In teoria, Matteo Salvini e Luigi Di Maio dovrebbero essere tutti e due in difficoltà. Il primo a causa di Moscopoli, lo scandalo relativo alla presunta richiesta di finanziamento alla Russia di Putin. Il secondo per il sì alla Tav, che rinnega un’altra battaglia storica del Movimento per cedere ai voleri del Carroccio. Eppure, sondaggi alla mano, i guai dei due leader non producono lo stesso effetto: Di Maio affonda, mentre Salvini continua a crescere. Com’è possibile?

Iniziamo dal leader grillino, che non solo ha dimezzato i consensi ottenuti alle politiche del 2018, ma da qualche tempo fatica parecchio anche a schivare il fuoco amico. Ce l’hanno con lui soprattutto i senatori vicini a due pesi massimi del M5S, Roberto Fico e Alessandro Di Battista, i duri e puri che conservano il piglio delle origini e promettono di lottare fino alla fine contro la Tav.

Il fronte dei dissidenti ha cercato una sponda in Danilo Toninelli, ma è rimasto deluso, perché il ministro delle Infrastrutture si è prodotto in una piroetta ancora più spettacolare di quella del vicepremier grillino: all’inizio diceva che si sarebbe dimesso piuttosto che accettare la Tav, mentre adesso promette di andare avanti “a testa alta”.

Così, i rivoltosi progettano di portare la protesta in Parlamento. Hanno già iniziato alla Camera, dove il decreto sicurezza-bis è passato con l’astensione di 17 pentastellati, mentre Fico è addirittura uscito dall’Aula. La scena si potrebbe replicare al Senato, dove il provvedimento leghista rischia di essere approvato solo grazie alla manciata di voti determinanti di Fratelli d’Italia. Dopo di che, il 7 agosto al Senato i 5stelle voteranno da soli la mozione da loro stessi presentata per dire no alla Tav, nonostante la lettera spedita dal Governo all’Ue per confermare che l’opera sarà realizzata. In questo modo si arriverebbe sull’orlo di una crisi dal sapore di harakiri, perché un eventuale ritorno alle urne danneggerebbe il Movimento 5 Stelle più di chiunque altro.

Ogni giorno che passa, infatti, il consenso di cui gode la Lega assume proporzioni sempre più bulgare. Alcune analisi danno il Carroccio al 36%, due punti percentuali in più rispetto al risultato delle europee di maggio. A prima vista, si direbbe che il moltiplicarsi degli scandali porti acqua al mulino salviniano: il sottosegretario Siri due mesi fa, Moscopoli oggi.

In realtà, le inchieste sulla Lega non intaccano la popolarità di Salvini per una ragione molto semplice: al suo elettorato non interessano. I fan del Capitano hanno a cuore solo tre argomenti: immigrazione, sicurezza e tasse. Tutto il resto è roba buona per intellettualoni, professoroni, giornaloni. O per i famosi radical chic, un calderone in cui ormai finisce chiunque riconosca la solidarietà come valore e abbia la fortuna di non vivere sotto i ponti.

Senza contare che per dare una lettura critica del caso Siri o di Moscopoli occorre leggere, informarsi e ragionare. Ma a che pro affaticarsi tanto, quando per sentirsi dei militanti basta rispondere “e allora Bibbiano?”, oppure scagliarsi contro la sbruffoncella Carola, che osa andare in giro senza il reggiseno sotto la maglietta?

Come il gradimento di Berlusconi è rimasto sostanzialmente immune alle inchieste giudiziarie per decenni, così anche Salvini ha poco da temere su questo fronte. La sua rimane l’immagine di un Capitano sicuro e coraggioso, capace di proteggere chi si affida a lui ciecamente. Il classico uomo forte che la grande maggioranza degli italiani ha sempre adorato.

I problemi per il leader leghista inizieranno quando i suoi elettori gli chiederanno conto dei risultati in campo economico. A cominciare dalla flat tax, che se si farà sarà comunque un provvedimento all’acqua di rose, lontano anni luce da quello promesso nelle ultime campagne elettorali. E poi c’è l’aumento dell’Iva, che tutti vogliono evitare ma nessuno sa con quali soldi, visto che solo per il 2020 servono 23 miliardi da inserire nella prossima manovra. Sono questi i due capitoli su cui Salvini si gioca tutto. Altro che Savoini.

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