“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Dice questo l’articolo 92, comma secondo, della Costituzione italiana. Non parla di “doveri” del Capo dello Stato, anzi: quando si tratta di formare il Governo, il nostro ordinamento concede al Colle un ampio potere discrezionale. Il vincolo ovviamente c’è: alla fine l’Esecutivo deve ottenere la fiducia dal Parlamento. Ma questo non significa affatto che il Presidente della Repubblica debba per forza indicare come Presidente del Consiglio incaricato il leader del partito che ha ottenuto più voti. Se così fosse, negli anni Ottanta non sarebbero entrati a Palazzo Chigi prima il repubblicano Giovanni Spadolini (81-82), poi il socialista Bettino Craxi (83-87), che, pur governando con la Dc (la formazione di maggioranza relativa nel pentapartito), misero fine al monopolio democristiano sulla Presidenza del Consiglio. Meno che mai Monti o Draghi, mai votati.

 

C’è da credere che nozioni così elementari di diritto costituzionale e di storia contemporanea non sfuggano all’orizzonte culturale di Giorgia Meloni, anche a volerlo immaginare particolarmente angusto. Eppure, la numero uno di Fratelli d’Italia ha detto senza mezza termini che, in caso di successo alle politiche del 25 settembre, Palazzo Chigi le compete. O meglio, prima ha avuto la decenza di ricordare che la decisione spetta al Colle, ma dopo pochi minuti ha contraddetto questa premessa, affermando in sostanza che, se arrivasse prima alle elezioni, il Quirinale non avrebbe alternative: “Non ho ragione di credere che, con la vittoria del centrodestra e l’affermazione di Fratelli d’Italia, il Presidente della Repubblica possa fare una scelta diversa”. Diversa, chiaramente, dal nome di Giorgia Meloni. “Insomma, mi spiegate perché l’anomalia sarebbe Meloni scelta dai cittadini e non lo è stata Mario Monti?”. La risposta è semplice: perché in Italia i cittadini non eleggono il Presidente del Consiglio, ma il Parlamento. Meloni lo sa benissimo, ma continua: “Qualcuno mi deve dire perché non potrei fare il premier, al netto del fatto che sono una donna. Ho le antenne? Ho le branchie?”. 

A questo punto il campionario è completo e il giochino è scoperto. Meloni si sente forte dal punto di vista elettorale, ma non da quello politico. Il ruolo di leader del centrodestra non le è mai stato riconosciuto ufficialmente e nessuno nella coalizione sarebbe contento di vederla entrare a Palazzo Chigi. Non solo: a livello internazionale, la sua nomina non sembra entusiasmare né Bruxelles, dove preferiscono gente più moderata e meno vicina a Orban, né gli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden non ha dimenticato le smancerie tra i fasciotrash italiani e Donald Trump.

Ce n’è abbastanza per suggerire a Meloni che, anche in caso di vittoria alle urne, la sua nomina a Palazzo Chigi sarebbe tutt’altro che scontata. Di qui, il tentativo di prevenire lo sgambetto aumentando la pressione sul Quirinale: “Attenzione - è il senso del messaggio - perché se il nome non sarà il mio, sarai accusato non solo di essere un Presidente antidemocratico, che rinnega la volontà popolare, ma anche un sessista”. Considerata la sua storia personale, non si può non pensare che Sergio Mattarella sia capace di resistere a intimidazioni così miserabili. Semmai, gli avvertimenti più convincenti arriveranno da centri di potere ben più significativi rispetto alla segreteria di Fratelli d’Italia.   

A completare lo scenario c’è poi Matteo Salvini, che ormai suscita quasi un moto di tenerezza. Dopo aver passato anni a dire e a fare porcherie incostituzionali, oggi il leader della Lega si riscopre innamorato della Carta fondamentale e addirittura si lancia a difendere le prerogative e l’indipendenza del Colle. “Io aspetto il voto degli italiani prima di fare qualsiasi commento - ha detto in risposta alle parole di Meloni - poi il Presidente della Repubblica sceglierà, come è giusto che sia”.

Un afflato di legalità? Un primo bagliore di coscienza istituzionale? Macché: “Sono un inguaribile ottimista - ha detto ancora Salvini a Ceglie, durante una kermesse organizzata da Affaritaliani - e penso che la Lega prenderà un voto in più degli alleati. Sono felice di concorrere al mestiere più bello del mondo, quello di presidente del Consiglio”. In realtà, lui a questo concorso non partecipa più da quando si è compromesso con i russi. Ma evidentemente ancora non glielo hanno spiegato. 

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