di Sara Nicoli

La verità non si dice mai in politica. A meno che non si voglia schienare un avversario ormai in ginocchio per toglierlo definitivamente di mezzo con il colpo di grazia. Piero Fassino, venerdì corso alla Camera, per una volta è venuto meno a questa regola non scritta, mandando a tappeto con una frase un Silvio Berlusconi scosso e preoccupato dal comportamento freddo e distaccato di due dei suoi principali alleati, l’Udc e la Lega. “La verità – ecco la frase affondo di Fassino – è che buona parte della sua coalizione diffida della sua leadership”. Questa “buona parte” fa di nome Pier Ferdinando Casini, ma anche la compagine del Carroccio ancora legata ad Umberto Bossi, non si è certo spellata le mani alla replica del leader di Forza Italia. Ed è stato un momento che più di molte parole, ha scattato l’istantanea della grave crisi in cui versa il centrodestra. Malgrado i sondaggi in forte ascesa, quel che resta della Cdl sembra consapevole della necessità di trovare una nuova dimensione politica intorno ad un leader credibile anche a quell’ala moderata del Paese che del Cavaliere ha sempre detestato con forza il governo degli affari suoi a discapito delle necessità del Paese. Quel nome del futuro leader nel centrodestra lo conoscono tutti ma lo pronunciano piano per non svelare, attraverso di esso, un progetto politico di ricompattamento della Cdl che potrà anche non prevedere la presenza di Casini ma che, invece, non potrà prescindere dall’esistenza della Lega e dell’alleanza stretta di Bossi.

Il nome è quello di Letizia Moratti. Una donna, un imprenditore tosto, un politico dalle idee liberali fin troppo chiare, da contrapporre idealmente ad Valter Veltroni, probabile candidato premier per il centrosinistra alle prossime elezioni con alle spalle il Partito Democratico.

Un quadro, quello della crisi del centrodestra, che è abbastanza chiaro a tutti a partire proprio da Berlusconi che ogni giorno di più vede naufragare il suo progetto di un “partito delle libertà”, di una federazione del centrodestra, di un “grande, grande, grande partito delle libertà” che, nella sua ottica, dovrebbe prevedere l’adeguamento della minoranza alla volontà della maggioranza della Cdl. Casini ha da tempo mandato in frantumi questo sogno, giocando prima il ruolo dell’outsider quindi quello dell’uomo che ha in mente un progetto politico diverso, con uno sguardo più nitido verso il centro che in futuro, nuova legge elettorale permettendo, potrebbe farlo ritrovare accanto a Follini e a Mastella.

L’ex presidente della Camera ha sempre negato pubblicamente di coltivare questa aspirazione centrista, ma per capire che non è vero - perché la verità in politica non si dice mai - basta leggere dietro le righe dell’accorato appello che sabato gli ha lanciato Berlusconi. “Sono riemersi – ecco le parole del Cavaliere - dei nostalgici del cosiddetto centrismo, che in Italia si è sempre fondato sulla delegittimazione della destra e sul compromesso della sinistra. Il bipolarismo quello che abbiamo creato noi, ha cambiato lo scenario politico italiano e sarebbe una colpa storica disperdere questo patrimonio, una responsabilità sulla quale invito tutti, ma proprio tutti, a riflettere”.

Ecco, dunque, quello che spaventa il Cavaliere. E che lo raggela più di quanto abbia inquietato a sinistra il vedere, venerdì scorso, Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto che si scambiavano affettuosi convenevoli da un lato all’altro dello scranno più alto della Camera. Che, insomma, l’implosione del sistema politico, determinato dalla legge elettorale “porcata” (da lui fermamente voluta per impedire qualsivoglia possibilità al centrosinistra di governare per un’intera legislatura) possa portare ad una nuova legge elettorale che vanifichi il bipolarismo e consenta a Casini di diventare il leader di un movimento centrista capace di rubare una cospicua dose di voti all’ala moderata di Forza Italia con lo sguardo rivolto al centrosinistra del Partito Democratico. Ed è una sgradevole sensazione, quella del Cavaliere, che non è sfuggita all’unico alleato fedele che gli è rimasto, ovvero Gianfranco Fini. Non è certo un caso se il leader di An ha respinto con fermezza ogni possibilità di mediazione con la maggioranza su una nuova legge elettorale che rifletta quel il modello tedesco che, attraverso il proporzionale, darebbe al movimento centrista la possibilità di concretizzarsi indebolendo, principalmente, proprio An e Forza Italia.

Senza Casini, comunque, la spinta del Cavaliere verso un sistema elettorale che sposi un bipolarismo più simile al modello francese è destinata ad esaurirsi in breve, lasciando spazio ad un riposizionamento complessivo delle forze in campo a destra che potrebbero ricompattarsi solo all’ombra di un leader capace di convogliare su di sé anche il voto cattolico e quello liberale moderato. Il sindaco di Milano, dicono, sta già scaldando i motori, anche se Berlusconi, convinto di trovarsi oggi al 57% del gradimento del Paese, venderà certamente cara la pelle.

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