Quello della guerra permanente è da tempo un pallino dei neocon e di altri settori intellettuali che prestano la loro raffinata consulenza ai capi dell’impero statunitense in declino. Dopo la fine dell’URSS s’inventarono questo brillante concetto per giustificare la continuazione dell’impegno militare e dell’esistenza della NATO. In un primo tempo esso venne applicato al terrorismo, figura alquanto vaga e suscettibile di vario uso, imperniata in un primo tempo sulla banda di Bin Laden e poi sull’ISIS, organizzazioni nella cui creazione, come poi si è scoperto, avevano collaborato in certa misura proprio certi organismi della cosiddetta intelligence occidentale.

Bisogna infatti partire dal presupposto che la guerra permanente costituisce la situazione ideale per chi, come gli Stati Uniti, è pronto a tutto pur di mantenere il proprio dominio sul mondo, tanto più che quello militare è l’unico settore nel quale essi mantengono un evidente primato. Agitando il big stick (grosso bastone) essi rinsaldano la propria egemonia sugli “alleati”, guadagnandone qualcuno in più, e tengono in stato di costante agitazione tutti i loro competitors ed antagonisti veri e presunti, costretti a distogliere molte risorse economiche ed umane da impieghi più proficui per destinarle agli obiettivi della difesa e della sicurezza. Last but not least, bisogna pensare agli ingenti profitti che tale situazione genera nel comparto degli armamenti, sempre più asse portante dell’economia dei Paesi occidentali, che diventa ovviamente sempre più un’economia di guerra.

 

Il conflitto in Ucraina serve in modo egregio a raggiungere tutti questi scopi e quindi, nell’ottica della classe dominante statunitense e quindi della NATO, sembrerebbe dover restare al centro della scena per molto tempo. Non è certo casuale che il modello al quale costoro si ispirano, come giustamente denunciato dai pacifisti ucraini, è quello di Israele, da oltre settanta anni bastione bellico permanente dell’Occidente nell’area medio-orientale.

E’ in quest’ottica che vanno letti taluni elementi in parte nuovi che si registrano nell’ultimo periodo. In primo luogo quello consistente nel rifiuto di prendere atto del netto ed evidente fallimento della cosiddetta controffensiva ucraina. La propaganda della NATO, prontamente ripresa da quasi tutti i media occidentali, tende invece ad esaltare i cosiddetti “piccoli passi” della controffensiva. Di questo passo, e senza calcolare gli avanzamenti che registrano le Forze armate russe su altre porzioni dello scacchiere ucraino, ci vorrebbero molti decenni se non vari secoli per riconquistare Crimea e Donbass, ma questa è appunto la prospettiva di lungo periodo che serve alla NATO e agli Stati Uniti.

Parallelamente, assistiamo a slittamenti, potenzialmente incontrollabili, verso un conflitto sempre più aperto e generalizzato come gli attacchi, più che altro di droni, sul territorio russo o le messe in scena come il presunto attacco del drone russo in Romania, prima smentito e poi avallato dal suo presidente. Il gioco d’azzardo della NATO si fa sempre più esplicito e pericoloso e minaccia un allargamento rovinoso della guerra giustificato dall’entrata in funzione dell’art. 5 del suo Trattato istitutivo.

Alla stessa irresponsabile logica di generalizzazione del conflitto risponde anche il tentativo di coinvolgere Stati neutrali, come Cuba, con fake-news messe in giro dai soliti circoli imperialisti secondo le quali sarebbe in corso un reclutamento di giovani cubani da schierare a fianco dei russi. Il governo cubano ha reagito energicamente a queste grossolane falsificazioni, denunciando le montature e ribadendo il rifiuto di ogni mercenarismo e la posizione di neutralità del Paese rispetto al conflitto.

Il momento attuale pare particolarmente delicato e rischioso, perché ormai manca praticamente un anno o poco più alle elezioni presidenziali statunitensi, che si svolgeranno in un clima politico interno sempre più ostile al coinvolgimento del Paese nella guerra. E’ quindi intuibile come i gruppi più guerrafondai che guidano oggi la NATO e continuano ad avere l’ultima parola nell’amministrazione di Washington, siano intenzionati a spingere sull’acceleratore della generalizzazione del conflitto per quanto possibile, anche per lasciare chi dovesse subentrare alla Casa Bianca, si tratti di Trump o di altri, di fronte a fatti compiuti difficili da superare, e quindi rendendo inevitabile “l’eternizzazione” della guerra.

Si delinea un vero e proprio showdown interno allo schieramento occidentale  fra i settori oltranzisti, guidati da personaggi come Blinken, autentico cervello della strategia statunitense che manovra come un burattino il bollito Biden, le mortifere burocrazie della NATO guidate da Stoltenberg e Timmermans. C’è poi, ovviamente, Zelensky, che si gioca tutto insieme alla sua cricca ma che ha difronte altri settori maggiormente dotati di realismo.

A fronte di una situazione di questo genere e alla prospettiva della guerra perpetua, appare del tutto inadeguato il ruolo delle forze pacifiste, specialmente in Italia ed Europa. Ciò è davvero ingiustificabile, specie tenendo conto del fatto che invece nell’opinione pubblica occidentale, statunitense come europea, ed italiana in particolare, emerge un crescente rifiuto della guerra e dell’invio delle armi all’Ucraina, giustamente ritenuto una condizione fondamentale della continuazione del massacro e, anzi, un’istigazione alla sua perpetuazione.

La decisione di varie forze politiche e sindacali della sinistra di convocare una grande manifestazione nazionale a Roma il 4 novembre, che leghi il tema del rifiuto della guerra e della ricerca di una soluzione pacifica e negoziata al conflitto a quello dei diritti sociali oggi a rischio in tutto l’Occidente - e in particolare nel nostro Paese - potrebbe segnare un’inversione di tendenza, superando le ambiguità, le esitazioni e gli opportunismi che hanno fin qui contraddistinto troppi settori politici e sociali, sembra insufficientemente consapevoli delle implicazioni e dei rischi della situazione nella quale si trova l’intero pianeta.

Occorre quindi prepararsi in modo organizzato e sistematico a tale importante scadenza, valutando anche la possibilità di rilanciare la consultazione referendaria, anche se la prima raccolta di firme è fallita per insufficiente mobilitazione e informazione delle forze pacifiste, ma che potrebbe essere riproposta in occasione del nuovo decreto sull’invio delle armi in Ucraina che il governo Meloni si accinge a ripresentare alla fine dell’anno in corso.

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