Dopo anni a fingersi nazionalista (non che fosse un merito), la Lega getta la maschera e torna al separatismo delle origini. Quello del Nord produttivo contro Roma ladrona e il Sud-zavorra. Il manifesto di questo ritorno al passato - mai realmente abbandonato - è contenuto nella proposta di legge per l’autonomia differenziata che Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, ha presentato la settimana scorsa ai governatori.

 

Partiamo dalla teoria. Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione (modificato nel 2001) prevede che una serie di materie possano essere demandate alle singole Regioni a statuto ordinario. La legge che affida le competenze è "approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata". Le 23 materie attribuibili alle Regioni sono indicate ai commi 2 e 3 dell’articolo 117 e comprendono, fra l’altro, istruzione, salute, ambiente, reti di trasporto, energia, finanza pubblica e sistema tributario, beni culturali, commercio estero, tutela e sicurezza del lavoro.

La bozza di riforma Calderoli prevede che le Regioni - dopo essersi scelte à la carte gli ambiti d’intervento in cui reclamare autonomia dallo Stato centrale - potranno poi a loro volta trasferire le funzioni a Comuni, Città metropolitane e Province. Ma il vero guaio riguarda i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbero garantire uniformità nei servizi tra le varie regioni in ambiti cruciali come salute, scuola e ambiente. Calderoli dà un anno di tempo al governo per stabilire i Lep: se non ci riuscirà (il che è certo), le competenze passeranno direttamente ai governatori.

La furbata sta nel fatto che i Lep arriveranno sicuramente dopo le intese fra Stato e Regioni, che saranno di fatto irreversibili. A quel punto si dovrebbe organizzare una redistribuzione di risorse che nessuno vorrà accettare e l’unico modo per uscire dallo stallo (ripetiamo: una volta firmato l’accordo con la Regione, lo Stato non ha più il potere di tornare indietro) sarà calcolare i Lep in modo sbagliato per far tornare i conti.

Per quanto riguarda i finanziamenti, la bozza stabilisce che, inizialmente, le risorse necessarie alle Regioni per occuparsi delle materie vengano attribuite secondo il criterio della spesa storica: chi più ha speso negli anni per i servizi corrispondenti alle funzioni, più riceverà. Il criterio della spesa storica dovrebbe poi essere superato, a regime, “con la determinazione dei costi standard, dei fabbisogni standard”, che andranno determinati "entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore" della legge, dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, "avvalendosi della collaborazione della Società per gli studi di settore - SOSE S.p.a., dell’ISTAT e della Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso il Centro interregionale di Studi e Documentazione (CINSEDO) delle regioni". Altra scadenza di 12 mesi per mascherare un’operazione in realtà complicatissima e che nessuno vuole davvero realizzare.

Se si mettono insieme tutti questi ingredienti, la ricetta che si ottiene è molto chiara: un’Italia ridotta a spezzatino, dove chi ha la fortuna di nascere in una Regione ricca avrà servizi sempre migliori, mentre gli altri disgraziati saranno lasciati indietro al proprio destino. Nella mente di Calderoli, tanto per fare un esempio, la scuola potrà essere gestita a livello regionale anche con insegnanti propri e retribuzioni differenziate. Cioè avremmo 20 scuole diverse: ricche al Nord, povere al Sud. E lo stesso discorso varrebbe per sanità, trasporti, tutela dell’ambiente e via elencando.

Il progetto è spudoratamente incostituzionale e ha già sollevato proteste da parte dei governatori del Sud (mentre quelli del Nord, specularmente, si fregano le mani). In realtà, la proposta di Calderoli non piace nemmeno a Fratelli d’Italia, che nazionalista lo è per davvero. Alla fine, però, il partito di Giorgia Meloni si piegherà probabilmente al volere della Lega per avere in cambio dal Carroccio il via libera al presidenzialismo. Un’accoppiata di riforme che getta un’ombra spaventosa sul futuro del Paese.

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