di Elena G. Polidori

Solo oggi i quotidiani sono tornati in edicola dopo due giorni di sciopero dei giornalisti. Siamo a quota 13 giorni complessivi di sciopero che i giornalisti hanno dovuto sostenere nel tentativo di rinnovare il contratto di lavoro della categoria, scaduto da 586 giorni. E’ una vertenza difficile, la più complicata degli ultimi dieci anni, forse la più dura di sempre. In gioco non ci sono i privilegi di pochi giornalisti a contratto a tempo indeterminato e garantiti dalla solidità della testata di appartenenza. In gioco c’è la sopravvivenza della libertà di informazione che passa anche attraverso quella dei suoi operatori, che gli editori vorrebbero sempre più sottomessi e sottopagati. In gioco, ancora, c’è la possibilità di molti giovani aspiranti giornalisti a diventare tali, vedendosi riconosciuta la dignità di una professione che è una delle travi portanti della democrazia del nostro Paese, se non la principale. E non solo.

di Sara Nicoli

E' successo come in altre occasioni, ma stavolta, se possibile, con maggior forza e arroganza. Non appena il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha invitato il parlamento ad aprire il dibattito sull'eutanasia, provocando un'accellerazione dell'iter politico per gli otto disegni di legge presenti in Senato sull'argomento, ecco che subito, da Oltretevere, la Chiesa ha rivendicato la propria esclusiva nel dire l'ultima parola su tutto ciò che attiene alla vita e alla morte.
Stavolta, invece del solito Ruini, è sceso in campo il ministro della "Salute" di Benedetto XVI. E se, nei casi precedenti, quando i temi erano variati dall'aborto alla legge 40, il monito del Vaticano si era fermato ad un semplice "invito" alla coerenza da parte dei cattolici, nel caso dell'eutanasia le parole usate dal cardinal Javier Lozano Barragan non hanno lasciato adito a dubbi. Nessun riferimento al "popolo cattolico", nel senso più ampio del termine. Il messaggio era mirato ai "parlamentari cattolici". Che hanno "l'obbligo morale di esporre il Magistero e la posizione del Vangelo facendo presente che l'eutanasia è morte, che è un assassinio".

di Sara Nicoli

Piergiorgio Welby "Signor presidente, mi aiuti a morire; questo mio grido non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese". Con la forza che gli resta, Piergiorgio Welby, co-Presidente dell'Associazione Luca Coscioni, malato di distrofia muscolare progressiva, ha registrato un video contenente una lettera aperta al Presidente della Repubblica. E' una supplica, non il testamento di un malato terminale che non ha più speranze e si augura solo di non svegliarsi la mattina: Welby chiede al Capo dello Stato di farsi promotore della riapertura del dibattito politico sull'eutanasia. "Perchè, signor presidente, io vorrei che anche ai cittadini italiani fosse data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi e olandesi; Montanelli mi capirebbe, se fossi in un altro Paese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo, ma sono italiano e qui non c'è pietà".

di mazzetta

Voglio porgere un invito ai commentatori che domani affronteranno l'ingrato compito di riferire della manifestazione in programma a Ferrara per chiedere che sia fatta luce sulla morte di Federico Aldrovandi.
Quasi tutti quelli che conoscono la sua storia lo devono alla sua famiglia, che ha trovato la forza di reagire a una situazione che nessun cittadino italiano dovrebbe mai affrontare.
Una mattina di un anno fa, il 25 settembre, Federico non è tornato a casa. E' morto a pochi metri dalla sua abitazione, all'alba, in una tranquillissima zona di Ferrara, dopo un serata con gli amici.
La polizia, che ha disgraziatamente incrociato il destino di Federico quella mattina, riferì che il giovane diciottenne era stato sorpreso a picchiare la testa contro i pali della luce. Dice che ci fu chi telefonò al centralino per avvertire di questa bizzarria di Federico e che gli intervenuti si adoperarono per contenerlo e soccorrerlo.
Qui comincia una vicenda che sarebbe surreale se non chiamasse in causa l'onorabilità delle istituzioni e non traesse spunto dalla morte di un ragazzo.

di Giovanna Pavani

Inutile chiedersi adesso se quella frase di Benedetto XVII è stata accidentale o deliberata. Il papa, durante l'Angelus di domenica, è tornato a sottolineare la sincerità del proprio mea culpa. "Sono vivamente rammaricato - ha detto davanti alla folla di Castel Gandolfo, ma il messaggio è andato in diretta anche su Al Jazeera _ per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso nell'Università di Regensburg, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani, mentre si trattava di una citazione di un testo medioevale, che non esprime in nessun modo il mio pensiero personale". Sembra, almeno dalle prime reazioni, che questa pubblica ammenda sia servita parzialmente a disinnescare l'allarme che il Viminale aveva subito alzato, con una circolare, circa la possibile reazione terroristica contro obiettivi sensibili in Italia. Una suora italiana è stata uccisa a Mogadiscio e fonti con stretti rapporti in ambienti fondamentalisti hanno spiegato all'agenzia Reuters che " c'è una possibilità molto alta che la persona che l'ha uccisa fosse in collera per i recenti commenti del papa contro l'Islam".


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