Dal vertice BRICS a Johannesburg, passando per il G20 a Nuova Dheli e terminando con il G77+Cina a L'Avana, il termine "de-dollarizzazione" è entrato ormai nel lessico abituale della politica, soprattutto quando il Sud globale prende la parola. De-dollarizzazione, dunque. Ovvero, riduzione progressiva dell’utilizzo del Dollaro statunitense negli scambi internazionali e nei depositi di riserve strategiche degli stati. Conseguenze? Riduzione dell’influenza degli Stati Uniti nella gestione dell’economia internazionale. La sola ipotesi genera di per sé un cambio epocale negli equilibri economici internazionali. Si parla non a caso di dittatura del Dollaro, proprio per sottolineare l’influenza assoluta dell’utilizzo della Divisa statunitense sull’economia globale. La sua diffusione e le regole per il suo utilizzo, fissate unilateralmente dell’emittente, determinano una pesante ipoteca degli USA sui mercati internazionali, perché attraverso il potere decisionale sull’utilizzo del Dollaro gli USA decidono quali paesi, quando, dove e in quali prodotti possono commerciare, scambiare, investire.

 

La de-dollarizzazione è quindi scelta politica: si tratta di restituire libertà alle riserve strategiche dei diversi paesi ed al commercio internazionale, entrambi asset fondamentali per lo sviluppo economico e la conseguente sovranità politica di ogni paese. L’ipoteca politica degli Stati Uniti è ormai insostenibile per tutti.

Il destino della de-dollarizzazione sarà legato al numero di paesi, fondi istituzionali, importatori, esportatori, debitori e creditori che smetteranno di usare solo il Dollaro privilegiando anche altre monete. Il che, ovviamente, vedrà negoziati e rivalutazioni delle altre valute compresa la rinegoziazione dell’impagabile debito. Il che avrebbe un impatto fortissimo sul Sud globale, già la sola intenzione di procedere da parte di alcuni in questa direzione è dirompente per gli equilibri economici internazionali.

Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), il Dollaro è usato nel 90% degli scambi globali, ma la tendenza è ad una sua riduzione. Tendenza che viene ora sostenuta dal più importante blocco economico del mondo, i BRICS+, che in attesa di una ventina di paesi in adesione ed altrettanti che ne stanno studiando la possibilità, già oggi supera di diverse lunghezze il G7 che, al contrario, non vede nuove adesioni all’orizzonte.

Il recente vertice dei BRICS+ ha dato rilievo generale e sul dove e come procedere e dovrà fornire una risposta anche tecnica, non solo politica. Il cammino sembra essere questo (con velocità diverse da paese a paese): una nuova moneta, comune e digitale, che sia funzionale alla riforma del sistema monetario internazionale.

Non sarà un processo rapido. I paesi con riserve strategiche in Dollari (quasi tutti) hanno non poche difficoltà a cambiare valuta, per le ripercussioni negative sul valore di una vendita repentina e massiccia e per le conseguenze politiche del gesto. Del resto le banche internazionali, comprese quelle degli aderenti ai BRICS+, hanno la pancia piena di Dollari e di titoli non esigibili, ovvero debito tossico. Servirà quindi un progetto politico che comporti anche una unificazione bancaria e fiscale, che crei una convergenza macroeconomica solida che tenga conto degli squilibri commerciali esistenti e che non ripeta gli errori dell’unificazione monetaria europea.

Saranno diversi gli step per arrivare a modificare completamente o in buona parte la struttura economica internazionale, ma i BRICS+ non sono un club di fanatici, sono consapevoli di tempi e rischi. Ipotizzano, per la prima fase, di passare dall’utilizzo del Dollaro a un sistema di scambio interno ai paesi membri, utilizzare maggiormente le valute nazionali negli scambi interni piuttosto che il Dollaro, che tra le altre cose con il rialzo continuo dei tassi ottiene l’aumento esponenziale del debito dei paesi debitori, danneggiandone ulteriormente i bilanci e soffocandone la residua sovranità economica, quindi politica.

 

Dollaro, Divisa imperiale

L’Occidente si sente minacciato e ricorda che il Dollaro è l’unica Divisa credibile, politicamente solida, giuridicamente assistente e valutariamente difensiva dalle fluttuazioni di mercato, motivi per i quali la maggioranza dei Paesi lo hanno scelto per le loro riserve. Ma è una verità rovesciata: la decisione di allocare le riserve strategiche è stata scelta obbligata dalla prepotenza internazionale dell’impero statunitense, che ha imposto l’affermazione del Dollaro sopra ogni altra divisa rendendolo strumento assoluto e quasi esclusivo nella formazione delle riserve strategiche monetarie.

La de-dollarizzazione negli scambi energetici e nelle derrate alimentari e, da qui, il poter ridurre le riserve in Dollari da parte delle Banche Centrali di tutto il mondo, sono le ansie maggiori di Washington e di Wall Street, ovvero le due sedi del comando politico e finanziario del capitalismo internazionale. Se il commercio internazionale fosse regolato con diverse valute e dunque la domanda di Dollari si riducesse, l’economia statunitense patirebbe enormi conseguenze, perché riempire il mondo di dollari grazie alla stampa infinita di moneta ha fornito una straordinaria protezione al loro deficit.

