di Fabrizio Casari

Tattica d’aula a parte, non è stato un bello spettacolo il voto sull’Afghanistan al Senato che ha mandato in minoranza la maggioranza di governo. Le polemiche, furiose quanto ipocrite, che hanno fatto seguito al voto, hanno persino peggiorato il brutto spettacolo dei deputati del Polo che esultano. Serve a poco far presente che il peggio del peggio, cioè Calderoli (capacissimo nella tecnica parlamentare), sia stato più abile dei capigruppo dell’Unione; lo si dice giusto per tenere a mente che al peggio non c’è mai fine. Il Vicepremier Rutelli attacca Rifondazione che, con PdCI e Verdi è l’oggetto delle accuse, in qualche modo poste sia da Fassino che dagli stessi prodiani, mentre la capogruppo Finocchiaro, ricorda che “è l’Ulivo a farsi sempre carico di tutte le mediazioni necessarie”. S’imputa, in sostanza, alla cosiddetta “sinistra radicale”, una mancanza di coesione politica sulle scelte di fondo del Governo e della maggioranza che lo sostiene e si evidenzia come il possibile rischio di rottura della maggioranza sarebbe loro responsabilità. Ma è davvero così? Andrebbero poste alcune questioni, di metodo e di sostanza. La prima è che, per restare nel merito del voto al Senato di venerdì scorso, sono stati ulivisti e prodiani (vuoi con l’assenza, vuoi con il voto d’astensione che al Senato è voto contrario) a permettere il prevalere dell’ordine del giorno della destra. Se quindi il Polo urla alla vittoria, lo si deve ad un gruppo di senatori variamente allocati nell’Ulivo, non certo a quelli eletti nelle liste della “sinistra radicale”. Semmai si propone con tutta evidenza il limite di uno schieramento che conferma essere un’alleanza elettorale più che una coalizione politica. Certo, l’esigenza di visibilità alla vigilia di una competizione elettorale come quella delle amministrative prossime non è da sottovalutare. Per chi ha in mente cambi di maggioranza, l’appuntamento è succoso.

Perché é inutile nasconderlo: i malumori – per non dire gli strappi politici – nella maggioranza, sono il frutto di un sommovimento politico che viene dal centro della stessa. La scomposizione parziale del Polo, determinatasi con l’uscita di fatto dell’Udc di Casini, si somma alla contemporanea corsa verso una rifondazione democristiana da parte dell’Udeur, che mira a d aggregare la parte di Margherita che non vuole finire nel Partito Democratico. I due elementi propongono a breve termine un possibile spostamento di voti parlamentari, che sono rilevanti in generale, ma determinanti nello specifico, in presenza di una manciata di voti a sancire maggioranza e minoranza.

Ma il governo Prodi è anche vittima della nascita di un nuovo partito, quello dei teodem, che si muove in forma trasversale agli schieramenti politici. Il progetto ha come unico obiettivo una svolta reazionaria sotto il profilo dei diritti che riproponga un dominio teologico sulla politica, una gerarchia politico-etica dello Stato Pontificio sui principi su cui si fonda la laicità dello Stato. E’ un soggetto politico nuovo, eterodiretto da Oltretevere e indisponibile al riconoscimento dell’alveo laico come misura per l’accesso ai diritti individuali e collettivi. Come tutte le operazioni reazionarie, salda una concezione medievale della società ad una iperliberista dell’economia, che prevede la massima liberalizzazione degli affari e la minima libertà per gli individui.

La terza spina nel fianco del Governo risiede nella nascita dei cosiddetti “Volenterosi”, i quali, privi di riferimenti di massa sul piano elettorale, godono però dell’appoggio di lobbies editoriali e bancarie, di una parte consistente dei poteri forti che vedono la presenza determinante dei voti della sinistra come cera nella ali di un governo che vorrebbero liberista, senza però l’ingombrante presenza di buona parte del Polo. Su questo sfondo, la nascita del PD, elemento devastante per la stabilità politica del Governo, giacché alla forzata aggregazione dei due blocchi che lo compongono, pone con forza anche il tema della leadership del nuovo partito e del governo. Partito Democratico, Teodem, Volenterosi: sono tutte operazioni politiche che nulla hanno a che vedere con la sinistra radicale. Che da parte sua, però, non riesce a diventare adulta.

