di Cinzia Frassi

Lo scivolone del governo Prodi sulla politica estera, poi resuscitato miracolosamente, sembrava aver liberato il professore dal tarlo delle unioni di fatto, escluse scientemente dal manifesto e dai suoi dodici punti. Niente di più falso. E’ iniziato pochi giorni fa in commissione giustizia al Senato, la discussione sui diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi ed è gia palpabile un notevole fermento fuori e dentro le stanze della politica. Sul tavolo di Cesare Salvi, presidente della commissione giustizia, ci sono ben nove progetti presentati dall’alveo delle forze dell’Unione prodiana e uno dal forzista Alfredo Biondi. Il ddl partorito dal ministro della Famiglia Rosy Bindi e dal ministro dei Diritti e Pari Opportunità Barbara Pollastrini non è stato accolto nel migliore dei modi. Anzi, l’onorevole Salvi nella sua relazione ha duramente criticato il disegno di legge governativo, definendolo “pasticciato” e in sostanza prefererendo proprio non vederlo sul tavolo della commissione. Si è espresso in termini poco lusinghieri quando ha dichiarato di ritenere che il ddl Bindi-Pollastini “non abbia un impianto giuridico tale da consentire di assumerlo come testo base”. In particolare ha osservato che il meccanismo delle dichiarazioni unilaterali e delle raccomandate sarebbe fonte solo di incertezza dei rapporti, dando origine a possibili motivi di contestazione. Il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, nella sua risposta è andata subito al punto: “Il governo non è disposto ad accettare che le modifiche introducano forme di paramatrimonio”.

Emblematico scambio di opinioni che riassume le posizioni che si scontrano in questa partita: da un lato chi vuole il riconoscimento dei diritti delle unioni di fatto, dall’altro chi è proteso invece nella difesa dei diritti della famiglia con vincolo di mandato. Una contrapposizione che, con abilità, i cattolici riescono a far percepire come una lotta in difesa della famiglia, come formazione tutelata dalla Costituzione della Repubblica. Come se vi fosse una coperta troppo corta, quella dei diritti, non sufficiente a coprire i piedi a tutti laici, cattolici, sposati, coppie conviventi, eterosessuali, omosessuali.
Il senatore a vita, vecchia guardia dell’impero democristiano, Giulio Andreotti, evidentemente ancora restio a premere bottoni, ha fatto sapere che non voterà i Di.Co qualora il testo continuasse a “legalizzare e riconoscere le unioni dello stesso sesso” argomentando che sarebbe “qualcosa che va oltre i compiti della legge”, cioè le coppie omosessuali sarebbero qualcosa che deve essere lasciato fuori, avulso, fuori legge.

I fuori legge intanto saranno in piazza Farnese a Roma sabato 10 marzo a sostenere con la forza del movimento la partita parlamentare delle unioni di fatto. Moltissime le adesioni sia di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, come Dario Fo, Alessandro Cecchi Paone, sia dei partiti. Accanto alle bandiere dell’ArciGay sventoleranno quelle di Verdi, Rifondazione Comunista, Democratici di Sinistra, Radicali, Comunisti Italiani, nonchè molte ale giovanili degli stessi.

Ma la longa manus ha deciso di rispondere alla volgare piazza con la stessa moneta e con il Movimento per la vita, Acli, Azione cattolica e Rinnovamento nello spirito, Sant'Egidio e Comunione e liberazione, celebreranno eucaristicamente il “Family day” in difesa delle “famiglie normali”. Un movimento, intendiamoci spirituale, definito in termini di legittima difesa alla minaccia del fronte peccatore laico e delle convivenze contro natura o meno che siano.

Il dibattito parlamentare sarà quindi influenzato dalla risposta al 10 marzo della Chiesa che si trova a combattere “la rivoluzione laica dei valori”. Così definisce la questione il successore del Cardinal Ruini alla presidenza delle Conferenza Episcopale, Monsignor Angelo Bagnasco. Tramontato il ventennio del Cardinal Ruini , ricordando anche il suo rigoroso contributo alla parità scolastica, al referendum sulla procreazione assistita, alla negazione dei funerali a Piergiorgio Welby, non c’è da dubitare che il contegno del suo successore chiarisca subito i toni della sua missione come ha avuto modo di dire in una recente intervista, tra l’altro precedente la sua nomina ufficiale, in cui ha sottolineto che “i cattolici devono difendere la famiglia e che la Chiesa cattolica deve richiamarli a questo compito”.

C’è da scommettere che il serrato confronto pro e contro i Di.Co ci fornirà l’occasione per tastare il polso alla politica italiana e alla sua dinamica democratica. Non solo. Dato che la partita sulle unioni si consumerà a suon di popolo in piazza, quello laico e quello cattolico, sarà un’occasione preziosa per verificare da un lato la capacità della politica di sinistra di appagare le istanze della base laica dei cittadini. Dall’altro avremo modo di toccare con mano il livello di sudditanza culturale all’integralismo clericale di tutti gli altri cittadini.

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