temi etici, salvaguardare tenacemente i più elementari principi di democrazia, come garantire diritti uguali per tutti i cittadini, è diventata quasi una battaglia di retroguardia. Ma proprio in virtù di questo aspetto, ci dovrà essere comunque l’approvazione di una legge sulle unioni di fatto, qualunque essa sia.

In questa fase è importate dare un segnale politico netto di inversione di tendenza, un messaggio forte e chiaro al Paese sul fatto che il Parlamento non è del tutto ostaggio di chi pensa che i propri valori cattolici debbano essere imposti anche a chi cattolico non è. Potrà essere anche un buon modo, chiaro e senza sconti, per invitare la Chiesa a ritrovare quel suo ruolo primario di riferimento costante della spiritualità dei propri fedeli, oggi derubricato a mero accessorio rispetto a quello di ingerenza nella politica italiana, evidentemente ben più importante della dottrina per le alte gerarchie ecclesiali. Quella che uscirà sui pacs, dunque, non sarà certo la legge auspicata, forse qualcuno si sentirà tradito, altri grideranno allo scandalo, i più si diranno delusi.
Ma qualunque legge sia, sarà valsa davvero più di una messa.


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