di Giovanna Pavani

Già, nemmeno Fidel aveva avuto tanto ardire. E neppure Ortega, neppure Jarusewlsky, in tempi e in condizioni storiche diverse, avevano "osato" disertare l'invito del Papa a prendere parte alla messa durante le visite apostoliche nei rispettivi Paesi. Certo, in quelle occasioni s'erano trovati davanti un pontefice dello spessore e del carisma di Woitjla, uno con cui valeva la pena parlare pur pensandola in modo radicalmente opposto: un'occasione unica, con un papa unico. Zapatero si è invece permesso di dire no al successore, l'integralista bavarese. A ricevere Benedetto XVI come Capo di Stato c'è andato. Ma la messa, a Valencia, il Papa se l'è cantata da solo con i suoi sostenitori, una minoranza di aficionados dei bei tempi andati dell'Inquisizione che, non a caso, ha fischiato il premier spagnolo a pieni polmoni. Zapatero ha tirato dritto, la contestazione si è spenta, lui è uscito vincitore. Niente messa. Una presa di posizione rispettosa ma non sottomessa, limpida, che è servita a rendere più netta la differenza tra i due poteri, quello del Papa e il suo. Un gesto, quello del premier spagnolo, più eloquente di mille discorsi per "mostrare" a Sua Santità e al suo Paese che la scelta di laicità non può, e non deve, conoscere mezze misure o ragioni di pelosa opportunità politica. Di stampo ipocrita e vetero democristiano, si direbbe da noi. La gerarchia vaticana se l'è presa, il portavoce (già scaduto), Navarro Walls, ha tuonato all'incidente diplomatico, ma Zapatero a messa con Ratzinger ha spedito il ministro degli Esteri, tanto per ribadire il concetto, qualora non fosse stato già abbastanza chiaro: fai proseliti quanto ti pare, urla e insulta il mio governo e la mia politica, ma resti comunque un capo di Stato straniero, nulla di più. La scorrettezza, casomai, è stata un'altra e dell'altra parte in causa: non si sbarca in terra straniera facendosi precedere da uno stuolo di dichiarazioni maledicenti la politica del governo ospitante sui diritti civili, sulle unioni gay e quant'altro, pretendendo poi di essere accolti a braccia aperte. Torquemada è morto da tempo: anche Ratzinger avrebbe dovuto farsene una ragione, nonostante l'evidente rimpianto.

Da Zapatero, ancora una volta, è arrivata una lezione di stile che non lascia adito a sottili e capziose interpretazioni. L'uomo parla poco, fa molto in termini di politica sociale e, quando ha deciso di ritirare le truppe dall'Iraq, non ha concesso spazio a polemiche interne o pressioni esterne. Uno stile di sereno decisionismo che farebbe piacere vedere ogni tanto anche in Italia, ma nel centrosinistra si vede poco. E quando un episodio, come ad esempio l'azione lampo del ministro Mussi sul caso Ue-staminali, fa sentire il piacere di una ventata di aria fresca sulla faccia, ecco che arriva subito la bacchettata sulle dita di qualche "alleato" a riportare tutto nell'alveo di un governo sempre troppo di centro e troppo poco di sinistra. D'altra parte nessuno dei nostri stimati leader di sinistra ha provato a commentare favorevolmente lo "stile Zapatero" espresso in questa occasione: figurarsi. Solo a destra l'incomiabile omofobo Calderoni ha rispolverato l'antica frase sui Pacs per ricordare alle genti che, comunque, sempre di "bande di finocchi" si tratta. Ma come fare, in coscienza, a prendersela con lui e il suo folklore quando il primo a strumentalizzare un viaggio pastorale in Spagna a fini di politica è lo stesso Benedetto XVII?

Il silenzio della sinistra italiana in questo caso ci è sembrato davvero assordante.Tralasciando Rutelli, che ha addirittura accompagnato il papa a Fiumicino in partenza per Valencia, solo da Napolitano è arrivato uno stop netto alle pressioni vaticane in tema di famiglia e di matrimonio. Sollecitato, via lettera privata, a "difendere i valori morali, spirituali e sociali del matrimonio tra uomo e donna", il Capo dello Stato ha risposto con grande serenità e compostezza che quel valore della famiglia è già difeso dalla Costituzione, cioè dalla legge degli uomini e non da quella di Dio. E che, insomma, ce la caviamo bene anche da soli a difendere i valori fondanti della nostra società.

Ma il Papa detesta non avere l'ultima parola. E, abbandonato per un momento quel diavolo di uno Zapatero al suo destino, anche dall'altare di Valencia si è rivolto all'Italia e al suo governo con nuove pressioni: durante l'omelia ha nuovamente " invitato" l'Italia a "difendere" la famiglia "di fronte alle sfide dell'epoca attuale" e a non disperdere "il patrimonio morale, spirituale e sociale" del paese. Il Papa, insomma, ha attaccato lo Zapaterismo direttamente dentro casa sua, perché considera quella politica un virus insidioso, che dopo aver contagiato la ex cattolicissima Spagna potrebbe prima sbarcare in Italia poi espandersi anche altrove. A cominciare dall'America latina, terreno fertile per la modificazione di un senso di cittadinanza che lascia a Dio quel che è di Dio e a Cesare di governare in santa pace per risolvere i problemi della gente senza temere le saette del giudizio divino. La secolarizzazione e quello che il Papa chiama il relativismo etico di un uomo orbato della luce di Dio sono i grandi nemici di Ratzinger. Zapatero, ai suoi occhi, ne è attualmente il miglior testimonial perché ha saputo distinguere tra spiritualità e religione, tra potere laico e libertà di culto, tra governo e coscienza personale. Il suo stile è contagioso, coerente, credibile. Un marchio tanto esportabile che non ci sarebbe da stupirsi se, un domani, un nuovo Ortega o lo stesso Fidel , pur accogliendo in patria il Capo dello Stato Vaticano, si rifiutassero di partecipare alla sua messa.

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