di Sara Nicoli

L’aveva pensato da tempo, il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, di portare allo scoperto lo scandalo del blocco politico che gli impedisce di far funzionare l’azienda anche nelle piccole cose. Erano mesi, se la si vuole dire proprio tutta, che i consiglieri d’amministrazione di area centrosinistra (Curzi, Rognoni e Rizzo Nervo) gli chiedevano un’azione coraggiosa, un richiamo forte al Palazzo a risolvere, una volta per tutte, la questione legata ad una maggioranza del cda che è ancora quella voluta da Berlusconi e che non ha alcuna intenzione di permettere cambiamenti che non siano confacenti al bene della concorrenza: se la Rai non si muove, il Biscione ne guadagna. Alla fine, Cappon non ce l’ha fatta più. E nonostante a palazzo Chigi gli avessero chiesto di resistere, non volendo proprio adesso la grana Rai sul tavolo, lui è entrato in cda e si è fatto bocciare, una per una, tutte le nomine proposte. Un messaggio forte e chiaro: o il ministro Padoa Schioppa si mette in testa di sostituire il consigliere espresso dal Tesoro, quell’Angelo Maria Petroni nominato da Tremonti e ancora ben saldo sulla poltrona, oppure io me ne vado. A Palazzo Chigi non gli hanno certo fatto l’applauso. Cappon non è mai piaciuto a Prodi che gli avrebbe preferito Antonello Perticone, oggi in Rcs, ma non riuscendo ad imporre il secondo si accontentò del primo. Oggi, dopo quest’azione di rottura, i rapporti si sono fatti gelidi ma ormai, come si suol dire, “il dado è tratto” e la palla è sopra lo scarpino del premier. Che ha davanti la porta, ma non sa dove tirare.

Sembrerebbe una situazione banale da risolvere: si licenzia un consigliere e se ne mette un altro in modo da ribaltare la maggioranza in cda. Invece, come ha avuto modo di commentare pensoso il ministro delle Comunicazioni, Gentiloni, la grana Rai ha le stesse difficoltà di risoluzione di quelle che è destinata ad incontrare la legge elettorale. Rompere gli equilibri Rai significa, infatti, incrinare a cascata ogni possibile tentativo di trovare maggioranze trasversali per raggiungere accordi sulle questioni più spinose che dovranno essere a breve oggetto di voto parlamentare. La Rai, dunque, ancora una volta specchio e laboratorio politico del Paese. Ma anche merce di scambio.

Se il quadro fosse solo questo, la situazione potrebbe considerasi critica, ma non disperata. Prodi, infatti, potrebbe contare sull’attuale sfaldamento della Cdl, con Casini ormai battitore libero e Follini, addirittura, passato al “nemico”, per portare avanti una strategia di ricambio parziale del cda facendo leva sulla prossima azione della magistratura che si avvia, su notizia criminis della Corte dei Conti, ad iscrivere nel registro degli indagati i quattro consiglieri Rai in quota Cdl per il voto favorevole alla nomina “incompatibile” dell’ex dg Alfredo Meocci, fatto che ha causato al servizio pubblico tv una multa pari all’attivo di bilancio del 2006. La legge Gasparri, infatti, parla chiaro: chi è inquisito non può ricoprire l’incarico di consigliere. Ma c’è anche un altro aspetto, tutto interno alla sinistra e dalle sfumature tafazziane come quelle che accompagnano baldanzosamente le ultime azioni di questa maggioranza. E che rendono, invece, la situazione quasi una malattia terminale. Incuranti del bene dell’azienda di servizio pubblico, all’interno del cda Rai si sta consumando anche una singolare lotta di equilibri tra Ds e Dl in vista dei congressi dei due partiti che porteranno alla formazione del partito Democratico. E così il presidente Rai, Claudio Petruccioli, ha fatto pesare il suo voto contrario ad alcune nomine proposte da Cappon (il voto era segreto, ma quando si è in pochi, i conti sono facili) perché quest’ultimo si era rifiutato di proporre in un posto chiave il nome di un fedelissimo del Botteghino al posto di un esterno proposto, invece, da Prodi. Idem dicasi per un’altra nomina, stavolta di area Margherita, stoppata dall’altro consigliere di area Ds. Quando non c’è la Cdl di mezzo, insomma, gli sgambetti se li fanno dentro casa senza troppi convenevoli.

L’impressione è quella che la situazione Rai si sia ingarbugliata a tal punto da prevedere una strategia d’uscita di uguale difficoltà a quella che Bush dovrà, prima o poi, affrontare sulla questione irakena. Impossibile, infatti, pensare – con gli attuali numeri parlamentari – di presentare alle Camere il progetto di riforma Rai (e non solo) targato Gentiloni e sperare in una rapida approvazione: inutile aggiungere un’altra bomba ad un campo già minato a dovere. E’ dunque probabile che questa situazione di stallo Rai si trascinerà ancora per un po’, con un direttore generale senza cda e con un cda senza direttore generale.

Quello che manca è, dunque, un governo che decida. Al netto delle considerazioni di opportunità politica e di prospettiva, in questo momento è l’immobilismo di Prodi e di Padoa Schioppa a gravare sulla Rai. L’altro giorno, il ministro dell’Economia ha rinnovato la fiducia a Cappon, ma ha anche tacitamente rinnovato quella al consigliere Petroni, il quale a sua volta ha piu' volte manifestato la sua 'sfiducia' nei confronti di Cappon. E’ del tutto evidente che siamo in presenza o di una fiducia o di una sfiducia di troppo. “L’impresa Rai e i suoi lavoratori – ha commentato il diessino Giuseppe Giulietti - non meritano certo di essere trattati in questo modo”. E neppure chi paga il canone.




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