E’ abbastanza chiaro che le componenti della sinistra si trovano in enorme difficoltà. L’appoggio al governo comincia a costare caro in termini di consenso e i rospi, dalla Finanziaria a Vicenza, dai Pacs all’Afghanistan, rischiano di soffocarla. D’altro canto, solo una vocazione al suicidio potrebbe porre all’ordine del giorno la caduta del governo con il conseguente ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi. Il ricatto che aleggia sull’insieme della sinistra, poggia sia sul senso di responsabilità che sulla legge elettorale che dovrà superare “la porcata” di Calderoli, legge elettorale che viene infatti brandita come una clava. Ma se il contesto nel quale il Governo Prodi si trova è questo, sarà bene che la sinistra si svegli.

La posta in gioco è rappresentata dal tentativo di dare all’Unione una sterzata in chiave neocentrista. Ci si domanda, a sinistra, se Prodi intende candidarsi a guidare questa operazione o se invece ne è, consapevole o no, vittima. Domanda non oziosa, ma di per sé non determinante ai fini di quella che dovrebbe essere la strategia della sinistra. Che invece di domande dovrebbe farsene due: come si contrasta la deriva neocentrista? E poi: si ritiene che il superamento in chiave moderata del governo Prodi sia un problema del professore o di tutto il paese?

Proprio infatti perché si è in presenza di una strategia neocentrista, che ha l’obiettivo di emarginare la sinistra e riporre nel cassetto le ipotesi di cambiamento politico del Paese, la sinistra non può continuare a bearsi delle sue divisioni. La sommatoria dei voti di Prc. Pdci e Verdi risulta velleitaria e persino nociva nei confronti dell’urgenza dello scontro politico.
Sarebbe invece necessario cominciare a praticare unità, federazione, aggregazione. Allo stato attuale, la sinistra dispone di un capitale politico ed elettorale che, diviso per unità o decimali, non riesce a determinare nessuna inversione di tendenza, né sul piano della tattica né su quello della strategia. Anzi, si consuma quotidianamente nella polemica interna, nel cannibalismo di alcuni rispetto ad altri. Serve una netta inversione di tendenza. Serve cominciare ad unire i gruppi parlamentari e ad indire un coordinamento politico tra le componenti della sinistra radicale aperto alla sinistra dei Ds. Questo, oltre a rappresentare in prospettiva un appeal elettorale di tutto rispetto, porrebbe, già nell’immediato sul piano parlamentare, un segno decisivo sotto il profilo politico e numerico. L’effetto sarebbe dirompente per l’ingegneria politica neocentrista, che si vedrebbe ridimensionata nella sua capacità numerica di spostare le scelte del governo a suo favore e porrebbe lo stesso Prodi in condizioni decisamente meno problematiche. Unirsi significherebbe insomma porre un robusto bastone tra le ruote, già difficili da oliare, del progetto neocentrista e, nello stesso tempo, offrire una prospettiva “da sinistra” a tutti coloro che, nei Ds, non sono convinti della fusione fredda con la Margherita.

In virtù di diversi assetti e diversi numeri, la sinistra potrebbe porre con forza i temi che ritiene imprescindibili, lasciando alla dialettica interna alla coalizione l’inevitabile mediazione politica. E’ infatti chiaro a tutti coloro che non si cibano di ideologia (copertina corta per furbizie competitive), come la scelta di tenere in piedi un progetto, prima ancora che un governo, risieda nel darsi gambe e testa. E che appoggiare o far cadere un governo può essere scelta dettata solo dal determinarsi di processi a lungo termine che hanno a che vedere le scelte generali di contesto, non da singoli provvedimenti, per paradigmatici che possano sembrare. All’interno delle mediazioni inevitabili, frutto di rapporti di forza politici ed elettorali, si può e si deve avere in mente che la differenza non è tra una legge o un’altra, ma tra un governo moderato ed uno, che bussa alle porte, apertamente reazionario. C’è una linea del Piave da difendere, fatta di politiche economiche e sociali, di diritti e di assetti giuridici dello Stato. Qui, e non sul singolo provvedimento, può nascere la possibilità di un sostegno di massa all’azione politica unitaria.

L’urgenza del fare è soverchiante rispetto a quella del dire, così come quella di unirsi è superiore a quella del distinguersi. Meglio unirsi per tenere aperta una prospettiva, piuttosto che venire segmentati e dispersi dai propri avversari, che tendono proprio a sradicare culture e progetti che si richiamano alla sinistra. No, non quella “radicale”, ma la sinistra vera, quella che sa battersi per offrire soluzioni e spostare equilibri. Per vincere, non per declamare.


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