Senza nessuna etica, gli Stati Uniti utilizzano il Dollaro in funzione dei loro obiettivi politici, e il primo livello del conflitto con un Paese che non consegna ad essi il comando è bloccare l’utilizzo del Dollaro. L’autorizzazione al suo utilizzo o meno comporta l’accesso o no ai mercati internazionali, decidendo così l’import/export di ogni paese, ovvero la commercializzazione dei suoi prodotti, la possibilità di investimento per i capitali stranieri, in definitiva il valore della sua economia e del suo sistema/paese, che diviene così irrilevante sui mercati internazionali se gli USA lo decidono.

Ma la commercializzazione esiste solo con la possibilità delle transazioni, e qui c’è la parallela questione delle piattaforme per i pagamenti internazionali, sulla quale si è soffermata la riunione BRICS+ di Johannesburg. Com’è noto, gli scambi in Dollari, in Sterline e in Euro transitano sul sistema Swift (con sede in Belgio ma controllato dagli Usa), il sistema di pagamenti internazionali dotato di una codifica che consente agli istituti di credito sparsi nel mondo di identificarsi e comunicare per dare seguito ai pagamenti internazionali.

Nato come tecnicalità operativa del sistema bancario internazionale, è oggi una potente arma degli USA nell’esercizio dell’egemonia monetaria globale. E’ lo strumento che consente agli Stati Uniti di operare un controllo a monte di ogni transazione internazionale, tra privati come tra stati, per garantire l’attuazione delle loro sanzioni. Infatti, è sufficiente sospendere il codice SWIFT di un individuo, di un’impresa o anche di un intero Paese, per impedire a chiunque di effettuare pagamenti verso il beneficiario identificato da quel codice. Non solo: l’utilizzo dello SWIFT consente di bloccare anche gli intermediari che effettuino transazioni con o per conto dei soggetti colpiti dalle sanzioni USA, creando così un forte incentivo ad applicarle per tutti.

Il quadro che si determina è insostenibile per il Sud globale, che vede minacciato, in parte impedito e comunque contrastato, il suo sviluppo. Che necessita investimenti, aperture sui mercati, risorse e scambi non sottoponibili al consenso di Washington, che arriva solo in cambio della devozione politica e della consegna di risorse e sovranità.

 

L’allarme per le riserve globali

Dal 2022 una nuova problematica si va facendo strada nelle Cancellerie del Sud globale: la vicenda ucraina, le minacce alla Cina e la ulteriore aggressività della NATO, espongono il mondo ad un rischio altissimo, che si ripercuote anche sulla stabilità dei depositi e sulla loro intoccabilità. Si apre così il capitolo relativo ai depositi strategici dei paesi, normalmente allocati presso le banche occidentali, dimostratesi però con il sequestro dei conti prima del Venezuela e poi della Russia, chini alla volontà politica dell’Occidente in spregio alla neutralità dichiarata, considerata da ogni investitore la garanzia per i suoi depositi.

Alcuni paesi ragionano su un progressivo disimpegno: il timore di vedere i propri depositi in qualunque momento sequestrati e sanzionati è forte. I dati sembrano confermarlo: per il FMI, la percentuale di Dollari inseriti nelle riserve valutarie ufficiali è sceso al 57% nell’ultimo trimestre 2022 (sarebbe il 47% se adeguata alle variazioni del tasso di cambio). Mai così in basso negli ultimi 20 anni. La confisca dei patrimoni, il congelamento dei depositi e dei fondi ha preoccupato l’intera comunità economico-finanziaria internazionale, perché il furto può capitare a tutti e in qualunque momento, basta solo essere parte di una “lista nera” redatta unilateralmente dagli Stati Uniti.

Da qui lo sganciamento, che consiste in una riduzione lenta ma costante dei depositi, che potrebbe determinare un nuovo assetto delle riserve finanziarie di ogni paese in totale autonomia. La loro futura allocazione - almeno in parte - potrebbe essere proprio la Banca Internazionale di Sviluppo dei BRICS+ e la sovranità dei paesi sui propri fondi dovrà essere garantita con il progetto di una nuova divisa per gli scambi, prima interni all’associazione prima e poi a livello globale. Oltre ai vantaggi commerciali, vi sarebbe una maggiore aderenza al profilo di sicurezza e sovranità sui depositi richiesto da tutti gli investitori, in particolare da quelli istituzionali.

Vi sono già operatività su circuiti non legati al Dollaro, cinesi, russe e anche indiane e la possibilità che una gran parte del mondo arrivi ad operare su valute diverse spaventa il deep state dell’Occidente. Una sua ridotta circolazione, conseguenza di una ridotta domanda, comporterebbe una minore influenza USA sugli scambi internazionali, dunque minor rilevanza nella geopolitica planetaria.

Difficile che la Casa Bianca cambi strada, ma anche che il resto del mondo si tiri indietro. Il Dollaro, simbolo dello strapotere statunitense, rischia di divenire simbolo e sostanza di una crisi irreversibile determinata dalla volontà di dominare e depredare, preferita all’idea di governare. Ma, alla fine della grande abbuffata, arriva sempre il conto da pagare.

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